La Turchia di Erdogan tra coronavirus e crisi economica | ISPI
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Commentary

Turchia: tutti i guai di Erdogan, tra crisi economica e Covid-19

Valeria Talbot
08 maggio 2020

Con oltre 130.000 casi accertati, la Turchia è oggi il paese del Medio Oriente più colpito dal Covid-19 d, superando anche l’Iran, epicentro del contagio nella regione mediorientale. Nelle ultime settimane i numeri sono cresciuti in maniera esponenziale nel paese dove le misure di contenimento, adottate a partire da fine marzo, sono state giudicate non del tutto tempestive. Di fatto, sebbene scuole, università, moschee e ristoranti siano stati chiusi, il “lockdown” totale è stato adottato solo durante il weekend, la prima volta il 10 aprile con un preavviso di sole due ore che ha creato grande scompiglio e panico soprattutto nelle grandi città dove è scattata una corsa agli acquisti con assembramenti deleteri per la diffusione del contagio. Un altro coprifuoco di tre giorni (dal 23 al 25 aprile) è stato decretato in concomitanza della giornata della sovranità nazionale e dei bambini e l’inizio del Ramadan. Tuttavia, durante la settimana le persone tra i 20 e i 65 anni hanno la possibilità di circolare e diversi settori (come le costruzioni) e attività lavorative non si sono fermati, nonostante le norme sanitarie e di distanziamento sociale previste per il contrasto alla pandemia non sempre vengano rispettate nei luoghi di lavoro.

A metà aprile il ministro della Salute Fahrettin Koca ha dichiarato che la trasmissione del virus ha iniziato a seguire una traiettoria stabile e a essere sotto controllo, ma ciò non sembra rispecchiare la situazione reale. Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità, infatti, il paese non ha ancora raggiunto il suo picco, mentre per l’Associazione dei medici turchi i contagi così come i decessi da coronavirus sarebbero verosimilmente molto più alti. In un paese in cui negli ultimi anni si è accresciuta la centralizzazione del potere nelle mani del presidente Recep Tayyip Erdoğan, alla quale è corrisposta una forte restrizione delle libertà di espressione e del dissenso, le associazioni mediche, fin dall’inizio della pandemia critiche nei confronti delle cifre del ministero della Salute, sono state escluse dalla task force sul coronavirus e dai consigli provinciali riguardanti sulla pandemia. Anche in Turchia, come in altri paesi della regione, il governo ha attuato un’ulteriore stretta sull’informazione, ampliando il controllo sulle notizie relative all’emergenza coronavirus ed etichettando come “fake news” tutte le notizie in contrasto con i dati ufficiali. In questo contesto, sarebbero sette i giornalisti arrestati con l’accusa di avere “diffuso il panico” tra la popolazione con notizie false sulla pandemia, mentre oltre 380 persone sarebbero oggetto di indagine per la pubblicazione di post critici sui social media.

Al di là dello scontro sui numeri della pandemia, se da un punto di vista sanitario il sistema turco, che dal 2003 ha conosciuto un importante processo di ammodernamento, sembra reggere in maniera adeguata all’emergenza grazie anche a una capacità di 40 posti di terapia intensiva ogni 100.000 abitanti utilizzata attualmente per il 60% e cure gratuite per tutti i malati di Covid-19, preoccupano invece le conseguenze della pandemia su un’economia già fortemente provata dalla crisi valutaria del 2018 e dalla recessione che ne è seguita. Secondo il Fondo monetario internazionale (Fmi), sulla scia di una recessione dell’economia globale pari al 3%, nel 2020 anche il Pil turco conoscerà una contrazione stimata al 5%, con una disoccupazione che si attesterà al 17,2%.

