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Commentary
Tutte le ragioni della Francia nel negoziato sul nucleare iraniano
20 novembre 2013

Riuniti a Ginevra per un secondo round di negoziati, dal 7 al 10 novembre 2013, i paesi del gruppo "5 +1" (i cinque membri permanenti del Consiglio di Sicurezza e la Germania) da un lato, l'Iran, dall'altro, non hanno raggiunto alcun accordo. La stampa iraniana e i vari commentatori occidentali hanno puntato il dito verso l’"intransigenza" francese.

In realtà, di presidente in presidente, Parigi ha sempre fatto del programma iraniano e della sua dimensione militare una questione di principio. La Francia infatti è prevenuta nei confronti del regime sciita degli ayatollah. Furono del resto forze legate a Teheran che attaccarono, rapirono e assassinarono soldati, diplomatici e cittadini, in particolare alcuni giornalisti, nel disastro libanese degli anni ’80.

I principali giornali hanno ricordato l'attentato del 23 ottobre 1983 quando 58 paracadutisti francesi, schierati per intervenire nella guerra civile libanese, furono dilaniati da un'autobomba lanciata contro il palazzo Drakkar, la sede del contingente francese nella forza multinazionale dell'Onu a Beirut. A metà degli anni ‘80 Parigi fu anche colpita da ondate di terrorismo a causa della controversia franco-iraniana nata intorno al dossier Eurodif, una cooperazione nucleare civile interrotta dopo la rivoluzione islamica in Iran (1979).

Occorre, pertanto, adottare una prospettiva storica e non lasciarsi distrarre dalle modalità positive con le quali è stato presentato il presidente Rouhani alla stregua di un Gorbaciov iraniano. Di fronte alle manovre del regime iraniano, la diplomazia francese si dimostra scettica sul cambiamento strategico di Teheran, ma ancor più importante, ha ben presente la lezione imparata in un decennio di negoziati.

Dalla rivelazione nel 2002 di un programma nucleare iraniano nascosto è indubbio che Teheran violi obblighi derivanti dal Trattato di non proliferazione nucleare. La veridicità dei rapporti redatti dall’Aiea (Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica) è stata avvalorata dal voto unanime di sei risoluzioni del Consiglio di Sicurezza: Mosca e Pechino hanno dovuto rassegnarsi.

Nel 2003 l’asse Parigi-Londra-Berlino ha ottenuto la sospensione del processo di arricchimento dell'uranio (il procedimento necessario per realizzare armi nucleari) da Tehran, che allora temeva possibili atti di forza delle truppe statunitensi dispiegate in Iraq. La sospensione però è stata di breve durata.

Allora capo-negoziatore, Rouhani ha poi presentato questa sospensione provvisoria come una manovra tattica. Oggi il presidente sostiene il diritto dell'Iran di arricchire l'uranio sul proprio territorio, di nuovo facendone proclamazione davanti al parlamento iraniano il 10 novembre 2013, dopo il fallimento dei negoziati.

Se si prendono come punto di partenza i negoziati avviati dall’UE, la diplomazia si è dunque dimostrata incapace di contenere l'Iran. Secondo i dati Aiea, sono state installate dall'inizio del 2013 circa 19.000 centrifughe IR-1 per arricchire l'uranio, le più moderne a Natanz. Teheran possiede più di 6.000 chilogrammi di uranio arricchito al 3,5%, nonché 186 kg di uranio arricchito al 20%, in queste quantità l’uranio iraniano può essere certamente utilizzato a scopo militare. Anche coloro che negavano la gravità della situazione riconoscono ormai che, su un piano rigorosamente tecnico e qualora ce ne sia volontà politica, varcare la soglia militare per l’Iran è solo una questione di mesi.

A questi dati bisogna aggiungerne altri: gli impianti nucleari sotterranei installati al di sotto di una montagna (a Fordow), i possibili test nucleari nella base militare di Parchin, i molteplici sforzi nel campo dei missili balistici e dello sviluppo di una filiera del plutonio. Il reattore di Arak potrebbe essere operativo addirittura entro l'estate 2014. L’Europa Sud-orientaleè a portata di mano sul piano balistico. Più in particolare, lo stato di Israele è stato esplicitamente minacciato di distruzione.

Tattiche dilatorie iraniane e la riluttanza americana a usare la forza permetteranno quindi a Teheran di muoversi verso l'obiettivo: trasformare l'Iran in uno "stato di soglia nucleare". Con questo termine ci si riferisce a un paese che raggiunge la capacità di ottenere l’arma nucleare, nel momento in cui il regime lo ritenga opportuno. Questa prospettiva sta già producendo i suoi effetti, la sensazione che un punto di non ritorno sia stato superato è l’origine di alcune “aperture” nei confronti di Teheran.

Pertanto le sanzioni internazionali hanno prodotto dei risultati e la situazione economica spiega la volontà iraniana di concludere un accordo parziale: il regime ha bisogno di una boccata di ossigeno, attraverso l’allentamento delle sanzioni, e di guadagnare tempo. Al contrario, la diplomazia francese ritiene che la co-munità internazionale non possa essere soddisfatta da un testo negoziato frettolosamente con il pretesto di raggiungere un accordo storico. La Francia si rifiuta di accettare le regole di questo imbroglio (Laurent Fabius).

Così il Ministero degli Esteri francese si attiene alle proposte formulate il 26 febbraio 2013 ad Almaty (Kazakhstan): fermare l'arricchimento dell’uranio quando si avvicina al livello utile alla militarizzazione e trasferire le scorte esistenti all'estero, limitare il numero di centrifughe e il rafforzamento del regime di controllo degli impianti nucleari (ispezioni senza preavviso da parte dell'Aiea, compresa Arak). Il passo successivo riguarderebbe le prospettive di medio e lungo termine dell’arricchimento.

L’“offerta” di Almaty è al di sotto di quanto inizialmente richiesto dalla comunità internazionale, ma sembra che Teheran abbia interpretato questo interesse a negoziare come un segno di debolezza. È vero che la riluttanza dell’amministrazione Obama nei confronti di un suo coinvolgimento per la soluzione della crisi siriana ha giocato un ruolo in questo senso. Dal punto di vista francese, accettare la trasformazione dell'Iran in uno "stato di soglia nucleare" sarebbe il punto di partenza non di un great bargain ma di una grande rinuncia, percepita come tale dall’Iran.

Il riconoscimento dell’Iran come potenza regionale di diritto a volte è presentato con leggerezza, ma non è una semplice gratificazione simbolica o retorica. Il Medio Oriente è in subbuglio e l'ascesa dell'Iran potrebbe amplificare la "turbolenza dei contrari": come si può pensare che i paesi dell’area approverebbero l’arretramento della comunità internazionale?

Con gli occhi ben puntati su Teheran, la diplomazia francese è in prima linea contro la proliferazione nucleare. Tuttavia, solo gli Stati Uniti hanno i mezzi militari necessari per passare eventualmente alla fase armata e distruggere le installazioni iraniane. In tutta questa vicenda, Parigi sembra essere più un ago che una punta di lancia.

Jean-Sylvestre Mongrenier, Associate Research all’Institut Thomas More, Montréal
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Iran Stati Uniti Francia parigi sanzioni arricchimento uranio nucleare Rouhani comunità internazionale diplomazia
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