Trump vs Biden: 6 cose da tenere d’occhio la notte del voto
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Guida alle elezioni

Trump vs Biden: 6 cose da tenere d’occhio nel voto USA

Paolo Magri
|
Alessia De Luca
|
03 novembre 2020

Gli americani sono abituati a conoscere il nome del prossimo presidente la notte del voto. Stavolta potrebbe non essere così. Abbiamo individuato 6 cose da tenere a mente per comprendere e seguire il voto più atteso dell’anno, che deciderà chi tra Donald Trump e Joe Biden siederà alla Casa Bianca per i prossimi 4 anni.

1. I sondaggi (stavolta) tengono?

A differenza del 2016, quando i sondaggi non avevano previsto l’elezione di Trump, il vantaggio di Joe Biden sembra essere più solido di quello di Hillary Clinton 4 anni fa. Possiamo fidarci?

Nel 2016, media e sondaggisti sottovalutarono le possibilità di Donald Trump e, fino all’ultimo, non considerarono la sua vittoria come uno scenario credibile. Quattro anni dopo, è di nuovo il candidato democratico a guidare nei sondaggi e nella grande maggioranza degli scenari post-voto. Quest’anno, però, le stime sono più attendibili?

Le medie dei sondaggi danno Biden decisamente in vantaggio a livello nazionale (cioè nel cosiddetto “voto popolare”), ma sappiamo che negli Stati Uniti non diventa presidente chi ottiene più voti a livello nazionale, ma chi ha la maggioranza dei “grandi elettori” nel Collegio elettorale: proprio questo fu il fattore che determinò la sconfitta di Hillary Clinton nel 2016. A differenza di quattro anni fa, il vantaggio del candidato democratico rispetto a Trump oggi sembra però essere non solo più ampio e più stabile nel tempo, ma anche relativamente solido a livello statale. Le preferenze per Biden superano il 50% nei sondaggi nazionali e si avvicinano a quella soglia anche negli stati in bilico della “Rust Belt”. Questo vuole dire che gli incerti (circa il 6% degli elettori rispetto al 13% del 2016) dovrebbero pesare meno sull’esito del voto e quindi ridurre la probabilità di sorprese dell’ultima ora. Infine, i sondaggisti hanno corretto i campioni della popolazione intervistata in base al livello di istruzione, che nel 2016 fu la variabile determinante sottovalutata nei polls.

In un quadro complessivo preoccupante per Trump, emergono però anche dati confortanti per il presidente uscente. Innanzi tutto, in alcuni stati chiave il vantaggio di Biden e Trump è minimo e il presidente è ancora pienamente in corsa: in Florida, ad esempio, dove Trump sta guadagnando terreno tra il fondamentale elettorato ispanico. Nelle ultime settimane, inoltre, molti nuovi elettori repubblicani o vicini al presidente si sono registrati negli elenchi elettorali. In Pennsylvania, Michigan e Wisconsin, ad esempio, sono aumentate le registrazioni degli elettori bianchi e senza laurea, il gruppo demografico che nel 2016 votò in maggioranza per Trump. Non è da escludere quindi la possibilità che l’onda di voti postali (che ci si attende siano in prevalenza a favore di Biden) venga contenuta da un afflusso massiccio di elettori pro-Trump il 3 novembre. Infine, a tenere accese le speranze di Trump c’è anche la possibilità che un numero consistente di voti via posta vengano squalificati per irregolarità procedurali. Secondo alcuni funzionari, per esempio, la decisione della Corte della Pennsylvania di squalificare le schede elettorali inviate senza una busta apposita rischia di invalidare oltre 100 mila voti.

 

2. Un record di voti "anticipati"

Nelle ultime settimane oltre 100 milioni di persone hanno già votato via posta, quasi il doppio del 2016. In molti stati il conteggio inizierà soltanto oggi: potrebbe quindi volerci più tempo per sapere il nome del vincitore.

