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Focus Mediterraneo Allargato n.15
In Tunisia non è ancora primavera
Fabio Frettoli
10 febbraio 2021

Dieci anni dopo la fine del regime del presidente Zine El-Abidine Ben Ali la Tunisia si trova ancora una volta ad attraversare una fase particolarmente delicata della sua vita politica, sociale ed economica, caratterizzata dall’esacerbarsi di problematiche pregresse, ulteriormente aggravate dalla pandemia. In un contesto politico sempre più frammentato, i cittadini tunisini stanno dimostrando una crescente disillusione nei confronti della classe politica che ha governato il paese nell’ultimo decennio, anche a causa di un costante declino del proprio tenore di vita, una tendenza che, a oggi, nessun governo sembra essere riuscito a invertire. Il malcontento, esteso ormai a fasce molto eterogenee della popolazione tunisina, si è tradotto negli ultimi mesi in una crescita di proteste e manifestazioni di piazza, sia organizzate sia spontanee, nonché in uno spostamento nelle intenzioni di voto dei tunisini verso gruppi politici spiccatamente populisti e oltranzisti.

 

Quadro interno

Lo scorso 2 settembre si è insediato il nuovo governo guidato dal premier Hichem Mechichi, ex funzionario pubblico e ministro dell’Interno del precedente governo, non affiliato ad alcun partito e inizialmente sostenuto dal presidente tunisino Kais Saied, anch’egli figura indipendente e lontana dai partiti tradizionali tunisini. La squadra di governo di Mechichi è composta anch’essa esclusivamente da ministri non affiliati, almeno formalmente, ad alcun partito. La coalizione che supporta il governo in parlamento è molto eterogenea: ad aver votato la fiducia al governo sono stati Ennahda, partito di ispirazione islamista moderata, Qalb Tounes, il partito di stampo liberista e populista del magnate Nabil Karoui, e una serie di partiti e gruppi parlamentari minori di orientamento centrista e laico.

Sin dal suo insediamento l’azione legislativa del governo Mechichi è stata fortemente rallentata dalla mancanza di supporto tra i partiti della maggioranza e, in diversi casi, dalla forte opposizione della società civile nei confronti di alcune proposte di legge: nei suoi primi 100 giorni di attività il governo Mechichi non è stato infatti in grado di approvare alcuna delle proposte di legge che aveva presentato in parlamento.[1] I motivi dell’inefficacia di questo governo in ambito legislativo possono essere diversi, ma un ruolo centrale è sicuramente da attribuire alla mancanza di coesione tra le forze di maggioranza. Inoltre, sin dalle prime fasi della nuova amministrazione si è andata allargando la faglia che vede da un lato i due principali partiti della coalizione, Ennahda e Qalb Tounes, che avrebbero preferito un governo politico, e dall’altro il presidente Saied, a favore invece di un governo tecnico, composto da figure indipendenti.

Per ridare vigore all’azione politica dell’esecutivo, manifestamente in affanno, il 16 gennaio 2021 il premier Mechichi ha annunciato un largo rimpasto di governo. I ministeri coinvolti sono stati ben 11 sui 29 totali e, anche in questo caso, i ministri nominati sono tutte figure formalmente indipendenti. È stata inoltre eliminata la posizione di ministro per i Rapporti con la società civile e gli organi costituzionali, le cui funzioni verranno assunte dal primo ministro.

Nel frattempo, nei mesi scorsi si è assistito a un progressivo deterioramento del dibattito parlamentare, caratterizzato dall’utilizzo di un linguaggio violento e denigratorio nei confronti degli avversari politici, a opera in particolare delle formazioni più oltranziste presenti in parlamento. Tra esse spiccano il Movimento Al Karama, formazione islamista radicale, e il Partito Desturiano Libero (Pdl), formazione nostalgica del regime pre-2011, critico nei confronti della rivoluzione, nazionalista e fortemente anti-islamista. In almeno un’occasione le offese verbali hanno lasciato spazio alla violenza fisica: lo scorso 7 dicembre, durante lo svolgimento dei lavori di una commissione parlamentare, diversi deputati del Movimento Al Karama hanno aggredito alcuni membri del partito Attayar, formazione di centrosinistra.[2]

