Si confrontano oggi tre diverse idee d’Europa: quella di Messina prima, e poi di Roma; quella di Ventotene; quella di Bruxelles. 60 anni fa il Trattato di Roma fu scritto e sviluppato su base “confederale”, nella forma di un Trattato tra Stati nazionali che conservavano la loro sovranità originaria; devolvendo verso l’alto solo quanto era necessario per realizzare (oltre alla “Comunità europea dell’energia atomica) la “Comunità economica europea”. E per questo e non pour cause la logica politica che ispirava il Trattato combinava insieme il principio di sovranità con il criterio della sussidiarietà. Dato un fine (il MEC), sopra si faceva solo quello che si considerava necessario e sufficiente per integrarlo. Il resto restava alla sovranità legislativa nazionale.
Più nel profondo della politica, l’architettura del Trattato di basava sui pilastri della pace e della prosperità e poteva essere così solo perché, per la prima volta, il Trattato univa le “elites” con i popoli. Non le une senza gli altri. E questo è il punto politico essenziale per intendere lo spirito del Trattato: in campo non c’erano solo le “elites”, con le loro idee di comunità europea, ma anche gli Stati nazionali che – questo era a tutti ben chiaro – solo questi, con i loro governi democratici avevano la forza necessaria per guidare e garantire i popoli, così a pieno titolo coinvolgendoli nel progetto.
La seconda idea di Europa è quella di Ventotene. Il “Manifesto di Ventotene”, certo nobile pur se iperbolico, era tutto basato sulla “linea di divisione” tracciata tra “reazionari” e “progressisti”. Questi, i progressisti, gli unici ritenuti capaci, ed il disegno federalista l’unico ritenuto capace di garantire libertà, democrazia e giustizia, altrimenti minacciate proprio dalla permanenza degli Stati nazionali. La storia e la realtà dei successivi decenni hanno dimostrato il contrario! In ogni caso, se pure astratto, quello “federalista” era ed è comunque un disegno democratico. Tanto che nel 1989 fu sottoposto in Italia ad un referendum popolare.
La terza idea di Europa è infine quella di Bruxelles. L’Europa di mezzo, come si è via via sviluppata tra la fine degli anni ’80 ed il principio degli anni ’90, ribaltando l’architettura basica del Trattato di Roma. E’ così che, ruotando intorno al cosiddetto “Atto unico”, l’Europa di Bruxelles ha preso la forma assurda di una piramide rovesciata, costruita con le tecniche paracostituzionali dell’eccesso di potere e del deficit di democrazia.
Un meccanismo che ha via via destrutturato e sostituito tanto il potere dei governi quanto la volontà dei popoli.
Nella storia le regole marcano sempre il rapporto tra il potere e le persone. Se no, perché si farebbero le regole, se non appunto per esercitare il potere?
Ebbene, nel solo 2015 la regolamentazione europea è stata lunga 151 kilometri lineari; estesa su più di 30.000 pagine di Gazzetta Ufficiale Europea.
In sintesi, e quasi per beffa e del tutto paradossalmente, Bruxelles non ha fatto quello che doveva fare – capire e gestire la “globalizzazione” - ma ha fatto quello che non doveva fare. Tutto ciò premesso, se c’è una cosa ormai chiara a tutti è che il vecchio modello dell’“Unione europea” è in fortissima crisi. L’ipotesi del ritorno a Stati-nazione del tutto isolati è per suo conto arcaica e pericolosa, anche perché, così isolati, sarebbero preda delle forze finanziarie globali. In alternativa c’è solo il ritorno al Trattato, al modello della “Confederazione”: unirsi sopra sull’essenziale (la difesa, la sicurezza), lasciando tutto il resto alle sovranità nazionali.
Giulio Tremonti, Senatore della Repubblica e Presidente ASPEN Italia