A una settimana dalla sconfitta, il presidente americano Donald Trump non si rassegna a concedere la vittoria al presidente eletto Joe Biden. Il suo braccio destro, il Segretario di Stato Mike Pompeo, va oltre e promette una “transizione graduale verso un secondo mandato”. Intanto, però, gran parte del mondo sembra essersi abituato all’idea che Biden sia il nuovo presidente eletto. Sono molti i leader mondiali che si sono congratulati con lui e la sua vice Kamala Harris; tra loro, anche alcuni “tifosi” del presidente uscente, che rischiano ora di avere a che fare con una Casa Bianca meno disponibile e indulgente nei loro confronti.
Vladimir Putin
Dmitry Peskov, portavoce del Cremlino: “Il presidente in carica ha annunciato alcune procedure legali, quindi la situazione è diversa [rispetto al 2016] e riteniamo corretto attendere un annuncio ufficiale”.
Nel 2016, il presidente russo Putin era stato tra i primi leader mondiali a congratularsi con Trump. Non è stato così quest’anno: lunedì il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, ha detto che Mosca aspetterà i risultati ufficiali prima di commentare le elezioni. Intanto, i media russi diffondono accuse reiterate da Trump che i dem abbiano rubato le elezioni e che Biden sia preferito dal “deep state” americano. Attendere “risultati ufficiali” permette a Putin di dipingere, soprattutto ai suoi cittadini, le elezioni americane come un affare caotico e la democrazia americana come vulnerabile e in declino. Un approccio nettamente in contrasto con il leader dell’opposizione Alexei Navalny, che nel congratularsi con Biden ha definito il prolungarsi del conteggio come una prova di elezioni “libere e giuste… Un privilegio non disponibile per tutti i paesi”. Nonostante le relazioni tra USA e Russia siano rimaste tese, Putin ha potuto beneficiare dell’ammirazione di Trump, che lo ha difeso anche contraddicendo la propria intelligence; una “chimica” con il presidente USA sulla quale ora Putin non potrà più contare.
Recep Tayyip Erdogan
“Credo che la forte cooperazione e l'alleanza tra i nostri Paesi continueranno a contribuire alla pace nel mondo anche in futuro, come hanno fatto finora”.
Martedì, oltre a congratularsi con il nuovo presidente eletto, il presidente turco ha anche ringraziato Trump per la sua “sempre calorosa amicizia”. La relazione personale tra i due era rimasta forte e, con il disimpegno USA dal Medio Oriente durante l’amministrazione Trump, Erdogan era riuscito a muoversi più liberamente nella regione. Trump aveva anche salvaguardato la Turchia da possibili sanzioni USA per aver comprato un sistema di difesa aerea dalla Russia, che secondo Washington avrebbe messo a rischio asset NATO nel paese, ed era intervenuto per ostacolare le investigazioni americane su una banca statale turca. Biden invece ha già detto che avrà un approccio molto diverso con Erdogan, il quale dovrà “pagare un caro prezzo” per quello che ha fatto in Siria. Il neo presidente eletto comunque non potrà permettersi uno scontro aperto con Ankara, che rimane un alleato NATO e la cui posizione geografica ne fa uno snodo strategico per il controllo dei flussi migratori dal Medio Oriente all’Europa.
Mohammed bin Salman
King Salman e Mohammed bin Salman hanno elogiato “le relazioni illustri, storiche e strette tra i due paesi amici e il loro popolo, che tutti cercheranno di rafforzare e sviluppare a tutti i livelli.”
Ci sono volute più di 24 ore perché il principe ereditario dell’Arabia Saudita si congratulasse con Biden. Nel mentre aveva invece trovato il tempo di congratularsi con il presidente rieletto della Tanzania. Se alcuni hanno minimizzato l’impatto che un’amministrazione Biden avrà sulle relazioni Riyadh-Washington, prevale tra i commentatori sauditi un senso di incertezza sul futuro. Trump non ha mai criticato l’Arabia Saudita sui numerosi temi spinosi per la casa reale: l’omicidio Khashoggi, la guerra in Yemen, le violazioni dei diritti umani, la repressione politica e degli attivisti civili per i diritti delle donne. Punti sui quali ora potrebbe crescere l’attrito. Inoltre, MBS teme anche il possibile ripristino del JCPOA o un nuovo accordo tra gli USA e l’arcinemico iraniano.
Jair Bolsonaro
“Non sono la persona più importante del Brasile, così come Trump non è la persona più importante del mondo... La persona più importante è Dio, l'umiltà deve essere presente tra noi”.
Per le sue affinità con il presidente uscente americano, è stato soprannominato il “Trump dei tropici”: dal cambiamento climatico alle critiche a Cina e Venezuela, dal “negazionismo” sul coronavirus alla passione per i cappelli “Maga” le sovrapposizioni tra Trump e il presidente brasiliano Bolsonaro sono evidenti. Nessuna sorpresa dunque che il presidente brasiliano non abbia ancora fatto le congratulazioni a Biden. Ma venerdì scorso ha iniziato a distanziarsi da Trump chiedendo “umiltà” spiegando che il presidente americano “non è la persona più importante al mondo”. Intanto, chat pro-Bolsonaro fanno circolare teorie del complotto sulle presunte frodi dei dem. Bolsonaro ora dovrà trovare un modo per avviare una cooperazione con Biden senza abbandonare il trumpismo, che lo ha aiutato a mobilitare i suoi follower più radicali. Un bilanciamento che gli potrebbe costare in termini elettorali, ma che forse è necessario per evitare ripercussioni economiche.
