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Crisi Russia Ucraina

Turchia: Fuoco incrociato sull'economia

Valeria Talbot
04 marzo 2022

Il precipitare della crisi tra Russia e Ucraina in una vera e propria guerra ha messo la Turchia, che intrattiene buone relazioni con entrambi i Paesi, in una posizione difficile tanto sul piano diplomatico quanto a livello economico.

 

“Interdipendenza asimmetrica” con Mosca

Il rapporto con Mosca si è sviluppato negli anni seguendo il doppio binario della cooperazione e della competizione, in quella che alcuni analisti definiscono una interdipendenza asimmetrica a favore di Mosca. Oltre alla relazione personale tra il presidente turco Erdoğan e il suo omologo russo Putin, la cooperazione tra Turchia e Russia si è sviluppata in diversi ambiti. Il primo, e più importante, è costituito dall’energia, e in particolare dal gas naturale. Con oltre il 33% degli approvvigionamenti di gas, la Russia è il primo fornitore della Turchia, nonostante negli anni la quota russa si sia progressivamente ridotta (era oltre il 60% nel 2011) come conseguenza della politica di diversificazione energetica perseguita da Ankara e all’arrivo sul mercato turco del gas dall’Azerbaigian. Il gas russo, che giunge in territorio turco attraverso due gasdotti sottomarini nel Mar Nero (il Blue Stream, inaugurato nel 2003, e il TurkStream, messo in funzione nel 2020), garantisce dei flussi costanti che non si sono interrotti neanche nelle fasi più critiche delle relazioni bilaterali, come quella seguita all’abbattimento di un jet russo in Siria da parte delle forze turche nell’ottobre del 2015. Al di là del gas, la cooperazione energetica si è estesa anche al nucleare, con la società russa Rosatom che sta sviluppando la prima centrale nucleare turca nell’Anatolia meridionale, centrale che dovrebbe produrre circa il 10% del fabbisogno di elettricità del Paese a partire dal 2025.

Va da sé che le forniture energetiche costituiscono la parte più consistente dell’interscambio tra Turchia e Russia. La Russia è il terzo partner commerciale della Turchia, dopo Germania e Cina, con un import-export di 34,7 miliardi di dollari nel 2021, e il secondo fornitore dopo la Cina con importazioni turche che sfiorano i 29 miliardi di dollari, mentre le esportazioni turche sono poco meno di 6 miliardi di dollari. È dunque evidente lo squilibrio in termini commerciali a favore di Mosca, sebbene negli anni l’export turco – principalmente macchinari, prodotti alimentari e tessili – sia cresciuto considerevolmente. Oltre ai flussi di gas, dalla Russia provengono consistenti flussi di visitatori che rappresentano una considerevole fetta del settore turistico turco. Nel 2019, prima che la pandemia contraesse il comparto a livello mondiale, i russi sono stati i turisti più numerosi in Turchia con 7 milioni di presenze, e sono stati anche i primi a ritornare quando l’allentamento delle restrizioni ai viaggi imposte dalla pandemia lo hanno consentito. Con  4,7 milioni di presenze nel 2021 i turisti russi hanno coperto il 19% del totale.

Più di recente alla cooperazione energetica ed economica si aggiunto un nuovo, e più problematico, settore, quello della difesa. Nel 2019 Ankara ha infatti acquistato il sistema di difesa missilistico russo S-400, che però è valso alla Turchia, membro della NATO, l’espulsione dal programma di sviluppo degli F-35 oltre a sanzioni statunitensi.

Tuttavia, alla cooperazione tra Turchia e Russia fa da contraltare una accesa competizione in diversi teatri di crisi, in particolare in Siria e Libia dove i due Paesi si trovano su fronti contrapposti, e dove entrambe cercano di consolidare le rispettive posizioni e influenza, evitando allo stesso tempo qualsiasi scontro diretto. Se la compartimentalizzazione degli interessi rimane la caratteristica principale di questa complessa relazione, Ankara, per voce del suo ministro degli Esteri Mevlüt Çavuşoğlu, non ha tardato a definire inaccettabile tanto la decisione della Russia di riconoscere come indipendenti due repubbliche separatiste del Donbass nell’Ucraina orientale, quanto l’invasione avvenuta due giorni dopo.  Mentre il presidente Erdoğan tiene aperti i canali di dialogo sia con Mosca che con Kiev, i suoi tentativi di svolgere una mediazione tra i due fronti non hanno finora trovato un riscontro effettivo

 