Gli americani e il mondo sono abituati a conoscere il nome del vincitore delle presidenziali USA la notte stessa delle elezioni. Ma quest’anno potrebbe non essere così. Il motivo? L’altissimo numero di americani che hanno deciso di ricorrere al voto via posta. Oltre a votare durante l’Election Day, infatti, negli USA si può votare anche anticipatamente, recandosi di persona ai seggi o via posta - entrambe opzioni scelte quest’anno da un numero record di elettori nel tentativo di evitare code ai seggi durante una pandemia. Se nel 2016 a ricorrere al voto anticipato erano state complessivamente circa 57 milioni di persone, quest’anno sono 95. E questo nonostante il fatto che, per mesi, il presidente Trump abbia gettato pesanti ombre sui presunti legami (mai provati) tra il voto postale ed eventuali brogli.

Ogni Stato ha però procedure diverse per il conteggio dei voti anticipati e di quelli postali: c’è chi li conta al momento dell’arrivo della scheda elettorale per posta; c’è chi li conta prima del giorno delle elezioni; chi li conta a partire dalla chiusura delle urne il 3 novembre. Quest’anno perciò potrebbe volerci più tempo per lo scrutinio e per conoscere il nome del vincitore.

Ma cosa significa di per sé il fatto che molte persone abbiano votato in anticipo? Sarà un vantaggio per Trump o per Biden? È ancora tutto da vedere, ma qualche considerazione si può già fare: nelle ultime settimane, mentre la campagna elettorale era all’apice dello scontro, milioni di elettori avevano già le idee talmente chiare da essersi espressi prima dello scadere del tempo. Se nei primi giorni del voto postale, molti elettori registrati risultavano del partito democratico, nelle ultime settimane anche i repubblicani hanno cominciato ad affluire in massa per votare anticipatamente. Quel che è certo è che una così massiccia partecipazione indica che gli elettori americani hanno ben chiara l’importanza di un voto cruciale per i futuri equilibri interni e di politica estera degli Stati Uniti. 

 

3. Gli stati da tenere d’occhio…

Le elezioni si decidono in una manciata di stati ‘ballerini’ il cui orientamento politico non è facilmente prevedibile. Primi fra tutti Wisconsin, Michigan e Pennsylvania che nel 2016 Trump riuscì a strappare ai Dem.

Ogni 4 anni, le elezioni presidenziali vengono decise da alcuni stati cruciali che - per il solo fatto di non essere attribuibili con certezza all’uno o all’altro partito - diventano il vero campo di battaglia in cui si perde o si vince la corsa alla Casa Bianca. Gli stati “ballerini” – i cosiddetti swing states – da tenere maggiormente d’occhio quest’anno sono: Michigan, Wisconsin e Pennsylvania, gli stati della “Rust Belt” che nel 2016 consegnarono la vittoria a Donald Trump; alcuni stati del Sud, la cui composizione demografica sta rapidamente cambiando negli ultimi anni come Arizona, Florida e North Carolina; e stati che sono considerati potenziali ‘sorprese’ come Georgia e Texas, tradizionalmente repubblicani ma in cui quest’anno i dem potrebbero vincere; e ancora stati storicamente in bilico come Ohio e Iowa.

Per FiveThirtyEight, il più rinomato tra i portali che si occupano di modelli e previsioni elettorali negli USA, Trump ha 10 possibilità su 100 di essere confermato presidente. Biden, in confronto, ne ha 89. Ma questo non vuol dire che l’esito delle elezioni sia già scritto. Mettendo insieme i dati sui singoli stati, i possibili scenari sono diversi. Alcuni però sono più probabili di altri: se è vero che per Trump non è impossibile vincere, è pur sempre vero che la vittoria per lui è tutt’altro che semplice. Secondo Cook Political Report, il presidente uscente parte da una “base” di 125 voti probabili; per riuscire a vincere, oltre a tenersi stati repubblicani come Texas, Georgia, Arizona e North Carolina, dovrebbe anche vincere in Florida, Ohio e Iowa. A quel punto, gli mancherebbero comunque di Pennsylvania o Michigan, i cui risultati potrebbero tardare qualche giorno ad arrivare, per arrivare ai fatidici 270 grandi elettori. Al contrario, Biden parte da una “base” di 212 voti. Se a questi riuscirà ad aggiungere anche North Carolina, Arizona e Florida, avrebbe bisogno soltanto di altri 3 grandi elettori da stati più piccoli per cantare vittoria la notte stessa. I 29 grandi elettori della Florida – terzo stato per numero di grandi elettori insieme a New York (29) – sono dunque essenziale per entrambi i candidati, come pure i 20 della Pennsylvania.

