C'è una malattia della quale sono vittime tutti gli uomini del passato e del presente che hanno governato la Russia: il peso della Storia. Zar, segretari generali del Pcus o Vladimir Putin, il passato ha sempre contato più del presente. Il primo ha sempre modellato il secondo, come se quel grande paese non avesse la capacità di pensare a un futuro normale.
Il discorso di Vladimir Putin, durato quasi un'ora, ha qualche cosa di malato. “L’Ucraina non ha mai avuto una tradizione di genuina statualità”, la sua versione moderna è “una creazione” della Russia. L'Ucraina, cioè, non ha storia, è nulla: le ambizioni dei suoi abitanti, il desiderio di affrancarsi da questa pesante eredità, non contano nulla. Vale solo quello che la Grande Madre Russia vuole.
Un tempo il sinedrio assoluto dell'Unione Sovietica era il Politburo. Nella sua ultima versione del 1989/90, era composto da 19 membri effettivi e 16 supplenti. A dispetto del “centralismo democratico” comunista, cioè dell'autorità unica del partito, il Politburo era un centro decisionale collettivo o quanto meno un confronto d'idee. All'inizio degli anni '80, constatato che l'Urss era allo stremo economico, il segretario generale Jurij Andropov raccomandò che dopo di lui il partito scegliesse l'uomo di una nuova generazione, Mikhail Gorbaciov. Alla sua morte il sinedrio scelse invece il settantatreenne Konstantin Chernenko. Nella Russia di Vladimir Putin da vent'anni c'è un solo capo al comando, spalleggiato da pochi altri uomini di personalità discutibile, che gli devono tutto e non gli contestano nulla. Diversamente dalla classe imprenditoriale dei paesi occidentali, gli oligarchi russi non hanno alcun potere: perché quello che possiedono non lo devono a un sistema, ma direttamente a Putin.
In Cina Xi Jinping sta cercando di essere confermato per un terzo mandato presidenziale, alla fine di quest'anno: probabilmente ci riuscirà ma sarà una lotta difficile con un partito diffidente. A Mosca no: a meno di una nuova Rivoluzione d'Ottobre, Vladimir Putin continuerà a decidere le sorti della Russia fino a che vivrà. E quando finirà, questo grande paese avrà perso altri decenni prima della resurrezione civile che merita.
Ciò che oggi il dittatore ha comunicato al suo paese e al mondo, non è né più né meno di quello che ha già fatto, ovunque nella sfera post-sovietica dove ci fossero minoranze russe: è accaduto in Moldavia, dentro la quale oggi esiste una Transnistria al suo servizio; e in Georgia, dove le minoranze etniche di Abkhazia e Ossezia del Sud, sono diventate vassalli di Mosca. È probabile che l'Occidente abbia allargato la Nato con eccessiva rapidità, spaventando la Russia. Ma se Estonia, Lettonia e Lituania, le tre repubbliche baltiche un tempo sovietiche, non hanno fatto la stessa fine di Moldavia, Georgia e Ucraina, è perché sono parte dell'Alleanza Atlantica.
Data la sua “inconsistenza” storica, forse l'Ucraina doveva avere un altro destino, nei progetti di Putin: essere normalizzata come la Russia aveva già inutilmente tentato di fare in questi anni. La soluzione di riconoscere l'indipendenza delle province orientali ha un obiettivo minimo e uno massimo. Il primo è quello di accontentarsi di allagare la sfera d'influenza di Mosca alle province ribelli di Donetsk e Luhansk, aggiungendole alle colonie già in suo possesso; il secondo è di provocare le milizie fasciste ucraine, spingendole ad attaccare le due province separatiste, e provocando la reazione di 150mila soldati russi, pronti all'azione dal confine ucraino, bielorusso e moldavo.
Perché un altro mito costruito dalla maskirovka russa, dal camuffamento della verità, è che i fascisti sono solo dalla parte ucraina. Donetsk e Luhansk sono già governati da piccoli dittatori diretti da Mosca. E forse significherà qualche cosa se tutti i movimenti nazionalisti, nativisti e razzisti d'Europa occidentale hanno un'infatuazione per Putin.
Dagli zar ad oggi, la Russia è sempre stata una potenza al di sopra delle sue possibilità: era la sconfinata geografia che ne faceva un impero, non l'economia né la lenta crescita civile. Tuttavia, questa crisi aveva sottolineato che il peso della sua storia dava alla Russia alcuni diritti importanti: l'Occidente doveva tenere conto delle sue debolezze strategiche, del suo diritto alla sicurezza di fronte a una storia piena di tentate invasioni straniere. Convinto di pretendere questi diritti, per la seconda volta in pochi anni, dopo la Crimea, Vladimir Putin ha violato con la forza le frontiere europee costruite dopo l’ecatombe del secondo conflitto mondiale. È tempo di pensare anche ai diritti dell'Ucraina.