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MEDITERRANEO

Turchia nuovo hub energetico?

Alessandro Gili
16 Dicembre 2022

Dallo scoppio della guerra in Ucraina, ormai più di nove mesi fa, sullo sfondo di relazioni al limite del conflitto tra Occidente e Russia è da subito emerso un attore che ha acquisito progressivamente spazio nella mediazione tra Federazione Russa e Ucraina. È la Turchia, divenuta nell’ultimo decennio un cardine degli equilibri mediterranei e del Mar Nero, con un attivismo sempre maggiore nel Mediterraneo orientale, ma anche nel Mediterraneo centrale, come dimostra il protagonismo di Ankara negli sviluppi della situazione libica.

 

Le infrastrutture a supporto della strategia energetica turca

Protagonismo nello scenario mediterraneo significa inevitabilmente una rinnovata centralità anche nella dimensione energetica, proprio perché dal territorio turco passano gli unici gasdotti alternativi a quelli russi per l’Europa centrale e meridionale.

Quattro sono in particolare le pipelines che riforniscono la rete di distribuzione nazionale turca: innanzitutto il Blue Stream, che con una capacità di 16 miliardi di metri cubi all’anno trasporta il gas russo sino al porto turco di Samsun, nel Mar Nero. La seconda pipeline, con una portata di 10 miliardi di metri cubi all’anno, collega l’Iran alla Turchia, rifornendo in particolare la provincia di Ankara e le province dell’Anatolia orientale.

Il terzo gasdotto è il Trans-Anatolian gas pipeline (TANAP), che trasporta il gas azero fino in Puglia, mediante l’interconnessione con il Trans-Adriatic Pipeline (TAP): attraversando l’intera Anatolia ha una capacità di trasporto pari a 16 miliardi di metri cubi all’anno, che saranno aumentati a 23 miliardi a partire dal prossimo anno. Ma la capacità di questo gasdotto sarà notevolmente espansa attraverso due ulteriori interventi: il primo, nel 2026, porterà la capacità a 31 miliardi di metri cubi l’anno; il secondo, che sarà realizzato se il Turkmenistan costruirà una pipeline aggiuntiva per attraversare il Mar Caspio, porterà la capacità sino a 60 miliardi di metri cubi l’anno. E in tale prospettiva si inserisce l’accordo firmato a luglio 2022 tra Unione europea e Azerbaigian per raddoppiare le importazioni di gas azero entro il 2027.

Infine, il quarto gasdotto è il Turkstream. Per una portata complessiva di 31 miliardi di metri cubi, esso è diviso in due pipeline. La prima, da 15,5 miliardi di metri cubi, è la principale infrastruttura energetica che permette il rifornimento del gas russo direttamente alla porzione turca della Tracia ed è destinata esclusivamente al mercato turco. La seconda, sempre da 15,5 miliardi di metri cubi, rifornisce principalmente la Bulgaria e altri Paesi dell’Unione europea. La costruzione del Turkstream, e la sua attivazione a gennaio 2020, ha quindi costituito un ulteriore tassello della politica energetica di Mosca, aumentando la dipendenza della Turchia.

Da questo quadro si evincono chiaramente le motivazioni che hanno portato il presidente russo Vladimir Putin a proporre a metà ottobre alla Turchia un ruolo di primo piano come hub energetico del gas per l’Europa, una proposta sin da subito accolta positivamente dal presidente turco Recep Tayyip Erdoğan. Una possibilità nuovamente discussa l’11 dicembre durante un bilaterale telefonico tra i due leader e confermata dall’incontro del 9 dicembre tra il capo di Gazprom e il Presidente Erdoğan a Istanbul.

Un hub energetico è una sorta di centro di distribuzione con infrastrutture di stoccaggio nonché un mercato energetico di scambio, con la possibilità di rivendere gas a differenti compratori e fissare prezzi di riferimento. Per essere un hub energetico credibile è necessario quindi possedere alcuni requisiti: diversificazione di rotte e fornitori, indipendenza nelle decisioni energetiche, domanda e offerta che determinano il prezzo di mercato e volontà politica dei principali partner di essere coinvolti. La Russia, in particolare dopo le esplosioni che hanno compromesso i gasdotti Nord Stream 1 e 2, intenderebbe riorientare le forniture verso i gasdotti turchi e da lì verso l’Europa. Ma tale soluzione è di scarso interesse per l’Unione europea: non solo nel medio e lungo termine l’Unione è impegnata nell’eliminare il gas russo dal proprio mix energetico (ed eliminare completamente il gas nel lungo termine), ma nel breve termine sarebbero sufficienti i gasdotti attualmente sottoutilizzati, come il gasdotto transitante dall’Ucraina o quello che dalla Bielorussia arriva in Germania (Yamal, totalmente inutilizzato) per assicurare le forniture di gas al Vecchio continente. E soprattutto tale progetto potrebbe complicare la situazione per la Turchia: quest’ultima diverrebbe ancora più dipendente da Mosca, trasformandola in un hub energetico russo e privandola di autonomia nelle scelte di politica energetica.