 

4. …e anche le contee

Alcune contee sono ‘osservate speciali’ come indicatori affidabili dell’orientamento dell’elettorato nei rispettivi stati. Da tenere d'occhio la contea di Vigo in Indiana, che da oltre 100 anni ha "indovinato" il vincitore.

Anche alcune contee saranno da tenere d’occhio in quanto possibili indicatori dell’umore degli elettori in alcune aree o fasce demografiche chiave. In Pennsylvania, attenzione al voto nell’area urbana di Philadelphia per capire se gli scrutatori (a organico ridotto) riusciranno a tenere il ritmo degli elettori ed evitare ritardi nel conteggio. Osservate speciali anche Westmoreland, Chester e Erie County nota anche come “l’oracolo della Pennsylvania”: saranno un buon indicatore per capire che direzione prenderanno gli elettori bianchi senza laurea, in questo swing state determinante. In Wisconsin, occhio al voto nei suburbs (contea di Waukesha), dove le preferenze si stanno spostando a favore di Biden, e nella contea che ospita l’università del Wisconsin. In Florida, infine, attenzione alle contee ad alta prevalenza di ispanici (contea di Miami-Dade) e di over-65 (contea di Sarasota e Pinellas). Il primo caso sarà un test della capacità di Trump di catturare i voti degli ispanici non-cubani, tradizionalmente vicini ai democratici; il secondo caso sarà invece una sfida per Biden, che dovrà cercare di portare dalla propria parte l’elettorato anziano che nel 2016 aveva votato in grande maggioranza per Trump.

I più scaramantici potrebbero anche voler tenere d’occhio il voto nelle cosiddette “contee perfette”, 19 contee il cui voto ha rispecchiato l’esito di tutte le elezioni presidenziali dal 1980 a oggi. Concentrate nella “Rust Belt” e in stati tradizionalmente considerati swing states, queste contee hanno un livello di istruzione e un tasso di crescita della popolazione inferiori alla media nazionale e una popolazione tendenzialmente più anziana e più bianca. Un caso speciale è la contea di Vigo (Indiana), che ha sempre “indovinato” il presidente vincitore dal 1888, tranne nel 1908 e nel 1952.

 

5. … c’è anche un’altra elezione!

Si vota anche per la Camera dei rappresentati e per un terzo del Senato. L’esito del voto nelle due Camere peserà sulla libertà d’azione del futuro presidente.

Ma il 3 novembre, gli americani non voteranno solo per il presidente ma anche per tutti i 435 rappresentanti della Camera e 35 senatori su 100. Al momento, la Camera è a netta maggioranza democratica (233 a 197) mentre il Senato è a maggioranza repubblicana, ma più in bilico (53 a 47). Le proiezioni indicano che i dem dovrebbero facilmente mantenere il controllo sulla Camera, mentre al Senato la partita è aperta: dei 35 senatori in ballo, 23 sono repubblicani e 12 democratici. Questo significa che i repubblicani hanno più da perdere, e che al contrario i democratici possono provare a strappare seggi agli avversari. Se dovessero riuscire a sottrargliene 4 in più degli attuali, arriverebbero alla maggioranza assoluta (ne basteranno 3 se Biden verrà eletto presidente). In base agli ultimi sondaggi i democratici sono saldamente al comando negli stati che già controllano e solo 2 dei 12 seggi democratici in palio (Alabama e Michigan) sono “traballanti”. Per i repubblicani, invece, il quadro è più preoccupante: in 12 dei 23 seggi repubblicani in ballo i sondaggi prevedono una vittoria risicata o un esito incerto. Tra i seggi in bilico ci sono quelli di Arizona, Colorado, Maine, North Carolina, Iowa, Montana e Texas, ma la partita più appassionante è quella per il South Carolina: qui il senatore di lungo corso Lindsey Graham, dopo 25 anni al Congresso, rischia di vedere il suo scranno al Senato finire nelle mani dell’outsider Jaime Harrison.