Benjamin Netanyahu
“Joe, abbiamo avuto una lunga e calorosa relazione personale per quasi 40 anni, e ti conosco come un grande amico di Israele”.
Le congratulazioni del premier israeliano a Biden e Harris sono arrivate 12 ore dopo l’annuncio dei media. “Bibi” ha definito Biden “un grande amico di Israele”, ringraziando poi Trump “per aver riconosciuto Gerusalemme e il Golan, per aver tenuto testa all'Iran, per gli storici accordi di pace e per aver portato l'alleanza americano-israeliana a livelli senza precedenti”. L’amicizia con Trump è stata un cavallo di battaglia della campagna elettorale di Netanyahu dell’anno scorso, in cui il premier israeliano ha sottolineato i risultati ottenuti grazie all’appoggio della Casa Bianca. E l’avvicendamento nello Studio Ovale potrebbe non arrivare in un momento molto positivo per il leader israeliano: sabato, mentre Biden veniva dichiarato vincitore, in Israele manifestanti marciavano per la 20esima settimana di fila chiedendo le sue dimissioni; davanti all’ambasciata americana a Tel Aviv, la gente ha gridato: “Trump se n’è andato, Netanyahu è il prossimo”.
Viktor Orbán
“Mi permetta di congratularmi con lei per il successo della campagna presidenziale. Le auguro una buona salute e un continuo successo nello svolgimento dei suoi compiti di estrema responsabilità”.
Steve Bannon, l’ex stratega di Trump, lo aveva chiamato il “Trump prima di Trump”. Il primo ministro ungherese Orbán era stato il primo leader europeo a sostenere Trump nel 2016 e anche a questo turno si era schierato a favore del presidente uscente, dichiarando di conoscere bene “la diplomazia dei governi democratici americani, costruita sull'imperialismo morale. Siamo stati costretti ad assaggiarla prima, non ci è piaciuta”. Dopo gli anni di Barack Obama, da cui Orbán era stato criticato per il suo euroscetticismo e per la condizione di democrazia e stato di diritto in Ungheria, le relazioni tra Budapest e la Casa Bianca sono decisamente migliorate con Trump, che aveva concesso al leader ungherese un trattamento privilegiato nonostante (o forse proprio grazie) alle tensioni tra il suo governo e le istituzioni di Bruxelles. Per Orbán si prospetta ora un deciso cambiamento: Biden ha già detto che l’Ungheria, insieme a Polonia e Bielorussia, fa parte “di un'ascesa dei regimi totalitari nel mondo" e che Trump “ha abbracciato tutti i delinquenti del mondo”.
Boris Johnson
"È molto più ciò che unisce il governo di questo Paese e il governo di Washington, in qualsiasi momento, in qualsiasi fase, di ciò che ci divide".
Da Londra, il primo ministro Johnson ha chiamato il presidente eletto Biden martedì per congratularsi e invitarlo al G7 e alla Cop26 che si terranno in UK l’anno prossimo. Il premier britannico era stato spesso paragonato a Trump, e non solo dai suoi critici domestici: lo scorso dicembre, Biden si era riferito a Johnson come a un “clone fisico ed emotivo” di Trump. Anche per questo, Downing Street sta ora tentando di smarcarsi dal presidente uscente, sottolineando invece i temi su cui Johnson e Biden sono allineati, come la lotta al cambiamento climatico. Più delicata è la questione Brexit: Biden è molto fiero delle proprie origini irlandesi e ha invitato Johnson a non compromettere gli Accordi del Venerdì Santo nel tentativo di concludere un’intesa con l’Unione europea. Al contrario di Trump, Biden non è un fan di Brexit e potrebbe complicare la promessa di Trump di concludere un accordo commerciale tra USA e UK, una volta che Londra avrà ultimato il divorzio dall’UE.
Andrés Manuel López Obrador
"Per quanto riguarda le elezioni negli Stati Uniti, aspetteremo fino a quando tutte le questioni legali non saranno risolte".
Il presidente del Messico López Obrador è uno dei pochi leader mondiali che ancora non si sono congratulati con Biden. Nonostante le appartenenze politiche opposte e i toni duri del primo Trump sul Messico, i due leader si erano infatti avvicinati negli anni successivi, condividendo lo scetticismo sul cambiamento climatico, la tendenza a cavalcare le divisioni nel paese per consolidare il proprio sostegno politico e l’impegno contro l’immigrazione irregolare. Non a caso la prima e unica visita all’estero di “AMLO” è stata quest’estate a Washington, per celebrare un nuovo accordo commerciale. Nonostante avesse chiarito di avere un buon rapporto con entrambi i contendenti alla Casa Bianca, è probabile che una presidenza Biden significherà per López Obrador maggiori pressioni su ambiente, diritti umani e corruzione. I democratici americani, inoltre, sembrano non apprezzare il temporeggiamento di Obrador, che potrebbe far partire con il piede sbagliato le relazioni tra i due paesi confinanti.
