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Focus

Trump-Kim: atto secondo

Francesca Frassineti
26 febbraio 2019

Donald Trump ha incontrato Kim Jong Un nella capitale vietnamita Hanoi il 27 e 28 febbraio. Questo secondo incontro segue il summit del 12 giugno 2018 a Singapore - il primo nella storia tra un presidente statunitense in carica e un leader nordcoreano - al termine del quale è stata firmata una dichiarazione di intenti ambiziosa e al contempo vaga, priva cioè di un calendario o piano d'azione per tradurre in passi concreti l’impegno alla normalizzazione dei rapporti bilaterali tra Stati Uniti e Corea del Nord, all’instaurazione di un regime di pace e alla denuclearizzazione della penisola coreana. Il Summit di Hanoi si è tuttavia concluso con un risultato ancora meno promettente di quello di Singapore: la richiesta nordcoreana agli USA di eliminare interamente le sanzioni nei confronti di Pyongyang in cambio dello smantellamento del sito nucleare di Yongbon è risultata inaccettabile per Trump, che ha chiuso i colloqui in anticipo.


Dove eravamo rimasti

Se il processo di distensione tra le due Coree ha prodotto in breve tempo risultati molto significativi per alimentare la fiducia reciproca, ultimo dei quali l’apertura di un liaison office a Kaesong (Corea del Nord), finora i negoziati tra Pyongyang e Washington hanno compiuto pochi passi in avanti. Lo stallo a cui abbiamo di fatto assistito dopo il summit di Singapore è innanzitutto il prodotto della opposta interpretazione del termine “denuclearizzazione”. Per gli Stati Uniti questo concetto ha sempre significato l’abbandono “completo, verificabile e irreversibile” del nucleare da parte del regime nordcoreano, che invece pretende che il processo di denuclearizzazione sia accompagnato dalla rimozione della minaccia rappresentata dal cosiddetto “ombrello nucleare” statunitense a protezione degli alleati regionali, Giappone e Corea del Sud. Come per il precedente incontro, anche in questo caso gli interrogativi della vigilia superano di gran lunga le certezze circa ciò che le parti intendono portare al tavolo delle trattative.

Nel frattempo Pyongyang continua a osservare la moratoria sui test nucleari e i lanci balistici (ufficialmente non più necessari avendo raggiunto, secondo quanto dichiarato dal regime, il completamento del suo programma nucleare e missilistico) annunciata nell’aprile 2018 e a cui ha fatto seguito, pochi mesi dopo, la chiusura di alcuni tunnel per i test nucleari nel sito di Punggye-ri e l’inizio dei lavori per lo smantellamento del sito missilistico di Tongchang-ri. Washington, da parte sua, non ha ripreso le esercitazioni militari su vasta scala con la Corea del Sud, un’iniziativa che negli anni ha sempre contribuito a creare frizioni con il regime nordcoreano che le percepisce come un preludio della sua decapitazione.

 

Le richieste di Washington

Nelle ultime settimane l’approccio seguito dall’amministrazione Trump ha mostrato una evidente e inevitabile evoluzione verso un ridimensionamento delle aspettative nel breve periodo. Nel rivolgersi alla stampa, hanno colpito i toni più realistici con cui Trump e il Segretario di Stato Mike Pompeo hanno espresso maggiore flessibilità circa il ritmo con cui procedere verso la denuclearizzazione della Corea del Nord: per quanto rimanga l’obiettivo ultimo, infatti, la denuclearizzazione “completa, verificabile e irreversibile” non è più posta come conditio sine qua non per qualsiasi tipo di concessione da parte statunitense. Il presidente USA ha affermato di non avere fretta di giungere al disarmo nordcoreano, purché il regime di Pyongyang continui ad astenersi dal compiere ulteriori lanci e test. Le ultime dichiarazioni dell'amministrazione lasciano trasparire una maggiore consapevolezza della necessità di doversi accontentare, per il momento, di un risultato meno sostanziale, ma comunque indispensabile per il prosieguo del dialogo; cioè di una tabella di marcia che definisca le aspettative e strutturi i successivi passi negoziali, a partire dal congelamento della produzione nordcoreana di armi di distruzione di massa e di missili balistici.