Tuttavia, è innegabile che l’importanza della Turchia come mercato di transito sia destinata ad aumentare. L’UE intende infatti diversificare le proprie forniture guardando, tra le diverse opzioni, ad Azerbaigian e Turkmenistan, ma anche al Vicino Oriente. Le vaste riserve di gas del Turkmenistan, pari a circa 20 trilioni di metri cubi, potrebbero essere maggiormente sfruttate e arrivare in Europa attraverso la Turchia (come prima ricordato), così come le riserve azere. Un ulteriore progetto potrebbe essere quello di portare il gas dell’Iraq settentrionale, costruendo un nuovo gasdotto di circa 200 km per connetterlo poi alla rete principale. Infine, i giacimenti di gas Sakarya scoperti a nord delle coste della Turchia nel 2020, pari a circa 540 miliardi di metri cubi, entreranno in funzione l’anno prossimo e potranno fornire fino al 25% della domanda di gas naturale turco.  Attraverso questo nuovo giacimento, la Turchia ha costruito una prima "base energetica" a Sakarya, che nelle intenzioni di Erdoğan dovrebbe divenire un mercato di riferimento per il gas naturale. Il presidente turco, in particolare, ha annunciato che la Turchia è in procinto di creare un mercato dell’energia avanzato in cui prodotti diversificati, insieme a molteplici contratti, permetteranno di determinare prezzi di riferimento per il mercato del gas naturale.

Ma naturalmente, per rendere credibile la volontà di divenire un hub energetico regionale, è necessario che la Turchia potenzi la portata del gasdotto TANAP che percorre l’intera penisola anatolica. Ed è utile ricordare come il Paese sia un importatore netto di gas, il terzo in Europa dopo Germania e Italia, con contratti in essere con Russia, Iran, Azerbaigian e Algeria. La Turchia dipende in particolar modo dalla Russia, che ha fornito il 45% della domanda domestica di gas nel 2021.

 

I concorrenti del progetto turco

In questo quadro, l’Unione europea guarda anche a progetti potenzialmente concorrenti alla strategia turca, in particolare a causa del rinnovato interesse verso il gasdotto East Med. Questo gasdotto, che sarà progettato e costruito anche dall’italiana Edison e inserito nel 2013 tra i Progetti di Comune Interesse dell’UE, dovrebbe essere lungo circa 1.900 km con una portata di circa 10 miliardi di metri cubi l’anno (espandibili a 20), per un costo di circa 12 miliardi di euro. Il passo fondamentale per l’avvio del progetto si è avuto quando, il 20 marzo 2019, i governi di Grecia, Cipro e Israele firmarono l’accordo internazionale intergovernativo per la sua costruzione, alla presenza del Segretario di Stato USA Myke Pompeo. L’amministrazione statunitense, infatti, vedeva nel gasdotto uno strumento strategico per ridurre la dipendenza cronica dei Paesi europei dal gas russo.

A gennaio 2020 i tre Paesi confermarono la costruzione del gasdotto attraverso gli accordi di Zappeion. Una mossa inquadrabile anche come risposta all’espansionismo turco nel Mediterraneo centrale e orientale. In particolare la Turchia, attraverso la firma nel novembre 2019 di un accordo internazionale con il governo di Tripoli per la delimitazione delle Zone economiche esclusive (poco rispondente ai criteri del diritto internazionale, in particolare della Convenzione di Montego Bay del 1982 sul Diritto del mare), tentava anche di porre un ostacolo alla costruzione dell’East Med.

Successivamente, il gasdotto ha conosciuto un periodo di declino d’interesse, a causa del diminuire dei costi del gas, che hanno ridotto la fattibilità economico/finanziaria del progetto, nonché per considerazioni di compatibilità ambientale, soprattutto dopo il varo del Green Deal europeo e delle decisioni della Banca europea degli Investimenti, che hanno impegnato la banca ad abbandonare progressivamente il supporto a investimenti energetici di natura fossile.  Tra il 2019 e il 2020 le indecisioni del Governo Conte, che inizialmente aveva annunciato l’opposizione alla costruzione del gasdotto Poseidon – l’ultima parte dell’East Med, che avrebbe dovuto collegare Grecia e Italia – per poi rivalutare il progetto, hanno gettato ulteriori ombre sulla sua realizzazione. Ad inizio 2022, e anche dopo lo scoppio della guerra in Ucraina, gli Stati Uniti hanno ritirato il supporto al progetto, considerato tecnicamente ed economicamente non conveniente, nonché incapace di rispondere alle necessità europee nel breve termine visti i tempi di realizzazione stimati in quattro o cinque anni. Tuttavia, l’Unione europea sembra crederci ai fini della propria diversificazione e sicurezza energetica, e lo ha incluso nello stesso piano REPowerEU. La costruzione come gasdotto H2 Ready, ovvero convertibile in futuro per il trasporto di idrogeno verde, riduce i dubbi complessivi sulla sostenibilità ambientale ed economica di lungo termine. A rafforzare ulteriormente gli elementi a supporto della sua costruzione è la recente scoperta, ad agosto 2022, da parte di ENI e Total di un nuovo immenso giacimento, denominato Cronos-1, al largo delle coste di Cipro con riserve stimate pari a 70 miliardi di metri cubi.