In un contesto d’instabilità politica e di forte rallentamento degli scambi commerciali a livello globale, l’economia tunisina, caratterizzata da una crescita debole già prima della pandemia da Covid-19, è rimasta in affanno anche negli ultimi mesi del 2020. Secondo le stime del Fondo monetario internazionale (Fmi), l’economia del paese si è contratta nel corso dell’anno passato del 7%, mentre per il 2021 il governo tunisino si attende una crescita del Pil del 4%.[3][4] Il rimbalzo dell’economia tunisina non sembra tuttavia destinato a prolungarsi nei prossimi anni: sempre secondo il Fmi la crescita economica tunisina tornerà poi al di sotto del 3% almeno fino al 2025.[5]

Per far fronte al rallentamento dell’economia, nel corso del 2020 il governo tunisino ha dovuto mettere in campo risorse finanziarie aggiuntive a quelle inizialmente preventivate, scelta che ha fatto lievitare il deficit di bilancio nel 2020 fino al 14% del Pil, con una conseguente crescita del debito pubblico all’85% del Pil. Nella nuova legge di bilancio per il 2021 il governo ha previsto un deficit per l’anno corrente equivalente al 7% del Pil.[6] Le difficoltà economiche del paese si tradurranno per larghe fasce della popolazione in un peggioramento del tenore di vita e in un aumento della povertà. Secondo un recente studio della Banca Mondiale, a causa della crisi economica indotta dal Covid-19 la povertà nel paese crescerà tra i 7,3 e gli 11,9 punti percentuali.[7]

Di fronte a un quadro economico in deterioramento e a una classe politica che non sembra riuscire ad affrontare in maniera proficua le sfide socioeconomiche che caratterizzano la loro società, i cittadini tunisini manifestano una disillusione e una frustrazione crescente nei confronti dei membri di quel sistema istituzionale e politico che ha gestito il paese nell’ultimo decennio. Ciò si è tradotto in una crescita di consensi per quei partiti che si sono dimostrati apertamente più critici nei confronti dello status quo, del sistema istituzionale vigente e della classe politica precedentemente menzionata. In particolare due partiti, entrambi con un’impronta fortemente populista, hanno saputo cavalcare il malcontento popolare a proprio vantaggio: il Movimento Al Karama, he ha saputo attrarre numerosi ex elettori di Ennahda, sempre più frustrati dal suo riposizionamento verso il centro dello scacchiere politico, e il Pdl. Il recente successo del Pdl e della sua leader Abir Moussi è dipeso in larga parte dalla capacità di quest’ultima di presentarsi non soltanto come una nostalgica del regime di Ben Ali, ma anche come una paladina del campo modernista tunisino, rimasto in larga parte orfano in seguito allo sgretolamento del partito fondato dall’ex presidente tunisino Essebsi, Nidaa Tounes, deceduto nel luglio 2019.[8] Entrambe le formazioni politiche, inoltre, pur ideologicamente molto distanti tra loro, rappresentano quell’ampia fetta di elettorato tunisino non più interessata a sostenere un sistema politico basato sulle larghe intese, che ha di fatto retto il paese dal 2011 a oggi.[9] In linea con quanto affermato, secondo un sondaggio sulle intenzioni di voto pubblicato il 20 gennaio, il Pdl raccoglierebbe il 41% dei consensi tra coloro che hanno espresso una precisa intenzione di voto (il 31,3% del totale degli intervistati), mentre il Movimento Al Karama raccoglierebbe il 9,1% dei consensi.[10]Alle elezioni legislative dell’ottobre 2019 le due formazioni avevano ricevuto rispettivamente il 6,6% e il 5,9% dei voti totali.