Xi Jinping
Wang Wenbin, portavoce del Ministro degli Affari Esteri: “Rispettiamo la scelta del popolo americano. Ci congratuliamo con il signor Biden e la signora Harris".
Dopo aver temporeggiato per diversi giorni in attesa che l’esito delle elezioni fosse “confermato secondo le leggi e le procedure USA”, le congratulazioni della Cina a Joe Biden sono alla fine arrivate venerdì. Le relazioni tra Washington e Pechino non hanno certo vissuto una stagione positiva durante l’amministrazione Trump, che ha criticato apertamente il regime cinese su temi come la repressione di Hong Kong e degli uiguri dello Xinjiang ed è arrivata allo scontro aperto su commercio, infrastrutture, tecnologia e coronavirus.
Sfruttando l’imprevedibilità e l’aggressività di Trump, il leader del Partito comunista cinese Xi Jinping ha potuto consolidare la propria posizione in patria e tentato di presentare al mondo l’immagine di una Pechino responsabile e affidabile, contro un’America sempre più isolazionista e in declino. Con l’elezione di Biden, la Cina può ora sperare in un atteggiamento meno apertamente ostile da parte di Washington, per quanto le tensioni siano destinate a rimanere anche negli anni a venire. Il pensiero di Pechino è stato ben sintetizzato dal giornale del partito Global Times, in un editoriale intitolato: “Abbandonate le illusioni sulle relazioni Cina-USA, ma non rinunciate agli sforzi”.
Narendra Modi
“Il tuo successo (Kamala Harris) apre una nuova strada, ed è una questione di immenso orgoglio non solo per le tue chittis (zie), ma anche per tutti gli indiano-americani".
Domenica sono arrivate per Biden e Harris anche le congratulazioni del primo ministro indiano Modi. In questi anni, Modi ha corteggiato l’amministrazione Trump, invitando Ivanka in India, ospitando il presidente sul palco di “Howdy, Modi!” - un comizio organizzato da Modi a Houston con un pubblico di 50mila indio-americani - e assicurandosi che Trump venisse accolto da una folla di 100mila persone a Ahmedabad, India, a febbraio. Uniti dall’opposizione alla Cina, i due leader hanno rafforzato le relazioni in materia di sicurezza (trascurando però altre tematiche di tradizionale cooperazione indo-americana come istruzione, agricoltura, scienza e tecnologia). Modi, inoltre, ha apprezzato il silenzio di Washington rispetto alla stretta del suo governo nei confronti dei musulmani e dell'opposizione interna. Su questi temi Biden potrebbe farsi più critico, mettendo però sul tavolo la possibilità di maggiore dialogo sul commercio e una politica migratoria più aperta.
Kim Jong Un
N/A
Le elezioni presidenziali americane non sono comparse tra gli argomenti discussi dai media della Corea del Nord, dove le notizie di elezioni democratiche in altri paesi del mondo vengono censurate al pubblico domestico. Negli ultimi anni il leader nordcoreano Kim aveva goduto di una insperata visibilità globale grazie ai tre incontri con Trump, dove i due avevano discusso di un possibile rilassamento delle sanzioni economiche contro Pyongyang in cambio di un accordo sul programma nucleare nordcoreano, mai andato in porto. Per l’amministrazione Biden, il tema sarà probabilmente secondario, cosa che però potrebbe portare la Corea del Nord a nuove provocazioni militari nel tentativo di riportare Washington al tavolo negoziale. Certo è che Biden non è stato dipinto in tono lusinghiero dai media di regime nordcoreani, che l’anno scorso avevano chiamato l’ex vicepresidente un “cane rabbioso”.
Rodrigo Duterte
“Le Filippine e gli Stati Uniti hanno relazioni bilaterali di lunga data e siamo impegnati a rafforzare ulteriormente le relazioni con gli Stati Uniti sotto l'amministrazione Biden”.
Domenica, il presidente filippino Duterte si è congratulato con il neo presidente eletto Biden. Era noto, però, che il leader filippino facesse il tifo per Trump, che ha segnato un cambio di rotta rispetto a Obama nei rapporti con Duterte. Mentre Obama aveva spesso criticato il leader filippino per la sua “guerra alla droga” e le violazioni dei diritti umani (critiche alle quale Duterte ha risposto senza usare mezzi termini), Trump si è congratulato con lui per il suo “lavoro incredibile”. Trump aveva reagito con una scrollata di spalle anche quando Duterte aveva minacciato di abrogare l’accordo che consente lo stanziamento di truppe americane nel paese - accordo poi rinnovato vista la crescente preoccupazione di Manila per l’espansionismo cinese, tema su cui Duterte dovrà rassegnarsi a lavorare anche con la prossima amministrazione USA.