Ma non vi è solo il gasdotto a complicare la scalata turca come hub energetico: a giugno 2022, l’UE ha concluso un accordo con Egitto e Israele per aumentare l’esportazione di gas naturale verso l’Europa, in particolare gas naturale liquefatto (GNL). Particolarmente promettenti appaiono le prospettive di Israele, che potrebbe aumentare nei prossimi anni la produzione di gas fino a 40 miliardi di metri cubi l’anno, in gran parte destinati all’export, vista l’esigua popolazione del Paese. L’aumento della produzione sarà inoltre semplificato dal recente storico accordo tra Israele e Libano, volto alla delimitazione delle rispettive Zone economiche esclusive (ZEE). Al contrario, le nuove scoperte dell’Egitto saranno in larga parte destinate al mercato interno, vista la crescente domanda di energia connessa all’aumento repentino della popolazione.

La stessa costituzione nel 2020 dell’East Mediterranean Gas Forum (EMGF), organizzazione internazionale composta da Italia, Francia, Israele, Cipro, Egitto, Grecia, Giordania e Palestina, con l’appoggio dell’Unione europea membro osservatore insieme agli Stati Uniti, segnala la volontà di creare un mercato del gas naturale nel Mediterraneo orientale e un fronte unito per la cooperazione energetica alternativa alle forniture centrate sulla Turchia.

 

La partita dell’idrogeno

Oltre al gas naturale, la Turchia intende essere protagonista nella partita dell’idrogeno. A partire dal 2020 sono iniziati i primi test sulla rete nazionale per miscelare il gas naturale con idrogeno. A fine 2021 sono state elaborate le prime linee guida di una Strategia per l’Idrogeno, che dovrebbe garantire un forte supporto agli obiettivi di decarbonizzazione dell’economia turca. Il Paese infatti, con la ratifica degli Accordi di Parigi a ottobre 2021, si è impegnato a divenire carbon neutral entro il 2053. Tre le fasi principali di sviluppo della strategia dell’idrogeno: tra il 2025 e il 2030 dovrà essere raggiunto una percentuale di miscela di idrogeno nella rete nazionale del gas del 10%, lo sviluppo di un mercato delle rinnovabili, nonché maggiori incentivi all’industria per la produzione di soluzioni hydrogen-ready. In tale periodo dovranno inoltre essere sviluppate le regolamentazioni per il trasporto, lo stoccaggio, la distribuzione e il consumo di idrogeno. Tra il 2030 e il 2040 la Strategia prevede una miscela di idrogeno nella rete gas fino al 20%, un aumento della produzione di idrogeno e il collegamento dei cluster industriali agli stoccaggi e alle infrastrutture di produzione di idrogeno attraverso gasdotti dedicati. Infine, tra il 2040 e il 2050 è previsto un uso diffuso dell’idrogeno nel settore industriale e negli edifici residenziali, con pipeline compatibili con il trasporto del 100% di idrogeno, la creazione di una capacità sufficiente per la produzione e lo stoccaggio dell’idrogeno stesso. Raggiunti questi obiettivi, il piano intende procedere all’avvio dell’esportazione di idrogeno.

Proprio quest’ultimo punto potrà avere una forte valenza geopolitica e strategica. La Turchia, infatti, intende puntare sull’Europa come mercato di sbocco della propria produzione di idrogeno verde, soprattutto convertendo le esistenti pipeline. Il TAP, in particolare, e le interconnessioni tra Turchia, Grecia e Bulgaria potrebbero potenzialmente trasportare nella fase iniziale idrogeno miscelato a gas naturale, per poi essere riconvertite al trasporto totale di idrogeno nel lungo termine. Tuttavia, la conversione al 100% ad idrogeno richiederà la sostituzione completa dei sistemi di compressione e sarà impossibile finché dall’Europa vi sarà domanda di gas naturale.

Il messaggio comunque è chiaro: sia nel breve termine che nel lungo, sia per il gas naturale sia per l’idrogeno verde, la Turchia intende giocare la sua partita geopolitica ed economica sullo scenario Mediterraneo ed europeo. Ha dimostrato di essere pronta a difendere la propria posizione di centralità per le infrastrutture energetiche regionali di fronte alla competizione di altri attori. Ma anche questi ultimi intendono essere giocatori attivi della partita.

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