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Commentary

Tunisia: un nuovo primo ministro per una vecchia politica?

Stefano M. Torelli
18 Dicembre 2013

I negoziati che proseguivano ormai da mesi per la nomina di un nuovo primo ministro incaricato di formare un governo di transizione che traghetti la Tunisia alle prossime elezioni, hanno finalmente prodotto un risultato. Nella giornata di domenica, le forze politiche tunisine e l’UGTT, l’influente sindacato che si è posto come forza mediatrice tra le varie parti in campo, hanno reso noto il nome della persona incaricata di formare un nuovo governo. Si tratta di Mehdi Jomaa, attuale ministro dell’Industria nel governo formato dalla cosiddetta Troika – il partito islamici Ennahda, Ettakatol e il Congresso per la Repubblica – e ritenuto un personaggio super partes. Le ragioni alla base della scelta sono state essenzialmente tre: questa sua supposta neutralità, la giovane età e il fatto che, da industriale, possa essere in grado di affrontare le problematiche più serie e stringenti per il futuro del paese, ovvero quelle legate alla crisi economica.

Sicuramente il requisito della giovane età, avendo il neo-nominato Primo Ministro 51 anni, è un punto a suo favore solo se si considera l’età media dall’attuale classe politica e l’età dell’altro candidato che era stato indicato per ricoprire il ruolo assegnato a Jomaa, ovvero il 92enne Mustafa Filali. Quest’ultimo era stato addirittura ministro dell’Agricoltura sotto il primo governo di Habib Bourguiba, padre fondatore dell’attuale Tunisia, nel 1956. A tal proposito, a ben vedere, tanto basta per comprendere quanto poco innovative e rivoluzionarie fossero le intenzioni dei partiti tunisini nella scelta del nuovo capo del governo. Dal punto di vista della novità e della neutralità, invece, in molti hanno espresso dei dubbi circa la figura di Jomaa. Sebbene non si tratti di un politico di professione e sia rimasto fuori dallo scontro ideologico tra islamisti e le correnti di sinistra che, dagli anni Ottanta in poi, ha caratterizzato la società tunisina – e che oggi si sta radicalizzando sempre di più –, il fatto stesso che sia parte dell’attuale governo guidato da Ennahda ha fatto sollevare più di un dubbio sulla sua indipendenza. Del resto, la sua candidatura è stata approvata all’unanimità da tutti e tre i partiti della coalizione governativa, mentre ha creato una nuova spaccatura nel fronte delle opposizioni: il maggior partito di opposizione Nida Tounes si è addirittura prematuramente ritirato dalla votazione, mentre il Fronte popolare e Joumhouri hanno espresso il loro parere contrario, denunciando un sistema di nomina poco inclusivo.

Quello che doveva essere il dialogo nazionale, dunque, ha prodotto un’altra spaccatura tra i due opposti fronti politici e non è riuscito a proporre un nome per il nuovo governo che possa essere realmente espressione di tutte le forze in campo, anche dal punto di vista sociale, non solo politico. È su quest’ultimo fronte, infatti, che sembra giocarsi la partita per il futuro della Tunisia: i dati socio-economici del paese continuano a essere preoccupanti e, per di più, sono aggravati da mesi di stallo politico. La nomina del nuovo primo ministro avrebbe dovuto porre fine a questa fase di blocco e avviare una nuova stagione della transizione tunisina, fino alle prossime elezioni che determineranno i nuovi equilibri politici. Sotto questo punto di vista, appare difficile che Jomaa possa portare una nuova rivoluzione nel paese, essendo espressione di una elite che risulta distante dalle problematiche della piazza e, soprattutto, dei giovani ragazzi che tre anni fa hanno contribuito con le loro proteste alla caduta del regime di Ben ‘Ali. Per questi ultimi, la scelta del nuovo primo ministro è vissuta come un cambiamento solo di facciata e ciò difficilmente aiuterà a stemperare le tensioni e i disordini sociali, con manifestazioni, scioperi e scontri che continuano a rendere la Tunisia instabile. Le difficoltà politiche, del resto, si riverberano facilmente sulle prestazioni economiche del paese, con il risultato che gli investimenti esteri fanno fatica a riprendere piede, l’economia cresce a ritmi più rallentati (per la prima volta dopo il 2011, il tasso di crescita del Pil è tornato ad essere sotto il 3%). In tal modo, anche la forza lavoro non riesce ad essere assorbita e la disoccupazione continua ad essere molto alta, con un tasso di circa il 17%. 