Dall’inizio dell’emergenza la spesa pubblica è cresciuta del 16% facendo aumentare il deficit di bilancio a oltre 6 miliardi di euro, mentre da gennaio a inizio maggio la lira turca ha perso circa il 17% del suo valore nei confronti del dollaro.  L’ultima riduzione proprio qualche giorno fa dopo che il ministro delle Finanze Berat Albayrak, in uno dei suoi rari discorsi pubblici, aveva cercato di rassicurare i mercati sulla capacità di ripresa dell’economia turca dalla crisi provocata dalla pandemia

Oltre all’impatto negativo sulla crescita dovuto alla forte contrazione dei consumi interni, del turismo (comparto che nel 2019 contava per 34,5 miliardi di dollari) e dell’export, soprattutto verso l’Europa (principale partner della Turchia), il paese deve far fronte a due problemi di lunga data: da un lato, a un elevato debito estero pari a 172 miliardi di dollari; dall’altro, a limitate riserve valutarie – pari a 89 miliardi di dollari a metà aprile – destinate a diminuire ulteriormente.

Di recente la Banca centrale è intervenuta per ridurre ulteriormente il tasso di interesse di un punto percentuale, portandolo all’8,75%. In linea con l’ormai nota politica dei bassi tassi di interesse del presidente Erdogan, questa riduzione volta principalmente a stimolare crescita e prestiti per imprese e famiglie rischia invece di aumentare la vulnerabilità della valuta turca e di fare crescere l’inflazione (11,9% a marzo). Nonostante le difficoltà economiche, il governo turco ha escluso la possibilità di ricorrere al Fondo monetario internazionale. Malgrado molti economisti siano di parere diverso, Erdoğan ha infatti affermato che l’Fmi, cui il paese ha fatto ricorso per superare la crisi finanziaria del 2001, è un capitolo chiuso per la Turchia. In cerca di finanziamenti, Ankara ha invece rivolto lo sguardo verso l’alleato statunitense, nonostante le relazioni bilaterali rimangano tese. Le autorità turche sarebbero infatti interessate ad accedere alla liquidità in dollari della Federal Reserve attraverso l’apertura di linee di swap, che la banca centrale americana ha concesso ad altri paesi in questa fase di emergenza. Con quest’obiettivo, ma anche per evitare gli effetti disastrosi di eventuali sanzioni di Washington sulla sua fragile economia, la Turchia ha rinviato l’attivazione del sistema missilistico S-400 acquistato dalla Russia – tra le cause dei dissidi degli ultimi anni con gli Stati Uniti – ufficialmente a causa dell’emergenza Covid-19.

Se sul piano economico la pandemia ha fatto riemergere le fragilità della Turchia, sul piano politico si è invece aperto uno scontro tra il governo e alcune municipalità governate dall’opposizione, in primis Istanbul e Ankara. Qui infatti i sindaci del Partito repubblicano del popolo (Chp) hanno avviato campagne di raccolta fondi a sostegno della popolazione durante l’emergenza sanitaria, dichiarate illegittime dalle autorità centrali. La mossa del governo di Erdoğan, che ha prontamente avviato una propria campagna di fundraising, sembra rispondere più a logiche di partito per impedire che l’opposizione possa accrescere i propri consensi che all’interesse generale nel contrastare la pandemia. E ciò appare tanto più evidente a Istanbul, centro della pandemia nel paese con oltre 70.000 contagi, dove la vittoria di Ekrem Imamoğlu alle amministrative dello scorso anno è ancora una ferita aperta tra le fila del Partito Giustizia e Sviluppo (Akp). La mancanza di coordinamento del governo con le municipalità del Chp nella gestione degli interventi appare dunque strumentale, ma l’effetto boomerang è dietro l’angolo. Infatti, se l’appuntamento elettorale del 2023 è ancora lontano, la commistione di interessi politici con la gestione dell’emergenza Covid-19 potrebbe accrescere la conta dei danni al termine della pandemia e non giovare affatto al partito di governo.

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Sciences Po Paris

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Turchia MENA Recep Tayyip Erdoğan
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AUTORI

Valeria Talbot
Co-Head, ISPI MENA Centre

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