Come effetto del crescente malcontento della popolazione verso la classe politica e le sue scelte sono aumentate, nel corso dell’ultimo anno, proteste e manifestazioni di piazza in tutto il paese, che hanno visto la partecipazione di gruppi e fasce sociali con interessi anche molto distanti tra loro. Lo scorso ottobre si sono tenute a Tunisi numerose manifestazioni in opposizione a un controverso progetto di legge sulla protezione delle forze di sicurezza del paese. Diversi tentativi fatti negli anni precedenti per approvare proposte di legge simili a quella in discussione in parlamento erano falliti grazie alla mobilitazione di una larga fetta della società civile tunisina, nonché di diverse organizzazioni politiche, preoccupate che tali norme potessero garantire un regime di sostanziale impunità alle forze dell’ordine del paese. Anche in quest’occasione la società civile, in particolare le associazioni per i diritti umani, e alcune forze politiche hanno saputo mobilitarsi in maniera efficace contro il disegno di legge in discussione. A preoccupare era soprattutto l’articolo 7, che prevede una sostanziale impunità per le forze dell’ordine durante lo svolgimento delle proprie funzioni qualora utilizzino la forza per difendere se stessi o edifici appartenenti alle forze di sicurezza.[11] In seguito alle proteste il parlamento, su richiesta formale del governo, ha deciso di rinviare a data da destinarsi la discussione in plenaria della proposta di legge.

Nel sud del paese invece, dopo mesi di manifestazioni e scontri con le forze dell’ordine, l’ondata di proteste nell’area del giacimento petrolifero di El Kamour, nel governatorato meridionale di Tataouine, si è conclusa il 6 novembre con un accordo tra i manifestanti e il primo ministro Mechichi. I manifestanti, che già nel 2017 chiedevano un piano di sviluppo regionale da implementare attraverso i proventi derivanti dall’estrazione del petrolio e del gas naturale locali, hanno ottenuto la creazione di un fondo di sviluppo, in cui verranno versati circa 25 milioni di euro l’anno, un migliaio di nuovi posti di lavoro e il finanziamento di una serie di progetti locali. In cambio il governo ha ottenuto la piena ripresa delle attività estrattive del giacimento. Il successo delle proteste di El Kamour ha però spinto numerosi altri cittadini residenti nelle aree più marginalizzate del paese, in particolar modo nelle regioni meridionali, a scendere in piazza, portando a una proliferazione di episodi di protesta nei governatorati di Sidi Bouzid, Gafsa, Kasserine, Sfax e Kairouan.[12] Il premier Mechichi si è impegnato a non ignorare queste ulteriori rivendicazioni.

Un’ulteriore ondata di proteste ha toccato il paese agli inizi di dicembre, questa volta portata avanti dai lavoratori del settore sanitario pubblico dopo la morte di un giovane specializzando precipitato nel vano ascensore dell’ospedale regionale di Jendouba a causa di un malfunzionamento dell’ascensore stesso. Le proteste sono culminate in uno sciopero nazionale dei lavoratori della sanità pubblica tenutosi l’8 dicembre. Le principali rivendicazioni dei manifestanti hanno incluso la richiesta di nuovi investimenti nelle strutture sanitarie del paese, una migliore gestione di questo settore, ritenuta fallimentare, e un’inchiesta che porti alla luce i responsabili della morte del giovane specializzando. Secondo il Cri Index (Commitment to Reducing Inequality Index), sviluppato da Development Finance International e Oxfam International, la spesa del paese per la sanità è scesa tra il 2011 e il 2019 dal 6,6% al 5,5% della spesa pubblica totale. Quest’ultimo dato pone la Tunisia al 146° posto dell’indice menzionato, su un totale di 158 paesi inclusi.[13]

A partire dallo scorso settembre il sistema sanitario tunisino ha inoltre dovuto fare i conti con una seconda e più intensa ondata di contagi da Covid-19, che ne ha messo anch’essa in evidenza tutte le inadeguatezze. Nell’ultimo quadrimestre del 2020 le terapie intensive di molti ospedali in diverse aree del paese hanno raggiunto il livello di saturazione. La mancanza di adeguati dispositivi protettivi per il personale sanitario, nonché in molti casi di percorsi e triage separati per i sospetti casi di Covid-19, ha ulteriormente peggiorato il quadro.[14] A inizio dicembre il ministro della Salute tunisino ha dichiarato che il paese ha in programma di acquistare 6 milioni di dosi di vaccino anti-coronavirus per vaccinare circa il 25% della popolazione totale. Il ministro ha anche aggiunto che l’obiettivo finale è quello di arrivare almeno al 50% della popolazione.[15] A metà dicembre è stato annunciato che 2 milioni di dosi di vaccino saranno fornite da Pfizer/BioNTech e verranno consegnate alle autorità tunisine nel secondo trimestre del 2021.[16]

