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Commentary

Un Líder che non seppe uscire dalla sua torre d’avorio

Rossana Miranda
26 novembre 2016

«Come nel finale di un romanzo un po’ mistico e un po’ storico di Anatole France, la mia risposta è parca: Fidel, quale Fidel? Scusi, è passato troppo tempo e la memoria comincia a tradire il vissuto». Questa è la risposta dello scrittore e blogger cubano Orlando Luis Pardo Lazo alla domanda: «Chi è Fidel Castro?». Il giovane oppositore, vincitore del premio letterario Kakfa 2009, è uno specchio del pensiero e della posizione dei dissidenti cubani. Troppi anni sotto uno stesso regime e con un solo uomo al potere; troppe limitazioni non solo ideologiche, ma anche quotidiane. Un controllo ossessivo come la Germania dell’Est raccontata nel famoso film Das Leben der Anderen (La vita degli altri). Ribattezzato con ironia caraibica La vida de nosotros.

Un pensiero condiviso dalla popolare Yoani Sánchez, filologa e anima del blog “Generación Y”, che ha sostenuto più volte la necessità di superare l’era del Líder Máximo, anche prima della sua morte. Anche dopo le visite dei pontefici Benedetto XVI e Francesco nell’isola di Cuba, Yoani Sánchez non si è lasciata incantare da miraggi. Le riforme del regime sono superficiali e l’apertura culturale e religiosa conviene soprattutto al Vaticano. Anche se l’ex presidente si convertisse al cristianesimo – come dicevano alcune voci –, l’informazione non sarebbe mai uscita dal silenzio di regime. «Fidel è cresciuto nel cristianesimo, la fede della sua famiglia, e da grande ha deciso di votarsi all’ateismo. Non credo che nei suoi ultimi anni di vita ci ripenserà», ha detto in un’intervista telefonica la blogger. 

Quest’uomo anziano e incerto sui suoi passi non era neanche l’ombra di quel militare dal profilo greco che da una piazza, dove un milione di uomini urlavano in coro il suo nome, portava avanti la Rivoluzione cubana. In un articolo pubblicato nell’estate del 2010 su The Washington Post, Yoani Sánchez fece una retrospettiva del personaggio di Fidel Castro: proclamava leggi senza consultarsi con nessuno, graziava i condannati, annunciava esecuzioni e il diritto dei rivoluzionari a fare la rivoluzione. Era un uomo forte con idee (giuste o sbagliate che fossero) molto chiare e forti.

Dal 2006, quando dopo un intervento chirurgico – ufficialmente non si è capito dove – ha dovuto lasciare la presidenza al fratello Raúl, Fidel non era più lo stesso. Cosa è rimasto di quell’uomo che per ore occupava la programmazione televisiva e teneva in attesa tutti i cubani? Quello che in altri tempi era stato un grande improvvisatore, non solo uno stratega, e che negli ultimi tempi riuniva in una piccola sala di teatro un auditorio di giovani ad ascoltare un riassunto delle sue ultime riflessioni pubblicate? E che al posto di indurre euforia, provocava compassione? Con ragazze che in pubblico chiedevano di poter ricevere un bacio da lui?

Fidel Castro sembrava uscito dalla scena ma, ammalato di potere, non voleva mollarlo. Non importava in quale forma. Per le ultime grandi occasioni si faceva sempre vedere. All’interno del partito, e della famiglia, non era ben visto questo suo voler esserci a tutti i costi. Nessuno, neanche il fratello Raúl, aveva dato seguito al discorso al Parlamento nel quale Fidel annunciava l’inevitabile conflitto militare in Corea del Nord o Iran. Una guerra atomica, come drammatico finale. Nella nuova, ultima fase della sua vita, Fidel ha preferito guardare fuori dal proprio giardino. Il cambiamento climatico, l’agonia del capitalismo e la nuova corsa alle armi. I problemi del proprio paese, sempre più povero e isolato, per lui sembrano non esistere. 

«Volevamo ricordarlo come qualcosa del passato, come un modo nobile per dimenticarlo; molti erano anche disposti a perdonargli gli errori e i fallimenti per collocarlo su qualche piedestallo nella storia del XX secolo, dove il suo volto – ritrattato nel suo ultimo migliore momento – già appariva vicino a quello dei morti illustri», scrive Yoani Sánchez, sempre per The Washington Post. Ma Fidel Castro non si è accontentato. Giunto prossimo all’epilogo, è riapparso malato ad annunciare la fine del mondo. Convinto forse che il mondo senza Él (Lui), come gli piaceva essere chiamato, sia vuoto di senso. Ma a Cuba, anche prima della sua scomparsa, la vita era già continuata. 


Rossana Miranda, giornalista per Formiche.net e altre testate latino-americane. Ha pubblicato “Hugo Chávez. Il caudillo pop” (Marsilio, 2007) e “Dissidenza 2.0. Storie di blogger da Cuba alla Siria” (Eir, 2015). 
 
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Rossana Miranda
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