La posta in gioco  sul fronte ucraino

Per la Turchia, che ha molto da perdere dal conflitto tra Kiev e Mosca, è in gioco la sicurezza del suo vicinato settentrionale e l’equilibrio di forze nel Mar Nero, area particolarmente sensibile nella storia delle relazioni turco-russe. Su questo sfondo, da una prospettiva turca, l’Ucraina costituisce un argine all’influenza e alla pressione russa nella regione del Mar Nero. In quest’ottica, non sorprende che la Turchia non abbia riconosciuto l’annessione russa della Crimea nel 2014. Proprio a partire da questo periodo le relazioni tra Ankara e Kiev si sono consolidate tanto in ambito economico quanto nel settore della difesa. L’interscambio tra i due Paesi ha raggiunto i 7,4 miliardi di dollari nel 2021, e l’obiettivo era quello di portarlo a 10 miliardi dopo la firma dell’accordo di libero scambio in occasione della visita di Erdogan a Kiev a inizio febbraio nel pieno della crisi.

Ma gli sviluppi più interessanti hanno riguardato soprattutto il settore della difesa. L’accordo di cooperazione, firmato anch’esso a febbraio, per la produzione di droni in Ucraina aggiunge un ulteriore tassello a una partnership che si è intensificata negli anni. Dal 2014 società turche hanno giocato un ruolo rilevante nella modernizzazione del comparto militare ucraino, mentre droni da combattimento turchi, Bayraktar, sono stati utilizzati da Kiev nell’ottobre del 2021 proprio contro forze russe nel Donbass, suscitando dure reazioni da parte di Mosca.

Sebbene non abbia mancato di manifestare il proprio sostegno all’Ucraina, la Turchia si guarda bene dal compiere mosse che possano compromettere i suoi interessi e la relazione con Mosca. Tuttavia, dopo avere riconosciuto la situazione sul campo come una vera e propria guerra, il governo turco si è appellato alla piena applicazione della Convenzione di Montreux che dal 1936 regolamenta il regime degli Stretti. In base alla Convenzione, quindi, le navi militari degli Stati belligeranti non possono passare attraverso il Bosforo e i Dardanelli in tempo di guerra, fermo restando il loro diritto di transito per ritornare alle basi nel Mar Nero. Una mossa dovuta quella di Ankara che, sebbene abbia votato in seno all’Assemblea generale delle Nazioni Unite a favore della risoluzione di condanna dell’invasione russa, si trova costretta a un difficile esercizio di bilanciamento tra interessi e partner diversi. Un complesso equilibrio non solo tra Mosca e Kiev, ma anche nei confronti degli alleati della NATO, compatti nell’adozione di sanzioni alla Russia. Come in passato, anche in questo caso, tuttavia, la Turchia non sembra avere intenzione di aderire alle sanzioni occidentali, sulla cui efficacia ha espresso dubbi.

 

Economia ancor più in affanno

Ankara, di fatto, non può permettersi l’applicazione di sanzioni che avrebbero implicazioni tanto a livello diplomatico, segnando un deciso strappo con la Russia, quanto sulla sua economia da tempo in forte affanno. Tuttavia, a prescindere dalle sanzioni, l’economia turca non sarà esente dalle ricadute della guerra in Ucraina, i cui effetti si faranno sentire nel breve termine accelerando delle tendenze già in atto, e dall’instabilità sui mercati internazionali per l’aumento dei prezzi delle commodities. L’immediato balzo del prezzo del petrolio, a livelli che non si vedevano dal 2014, farà inevitabilmente aumentare il deficit della bilancia commerciale del Paese che dipende quasi interamente dalle importazioni per soddisfare il proprio fabbisogno energetico. Anche l’aumento del prezzo del grano avrà un impatto non solo sul deficit di conto corrente ma anche sui prezzi al consumo di farina e derivati. Infatti, nonostante la Turchia produca circa la metà del grano che consuma, da Russia e Ucraina proviene il 78% delle sue importazioni.

Le prospettive dunque non sono rosee per un Paese in cui l’inflazione è aumentata esponenzialmente negli ultimi mesi, attestandosi al 54,44% a febbraio (il valore più alto degli ultimi vent’anni, era al 15,61% a febbraio 2021), e la cui moneta nell’ultimo anno ha perso il 44% del suo valore rispetto al dollaro. In particolare, un significativo rialzo dei prezzi al consumo si è registrato nei trasporti (+75,75%), e nei generi alimentari e bevande non alcoliche (+64,47%), andando a intaccare ulteriormente il potere d’acquisto di ampie fasce della popolazione turca. Va da sé che tutto ciò contribuirà ad accresce il malcontento per il deterioramento del quadro macroeconomico e degli standard di vita che andrà a intaccare ulteriormente il consenso nei confronti della leadership turca. Una leadership che proprio sulla performance economica aveva in passato costruito la base del suo successo elettorale.

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