Al 10 gennaio 2021 la Tunisia contava un totale di 159.276 casi e 5.215 decessi per coronavirus.[17] Per evitare un’ulteriore crescita dei contagi, a partire dal 14 gennaio il governo tunisino ha imposto un lockdown della durata di quattro giorni su tutto il territorio nazionale, seguito da una settimana di misure meno restrittive. La scelta di imporre un lockdown su tutto il territorio nazionale proprio nei giorni in cui cadeva il 10° anniversario dalla cacciata di Ben Ali dal paese sembra essere stata dettata anche dalla volontà d’impedire lo svolgimento di manifestazioni ed eventi pubblici in quei giorni.

Tuttavia, nonostante l’imposizione del lockdown e del relativo coprifuoco, a partire dal 15 gennaio una nuova ondata di proteste e disordini è scoppiata in numerose città del paese, degenerando in molti casi in scontri, soprattutto notturni, tra giovani abitanti dei quartieri popolari e forze dell’ordine. In risposta, il 17 gennaio il governo ha schierato l’esercito in vari governatorati a supporto delle forze di polizia. Il giorno seguente le manifestazioni hanno raggiunto il centro di Tunisi, dove si sono protratte per diversi giorni. Sabato 23 gennaio si è tenuta nella capitale una partecipata manifestazione di protesta per chiedere il rilascio degli oltre mille giovani, di cui una larga fetta minorenni, arrestati in tutto il paese nei giorni precedenti. Diversi osservatori e organizzazioni per la difesa dei diritti umani, tra cui Amnesty International, hanno evidenziato come, in numerose occasioni, le forze di sicurezza abbiano fatto un uso eccessivo della forza.[18] Nel corso delle proteste sono stati nuovamente scanditi gli slogan della rivoluzione di dieci anni prima, rivolti questa volta contro l’attuale classe politica e il continuo deterioramento delle condizioni di vita della popolazione.

 

Relazioni esterne

Il 9 novembre scorso si sono aperti a Tunisi i lavori, in presenza, del Forum del Dialogo Politico Libico, organismo sotto l’egida delle Nazioni Unite nato in seguito alla Conferenza di Berlino. Il presidente tunisino Saied è intervenuto all’inaugurazione dei lavori, dove ha dichiarato che l’obiettivo del Forum fosse quello di ripristinare la sovranità libica e il diritto all’autodeterminazione dei suoi cittadini. Nel corso dell’intervento il presidente ha anche sottolineato come i negoziati dovessero ambire alla riunificazione della Libia, e come l’utilizzo di una retorica divisiva rischiasse di essere un pericolo non solo per la Libia ma per l’intera regione.

In ambito di relazioni bilaterali, nei mesi scorsi la Tunisia è stata meta di alcune delegazioni di alto livello. Il 30 settembre l’allora segretario della Difesa statunitense Mark Esper si era recato in visita a Tunisi, dove aveva incontrato il presidente Saied e il suo omologo tunisino, Ibrahim Bartagi. Nel corso dei colloqui il segretario della Difesa americano e il ministro Bartagi avevano sottoscritto un accordo di cooperazione militare decennale. La visita di Esper, che nei giorni seguenti si era recato in Algeria e Marocco, si inserisce in un più ampio piano statunitense volto a rafforzare la cooperazione militare con i paesi della regione, sia in ottica di contrasto all’espansione della presenza russa e cinese nel Maghreb, sia per potenziare la comune lotta al terrorismo di matrice islamica.

Il 6 novembre il ministro dell’Interno francese Gerald Darmanin, in visita a Tunisi, ha discusso con il suo omologo tunisino, Taoufik Charfeddine, del rimpatrio di 231 cittadini tunisini soggetti a procedimento di espulsione in Francia perché sospettati di radicalizzazione o di appartenenza a gruppi estremisti o terroristici di matrice islamica. La richiesta di espulsione di questi individui era stata presentata in seguito all’attentato del 29 ottobre nella cattedrale di Nizza, nel quale avevano perso la vita tre persone. L’attentatore era stato identificato in Brahim Aoussaoui, cittadino tunisino che aveva raggiunto il suolo francese dopo essere sbarcato illegalmente a Lampedusa il 20 settembre dello scorso anno. In tale occasione il governo tunisino s’impegna a facilitare il rilascio della documentazione necessaria ad avviare le procedure di espulsione.