L’andamento dell’economia, così come lo stallo politico, sono infine influenzati da un altro fenomeno che sta nuovamente prendendo piede nel paese negli ultimi mesi: quello della violenza politica e del terrorismo. La prima si è manifestata con le uccisioni dei due membri di opposizione Chokri Belaid e Mohamed Brahmi che, avvenuta lo scorso luglio, ha scatenato l’attuale crisi politica. Il terrorismo di matrice islamica, invece, si è manifestato inizialmente nelle aree periferiche di confine con l’Algeria e ha colpito essenzialmente obiettivi militari. Lo scorso ottobre, però, due episodi di attacchi suicidi a Sousse (in cui è morto solo l’attentatore) e a Monastir (quest’ultimo sventato), hanno evidenziato un trend preoccupante di “urbanizzazione” del terrorismo, che potrebbe destabilizzare ulteriormente il paese. Se da un lato tali fenomeni possono essere ricondotti a infiltrazioni esterne – soprattutto legate alla galassia di al-Qaeda nel Maghreb Islamico dall’Algeria –, non è da escludersi che alcuni singoli casi possano essere il diretto risultato della frustrazione di persone deluse dall’attuale condizione politica, che si radicalizzano. In tal senso, è da tenere sott’occhio anche l’evoluzione del movimento salafita Ansar al-Shari‘a, messo al bando dal governo guidato da Ennahda e, per questo, protagonista di uno scontro sempre più diretto con le istituzioni, come dimostrato dalle recenti manifestazioni dello scorso 17 dicembre.   

Cosa produrrà, dunque, la nomina del nuovo primo ministro? Se, da un lato, è comunque da sottolineare come si tratti solo di un primo passo verso la formazione del nuovo governo, la quale dovrà essere preceduta da un difficile accordo tra i partiti al governo e di opposizione sulla Costituzione e sulla data delle prossime elezioni, dall’altro la nomina di Jomaa sembra rappresentare una mossa vincente per Ennahda. Tutti i suoi principali avversari politici, infatti, escono indeboliti dalla decisione. Le opposizioni si sono nuovamente divise al loro interno e hanno mancato di un approccio comune; il maggiore sindacato del paese, nonché principale attore negoziatore, l’UGTT, ha suscitato la delusione di coloro che speravano in un cambiamento radicale e, infine, con le forze islamiste in piazza e in un clima reso teso dagli episodi di terrorismo, Ennahda può esercitare un controllo maggiore sul paese e imporre standard più alti di sicurezza. La Tunisia si avvia dunque verso la nuova fase di transizione democratica con le maggiori problematiche ancora aperte. La crisi socio-economica, l’incapacità di rinnovamento dell’elite politica – che sia espressione dell’Islam politico, come nel caso di Ennahda, o delle forze laiche – e la profonda spaccatura rappresentata dal cleavage islamisti vs. secolaristi, sono ancora le principali questioni da risolvere. Un nuovo nome alla guida di un nuovo governo, ma espressione delle attuali classi dirigenti, difficilmente potrà aiutare a sciogliere i nodi ancora intricati della transizione tunisina.  

Stefano M. Torelli, ISPI Research Fellow

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Tunisia Jomaa Elezioni Ennhada UGTT Filali islamisti stabilità Ben Ali Bourguiba crisi politica
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Stefano M. Torelli
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