L’incertezza che avvolge la situazione politica, economica e geopolitica ucraina rende il paese ancora instabile e vulnerabile con pericolosi riverberi sia a livello regionale che internazionale. Da un punto di vista interno, il governo centrale non ha ancora acquisito il pieno controllo delle regioni sud orientali che persistono in un limbo precario che facilmente può degenerare in nuove tensioni. La Federazione russa sembra infatti non aver desistito dall’idea di fomentare le forze separatiste filo-russe ogni qualvolta ritenga che i propri interessi nazionali siano messi a repentaglio. Questa parte dell’Ucraina si è trasformata perciò in un’area grigia che la Russia è pronta a sfruttare per mantenere salda la propria influenza sul paese, incamminatosi ormai verso l’Unione europea, e per accrescere il consenso interno (ma il fattore Ucraina potrebbe a breve non essere più sufficiente a causa dell’aggravarsi della crisi economica).
La vittoria dei partiti pro-UE alle elezioni per il rinnovo del Parlamento potrebbe favorire l’avvio di un piano ambizioso di riforme. È necessario che il governo s'impegni alacremente nella lotta alla corruzione che, nonostante il cambio di regime, continua a essere un serio ostacolo alla ripresa economica del paese e al consolidamento democratico.
La crisi ucraina infatti oltre a costituire una minaccia geopolitica desta crescenti timori rispetto alle conseguenze economiche che da essa sono scaturite. Le sanzioni economiche comminate alla Russia per l’annessione della Crimea hanno ulteriormente penalizzato la crescita economica del paese che era già in contrazione anche a causa della caduta dei prezzi dell’energia a cui si aggiunge ora la svalutazione del rublo. L’interdipendenza economica fra Russia e UE ha fatto sì che le sanzioni abbiano avuto effetti indiretti gravemente negativi anche su alcuni stati membri con crescita molto bassa o addirittura in recessione come l’Italia.
In Ucraina, il consistente deflusso di capitali, l’instabilità politica e le basse riserve sono la principale causa della vulnerabilità e del crollo a novembre della Hryvnya che ha accresciuto il rischio di una destabilizzazione finanziaria e macroeconomica. L’indebolimento della Hryvnia, rispetto al dollaro, manterrà alta l’inflazione mentre le stime prevedono una riduzione della crescita del 7% nel prossimo anno. A un'economia da anni disfunzionale si sono aggiunti i costi per combattere i ribelli filo-russi secessionisti. A settembre il Fmi aveva ammonito che la nazione avrebbe avuto bisogno di 19 miliardi di dollari di aiuto se il conflitto si fosse protratto anche nel 2015. Nonostante la tregua sottoscritta a Minsk sia molto labile, una ripresa degli scontri è ora scongiurata da tutte le parti in gioco, ivi compresa la Russia.
In una situazione economica così grave, l’UE per continuare a essere ‘attrattiva’ dovrà affrontare un impegno finanziario consistente e al contempo ben mirato. La crisi ucraina ha messo in rilievo i limiti del Partenariato orientale e l’incapacità della UE di valutare adeguatamente le conseguenze delle proprie scelte. La decisione di riproporre e poi di frazionare, su pressione del Cremlino, l’accordo di Associazione con l’Ucraina ci pare non tanto una manifestazione di realpolitik quanto piuttosto la conferma di una certa debolezza e confusione rispetto alla condotta della politica estera.
Le disposizioni politiche dell’Accordo erano state firmate dal primo ministro Arseniy Yatseniuk il 21 marzo scorso, sull’onda del referendum in Crimea. La seconda parte (quella economica) degli Accordi di Associazione con l’UE, che comprende anche la creazione di un’area di libero scambio con Bruxelles, è stata invece rinviata al 31 dicembre 2015. La Commissione europea spera che questo margine temporale possa essere utile alla stabilizzazione del paese e a placare il Cremlino.
Del resto se la questione ucraina non troverà una qualche forma di normalizzazione (la vera e propria soluzione del conflitto appare al momento ancora distante), lo scenario che si prospetta potrebbe essere quello del protrarsi di una zona di instabilità semi-permanente dal Baltico ai Balcani e al Mar Nero. La Russia potrebbe inoltre continuare a usare la Transnistria, l’Abkhazia e Ossezia del Sud per creare caos in Moldova e Georgia, i due paesi che hanno sottoscritto con la UE l’Accordo di Associazione nell’ambito del Partenariato orientale. Un tale scenario sarebbe disastroso per la sicurezza europea e per l’economia di tutti gli attori coinvolti.
Serena Giusti, Scuola Superiore di Sant'Anna di Pisa e ISPI Associate Senior Research Fellow