 

Le priorità di Pyongyang

Niente nella condotta del regime di Kim Jong Un lascia supporre che sia intenzionato a rinunciare alla garanzia del nucleare. Nella sua testimonianza di fronte al Congresso degli Stati Uniti, il Direttore della National Intelligence USA, Dan Coats, ha affermato che per quanto “Pyongyang abbia interrotto le provocazioni” da più di un anno, non ritiene che il “regime sia disposto ad abbandonare le sue armi di distruzione di massa”. Sono valutazioni corroborate dalle immagini satellitari che mostrano come Pyongyang non abbia intrapreso alcun passo verso la reale distruzione del suo arsenale nucleare e che anzi, parallelamente ai negoziati, la produzione di materiale fissile e dei sistemi di trasporto di ordigni nucleari non si sia mai arrestata. A questo proposito è necessario ricordare che, non avendo sottoscritto alcun accordo a tal proposito, Pyongyang continua in questo modo a violare unicamente le sanzioni internazionali a cui il regime è sottoposto.

Se la priorità per gli Stati Uniti è quella di concordare i prossimi passi concreti da compiere per convincere Pyongyang ad almeno congelare il programma di armi di distruzione di massa, quella del regime nordcoreano è l’ottenimento di garanzie di sicurezza da parte di Washington. Come ricordato a gennaio da Kim Jong Un nel suo consueto discorso di Capodanno, spetta ora agli Stati Uniti elargire delle concessioni. In risposta, la Corea del Nord potrebbe, per esempio, far corrispondere la chiusura del sito di Yongbyon, simbolo del suo programma nucleare. Kim avrebbe infatti espresso, prima al presidente sudcoreano Moon Jae-in, poi tramite i suoi portavoce all’inviato di Trump, Stephen Biegun, la volontà di smantellare permanentemente il sito a fronte appunto di “misure corrispondenti” da parte statunitense. Yongbyon è l’unica fonte di plutonio per alimentare il nucleare nordcoreano e si ritiene sia anche la sola fonte di trizio, un isotopo radioattivo dell’idrogeno che serve per realizzare la fusione nucleare e per la produzione di ordigni termonucleari. Non sarebbe, però, l’unico sito in cui il regime arricchisce l’uranio. Chiudere Yongbyon non ridurrebbe infatti le dimensioni attuali dell’arsenale nordcoreano, anche se una completa e verificabile distruzione delle centrifughe rallenterebbe il ritmo di produzione di ordigni nucleari. Ciò, unitamente all’ingresso in Corea del Nord di ispettori internazionali per verificare il congelamento della produzione di materiale fissile, rappresenterebbe un presupposto fondamentale per qualsiasi accordo, che contestualmente permetterebbe di acquisire informazioni più precise circa il programma missilistico e nucleare.

 

Possibili scenari

Il summit di Hanoi non avrà carattere risolutivo. Per non essere una copia carbone del precedente incontro - strette di mano tra i due leader e dichiarazioni di intenti che ricalcano il linguaggio utilizzato dai negoziatori negli ultimi venticinque anni - Trump e Kim dovranno trovare un consenso reciproco su pochi punti, ma di carattere pratico, per iniziare ad attuare gli impegni presi nel giugno scorso. Se tante sono le possibili concessioni, molto può cambiare a seconda di chi farà il primo passo. Mentre è improbabile che la Corea del Nord possa offrire un elenco esaustivo degli armamenti e dei siti nucleari e missilistici, l’eventuale impegno a congelare la produzione di materiale fissile e a permettere l’accesso agli osservatori internazionali potrebbero convincere gli Stati Uniti a propendere per delle deroghe al regime sanzionatorio. Sebbene il Segretario di Stato USA abbia chiarito nelle ultime ore che la rimozione dell’impianto sanzionatorio internazionale imposto dal Consiglio di Sicurezza Onu resta fuori questione fino a che gli Stati Uniti non saranno sicuri che la minaccia rappresentata dal nucleare nordcoreano non si sia “sostanzialmente ridotta”, il rilassamento di alcuni provvedimenti consentirebbe innanzitutto la ripresa dei più rilevanti progetti di cooperazione inter-coreana, come il resort turistico del Monte Kumgang o il complesso industriale congiunto di Kaesong, sospesi rispettivamente nel 2008 e nel 2016. Un passaggio cruciale per la normalizzazione dei rapporti tra Stati Uniti e Corea del Nord potrebbe essere l’apertura di uffici di collegamento a Pyongyang e Washington, una iniziativa che faciliterebbe un dialogo continuativo tra i funzionari dei due Paesi. Ancor più significativo sarebbe l’annuncio della fine dello stato di guerra tra Corea del Nord e Stati Uniti. Tale dichiarazione avrebbe però una valenza meramente politica perché per trasformare in trattato di pace l'armistizio che nel luglio del 1953 interruppe la Guerra di Corea è necessaria la partecipazione di tutte le parti coinvolte nel conflitto e quindi anche di Cina e Corea del Sud.  

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Donald Trump Kim Jong Un disarmo nucleare relazioni transatlantiche Corea del Nord
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AUTORI

Francesca Frassineti
ISPI Associate Research Fellow

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