Se davvero ai democratici riuscisse il colpo di eleggere il presidente e ottenere la maggioranza dei seggi sia alla Camera sia al Senato, per Joe Biden si presenterebbe uno scenario ideale per i primi due anni di mandato, fino alle successive elezioni di midterm. Solo con Camera e Senato a favore, infatti, il prossimo inquilino della Casa Bianca potrà lavorare alle sue priorità legislative senza il rischio di essere bloccato dall’opposizione.

 

6. Quando ci sarà un vincitore? Quali scenari se il voto viene contestato?

In caso di incertezza del risultato aumenta il rischio di tensioni e contestazioni. Ma il mandato dell’attuale presidente scade in ogni caso il 20 gennaio.

In un anno elettorale “normale”, l’elezione dovrebbe svolgersi secondo il copione, seguendo tutte le tappe dal conteggio dei voti alla conferma del vincitore all’insediamento del nuovo presidente. Come abbiamo visto, però, sono molti i fattori che rendono il 2020 un anno particolare. Un primo fattore di complicazione potrebbe essere la conferma del risultato in alcuni swing states, che inizieranno il conteggio dei milioni di early votes e voti postali soltanto il 3 novembre. Questo significa che i tempi per conoscere il nome del vincitore negli stati in cui si combatte la battaglia decisiva potrebbero allungarsi: potremmo non avere un risultato la notte del voto, ma dover attendere l’indomani o i giorni successivi. È in questo intervallo di tempo che qualcosa potrebbe andare storto. Uno dei due candidati potrebbe dichiararsi vincitore senza attendere l’esito finale dello scrutinio o sollevare dubbi circa la correttezza del processo elettorale, ingaggiando una battaglia legale dall’esito imprevedibile. Una possibilità che si farebbe più concreta se lo scarto di voti tra i due contendenti in uno o più stato fosse minimo.

Ogni stato avrebbe tempo fino al “safe harbor” (8 dicembre) per risolvere eventuali dispute e decidere a quale dei due candidati assegnare i propri grandi elettori. Se le contestazioni non fossero risolte, ci potremmo trovare con un collegio elettorale in cui non è chiaro a quale dei candidati assegnare i grandi elettori dei vari stati. La disputa a questo punto potrebbe finire alla Corte Suprema o dover essere presa in carico dal nuovo Congresso, che si insedierà il 3 gennaio. In tutti questi scenari, le certezze sono poche: se infatti la Costituzione americana chiarisce che il mandato del presidente scade il 20 gennaio dell’anno successivo al voto, molto meno chiaro risulta l’iter da seguire in caso di una crisi costituzionale come quella ipotizzata nel grafico qui sotto. Per ora però gli occhi sono puntati a stanotte e alle ore immediatamente successive alla chiusura dei seggi.

 

Altre 5 cose da sapere per la notte del voto 

  1. Per diventare presidente degli Stati Uniti non si devono prendere più voti dell’avversario, ma vincere negli stati che portano più ‘grandi elettori’. 
  2. Nelle ultime settimane milioni di persone hanno già votato via posta. E in molti stati il conteggio di questi voti inizierà soltanto oggi: dobbiamo quindi aspettarci uno spoglio prolungato.
  3. Proprio per il prolungarsi dello scrutinio, e l’alto numero di voti postali, chi appare in vantaggio questa notte, potrebbe non essere davvero il vincitore.
  4. C’è il rischio quindi che uno dei candidati provi a intestarsi la vittoria, prima del risultato finale. 
  5. Più c’è incertezza nei risultati, o un testa a testa tra i due candidati in molti stati, più il rischio di tensioni e contestazioni aumenta.

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AUTORI

Paolo Magri
Vice Presidente Esecutivo ISPI
Alessia De Luca
ISPI Advisor USA2020
ISPI Research assistant

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