Per quanto riguarda i rapporti tra Tunisia e Italia, lo scorso ottobre sono iniziati i voli straordinari aventi l’obiettivo di raddoppiare il numero di rimpatri settimanali verso la Tunisia. L’accordo sull’aumento dei rimpatri era stato discusso il 27 luglio scorso in occasione della prima visita a Tunisi del ministro dell’Interno Luciana Lamorgese, ed era stato poi confermato durante i meeting tenutisi a Tunisi il 17 agosto a cui hanno partecipato lo stesso ministro dell’Interno, il ministro degli Esteri Luigi Di Maio e i commissari europei per l’Allargamento e la Politica di Vicinato e per gli Affari Interni.[19] La proposta di aumentare il numero di rimpatri, con l’obiettivo di portarli a 500-600 individui al mese, era nata in seguito all’aumento nel 2020 del numero di arrivi in Italia di migranti di nazionalità tunisina, passati dai 2.654 del 2019 ai 12.883 dello scorso anno.[20][21]

[1] F. Aliriza, “With No New Laws Passed, Government Coalition Under Strain”, Nawaat & Meshkal, 3 dicembre 2020.

[2] “Crise. En Tunisie, Une Bagarre Au Parlement Met Le Feu Aux Poudres”, Courrier International, 8 dicembre 2020.

[3]Real Gdp Growth – Tunisia, International Monetary Fund.

[4] “Tunisia: Budget Law Approved, 4% Growth In 2021”, Ansa Med, 11 dicembre 2020.

[5] F. Ghiles, “With Dim Economic Prospects, Tunisia ‘Dancing on Volcano’”, The Arab Weekly, 20 ottobre 2020.

[6] “Tunisia: Budget Law Approved, 4% Growth in 2021”…, cit.

[7] G. Lopez-Acevedo, V. Mendiratta, D. Kokas e A.R. El Lahga, Impacts of Covid-19 On Household Welfare in Tunisia, The World Bank, 17 dicembre 2020.

[8] D. Cristiani, Tunisia’s Political Landscape a Decade After the Jasmine Revolution, Atlantic Council, 17 dicembre 2020.

[9] Ibidem.

[10] “Sondage: Abir Moussi et le Pdl poursuivent leur avancée”, Kapitalis, 20 gennaio 2021.

[11] C. Pica, “Verso il ritorno dello stato di polizia in Tunisia?”, Dinamo Press, 8 ottobre 2020.

[12] A. Poletti, “Se boicotti, il governo ti guarda. In Tunisia mancano anche le bombole del gas”, Il Foglio, 4 dicembre 2020.

[13]Inequality Index – Country Profiles, Oxfam International & Development Finance International.

[14] Z. Boughzou, “Covid-19: Dans Les Hôpitaux Saturés, Des Soignant·Es Impuissant·Es”, Inkyfada, 2 ottobre 2020.

[15] “Tunisia To Acquire 6 Million Doses of Vaccine Against Covid-19 (Health Minister)”, Agence Tunis Afrique Presse, 4 dicembre 2020.

[16] W. Jlassi, “Tunisie: Acquisition de deux millions de doses de vaccins Pfizer/Biontech contre la Covid-19”, Agence Anadolu, 15 dicembre 2020.

[17]Data Covid-19 Tunisia, Worldometer.

[18]Tunisia: Authorities Must Refrain from Using Unnecessary and Excessive Force Against Protesters, Amnesty International, 18 gennaio 2021.

[19] A. Ziniti, “Migranti, al via i rimpatri straordinari verso la Tunisia. Più voli charter per rimandare indietro chi arriva con gli sbarchi autonomi”, La Repubblica, 21 settembre 2020.

[20] Dati ministero dell’Interno 2019-2020.

[21] “A Tunisi Di Maio e Lamorgese: soldi in cambio di controlli”, Euronews, 18 agosto 2020.

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Fabio Frettoli
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