A un anno dallo strappo del presidente Kais Saied la Tunisia è chiamata ad approvare una nuova Costituzione. Ma in molti temono che la nuova Carta possa allontanare il paese dalla democrazia.
Un anno dopo il colpo di mano istituzionale di Kais Saied, coinciso con la decisione di sciogliere il parlamento e mandare a casa il primo ministro, la Tunisia è spaccata tra sostenitori e oppositori del presidente. Il prossimo 25 luglio, esattamente un anno dopo aver sciolto il parlamento, il presidente ha convocato un referendum in cui i tunisini sono chiamati ad esprimersi sulla nuova Costituzione. In base alla Carta, il cui testo pubblicato pochi giorni fa ha sollevato numerose polemiche, il presidente vedrebbe aumentare i suoi poteri istituzionali, assumendo maggiori controlli anche sul governo e sulla magistratura, sconterebbe due mandati di cinque anni – ma potrebbe prolungare il suo mandato – e sarebbe in grado di sciogliere il parlamento. Il capo dello stato invece non sarebbe soggetto ad alcun controllo, poiché la nuova Costituzione – a differenza di quella del 2014, approvata dopo la ‘Rivoluzione dei Gelsomini’ – non include disposizioni per l'impeachment del presidente. E ad alimentare i timori di una deriva autoritaria nel paese, denunciata a gran voce dagli oppositori di Saied, è arrivata lo scorso 5 luglio la sentenza di un tribunale di Tunisi che congela i beni dell'ex presidente del parlamento, Rashid Ghannouchi, e di altre nove figure di spicco del partito Ennahda. Il partito islamico è in prima linea nell’opporsi all'accentramento dei poteri nelle mani del presidente.
Economia debole in democrazia?
Quando un anno fa Saied sciolse il parlamento, i tunisini scesero in piazza a festeggiare. La sua decisione, giunta dopo messi di stallo politico e istituzionale, era stata accolta con favore da molti cittadini, frustrati da una classe politica inefficiente, corrotta e incapace. Le scarse performance dell'economia tunisina negli anni successivi alla rivoluzione e la generale disillusione nei confronti della classe politica avevano proiettato in Saied il consenso di gran parte dell’opinione pubblica e delle élite liberali del paese. La disoccupazione e la mancanza di servizi pubblici – una costante già durante i lunghi anni di regime di Zine el Abidine Ben Ali – non avevano visto miglioramenti significativi, diffondendo tra i tunisini la convinzione che la democrazia non avrebbe portato a un miglioramento delle loro condizioni di vita. E oggi, secondo un sondaggio commissionato da Bbc su oltre 23mila cittadini arabi, nella regione sta franando la speranza che la democrazia porti anche stabilità economica. L’Arab Barometer Network rivela che la maggior parte dei cittadini della regione nordafricana si augura di vedere nel proprio paese un governo efficace, indipendentemente dal sistema politico e dal livello di democrazia instaurato nella vita pubblica.
Una Costituzione su misura?
A un anno esatto dalla svolta del presidente, le voci critiche di chi teme la deriva autoritaria si moltiplicano, ma Saied gode del sostegno silenzioso di buona parte della popolazione, che gli riconosce il merito di una mossa dolorosa ma necessaria per sradicare la corruzione e il clientelismo. E il presidente lo conferma: in una lettera aperta ha rivolto al popolo tunisino l’invito ad approvare la nuova Costituzione “per evitare la disgregazione dello stato, contrastare la corruzione e raggiungere, finalmente, gli obiettivi della rivoluzione”. In realtà, dopo un’ondata di polemiche, il presidente è intervenuto per emendare il testo in due punti molto controversi: ha reintrodotto la menzione relativi alla Tunisia come “parte della comunità islamica" aggiungendo che "lo stato deve lavorare per raggiungere gli obiettivi dell'Islam” e specificando che "nessuna restrizione può essere posta ai diritti e alle libertà garantiti se non per legge e necessità imposte da un ordine democratico”. Il testo – non redatto da un’Assemblea Costituente ma da un comitato di esperti nominato dal presidente – non richiede un quorum minimo per l’approvazione, e dunque il prossimo il 25 luglio potrebbe essere anche approvato anche qualora al voto partecipasse un’esigua minoranza di cittadini.
Ritorno alla dittatura?
“Per una frangia dell'opinione pubblica tunisina che aveva concesso a Saied il beneficio del dubbio, è un po’ la fine delle illusioni”, sintetizza Le Monde. Pur con le modifiche dell’ultim’ora, infatti, il nuovo testo introduce un sistema presidenziale puro in cui il capo dello stato esercita il potere esecutivo, con l'aiuto di un capo di governo da lui designato, che tuttavia non deve presentarsi in parlamento per ottenere la fiducia. Il presidente è anche comandante supremo delle forze armate, definisce la politica del paese, ratifica le leggi e può presentare testi legislativi direttamente al parlamento. La nuova Costituzione prevede inoltre una forte riduzione del ruolo dell’assemblea nazionale. Un testo, lamentano gli attivisti per la democrazia, “a misura del presidente” e da cui Sadok Belaid, il giurista che Saied aveva incaricato di redigere il testo, si è dissociato, ritenendo che possa “aprire la strada a un regime dittatoriale”. Per David Hearst quello che succede è chiarissimo: “Saied sta facendo alla Tunisia quello che Al Sisi ha fatto all'Egitto. Entrambi hanno sfruttato il disincanto popolare nei confronti dei governi guidati dagli islamisti […] per progettare un colpo di stato che potesse eliminare i liberali che avevano sostenuto la loro presa di potere”. E se il malcontento nei confronti del vecchio parlamento è reale, chiosa l’editorialista di Middle East Eye, l’ascesa di “un nuovo Gheddafi in Nord Africa non è la soluzione”.
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A cura della redazione di ISPI Online Publications (Responsabile Daily Focus: Alessia De Luca, ISPI Advisor for Online Publications)