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Commentary

Tutti amici della nuova Tunisia

17 ottobre 2011

Per la seconda volta in nove mesi la Tunisia sarà sotto i riflettori dell’attenzione internazionale.

La prima volta fu per l’improvvisa e imprevista eruzione della rivolta che nel giro di un paio di settimane defenestrò Ben Ali e innescò quel processo protestatario della Primavera araba che sta ancora attraversando gran parte del mondo arabo.

Adesso perché con le elezioni del 23 ottobre torna a essere il primo paese della Primavera araba a chiamare alle urne i suoi cittadini per eleggere un‘assemblea costituente e compiere l’atto fondante della Tunisia post-rivoluzionaria, dopo nove mesi di laboriosa e a momenti drammatica gestazione.

Nove mesi che non sono bastati a produrre quella fioritura di libertà e di democrazia che sembrava destinata a propagarsi con forza inarrestabile e vincente dal Nord Africa al Medio Oriente e al Golfo; che anzi, sono trascorsi all’insegna di dinamiche che sono andate tratteggiando uno scenario complessivo ancora densamente problematico.

Anche per questa ragione, il fatto che sia arrivata a questo nevralgico traguardo in condizioni politiche di sostanziale normalità, la Tunisia si pone su un piano di invidiabile singolarità che risulterà ancora più marcata se altrettanto si potrà dire riguardo allo svolgimento delle elezioni e se, soprattutto, il loro esito conforterà le previsioni della vigilia.

Si tratta di una singolarità che sta già conferendo a questo paese un peso specifico e un ruolo emblematico del tutto speciale. Ben al di là delle sue dimensioni, della sua popolazione e della dotazione di materie prime, della sua importanza strategica, limitata anche se arricchita dai parametri del suo sviluppo umano ed economico, decisamente superiori a quelli degli altri paesi del Nord Africa. Ben al di là del Maghreb e dello spazio euro-mediterraneo.

Intendiamoci, nessuna Cancelleria sottovaluta le incognite che gravano sul futuro di questo paese alle prese con una frantumazione della rappresentanza politica che richiederà laboriose formule di mediazione, destinate a pesare sulla sua capacità di gestione, su tempi e modalità della formazione della decisione e in termini di propulsione della transizione, e sul quale incombono evidenti rischi di potenziali derive polarizzanti, principalmente se imperniate su chiavi di carattere identitario (nazione, religione, ecc.)

Ma su questi fattori di prevedibile criticità, e grazie allo straordinario lavoro interno e internazionale dei due provvidenziali ottuagenari che tengono le redini del paese – il primo ministro Béji Caid Essebsi e il presidente Fouad M’Bazaa – fa decisamente premio, alla vigilia del voto, una meritata ed esorcizzante fiducia.

Se ne è avuta un’indicazione piuttosto pregnante nel rilievo formale e simbolico, oltre che sostanziale, che Barack Obama ha voluto riservare allo stesso Essebsi «il primo della nuova generazione dei leader della Primavera araba… a essere ricevuto nello Studio ovale della Casa Bianca»; il primo ministro di un paese come la Tunisia rispetto al quale gli Stati Uniti e lo stesso presidente americano hanno sottolineato, «ravvisano un “enormous stake”», e a favore del quale egli stesso ha annunciato un articolato programma di sostegno alla sua transizione verso la piena democrazia e a una robusta ripresa economica e sociale.

È rimasto sotto traccia il tema del possibile successo del partito islamista Ennahda in merito al quale Washington non sembra tuttavia nutrire soverchie preoccupazioni, malgrado la brutta pagina di “Persepolis” (1), anche perché si pensa che possa essere bilanciato da qualcuno dei partiti progressisti in lizza (ad esempio il PDP – Partito democratico progressista).

Se oltre Atlantico si addita la Tunisia come esempio di transizione verso la democrazia per tutto il mondo arabo, le Case reali del Golfo si stanno adoperando per ancorarla all’orizzonte strategico arabo-islamico sunnita di cui aspirano a essere capofila proprio in ragione dei suoi principi di avanzato riformismo politico-religioso. In quest’ottica si spiega del resto la visita effettuata a Tunisi dal ministro degli Esteri saudita, il principe Saud al Faisal, latore di un messaggio del re Abdallah verosimilmente finalizzato a superare l’imbarazzo dell’accoglienza concessa al deposto Ben Ali e famiglia con la ben nota generosità saudita.

Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan dal canto suo, nel corso della recente visita che lo ha portato anche in Egitto e in Libia, ha fatto chiaramente comprendere di guardare alla Tunisia come a un paese sul quale proiettare la sua benedicente influenza neo-ottomana e la sua aggressività economica anche se finora ha dovuto constatare come Tunisi non si ispira a modelli estranei al suo proprio, cospicuo patrimonio politico-sociale-culturale e istituzionale.

Anche dal Maghreb sono chiari i messaggi di sostegno e fra questi spiccano i segni della profonda riconoscenza del presidente del CNT libico tributati proprio la settimana scorsa al governo transitorio tunisino e destinati ad aprire interessanti prospettive economiche.

«…Una nuova Tunisia sta emergendo: aperta, dinamica, prospera e democratica. Un esempio per tutta la regione…». Con queste parole l’alto rappresentante e vice ministro degli Esteri europeo, Catherine Ashton, ha aperto la prima riunione della Task Force Ue/Tunisia a fine settembre scorso, dalla quale è scaturito un programma di concrete misure di sostegno alla transizione democratica e alla ripresa economica di questo paese. Anche qui un segnale di fiducia, corroborato dalle prime indicazioni degli “osservatori europei” già all’opera (116 suddivisi in 27 circoscrizioni), ma anche di grande attenzione politica trasversale sancita dall’imminente arrivo di una ventina di diplomatici degli Stati membri e di una delegazione di 15 deputati europei. Peccato che la debolezza politica dell’Unione europea abbia fatto ritardare l’avvio di questo programma, ma meglio tardi che mai, soprattutto se riuscirà a dare una risposta “politica” al tema dei flussi migratori.

La storia della nuova Tunisia democratica è in marcia. Sarà verosimilmente laboriosa, ma all’altezza, penso e spero, della sfida esemplare che le è toccata in sorte.

 

(1) Fasce radicali dell’Islam nel Paese (salafiti appoggiati dal partito islamista Ennhada) si erano mobilitate con attacchi alle università e alla stazione televisiva Nisma, dopo che la stessa aveva mandato in onda il film d’animazione Persepolis, sulla rivoluzione iraniana.

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