La Russia uscita dalle elezioni presidenziali ha visto la rilegittimazione del leader e la riconferma del suo carisma, per quanto affievolito, in larghi strati, maggioritari, di popolazione. Il successo questa volta è stato facilitato, più che dai probabili brogli, dal possesso di ingenti strumenti propagandistici – finanziati con i proventi dell’esportazione di idrocarburi – e di controllo sociale, sui quali non potevano contare le frastagliate e disorganizzate forze di opposizione. Il Paese sembra ora avviarsi sulla via della continuità e della stabilità: due condizioni largamente propagandate nella campagna elettorale. Ma su quali basi quelle due direttrici potranno svilupparsi?
La vittoria elettorale di Putin, già titolare della carica presidenziale, ha stabilizzato quest’ultima, ma reiterandola ha anche posto le premesse per ulteriori freni al rinnovamento interno, sempre più impellente in un Paese bloccato dal suo obsoleto sistema politico, pieno erede di quello, settantennale, formalmente abbattuto dalla debole “Primavera della Russia” del 1991-1993, agilmente “recuperata” da un apparato politico e amministrativo che aveva sviluppato nei decenni un’estesa capacità di dominio interno. Nel contesto attuale sarà ancor più facile consolidare la rete di potere di una classe politica erede del sistema sovietico, il suo controllo sui gangli vitali della Russia, il suo patrimonialismo, il suo senso di onnipotenza, paralizzando gli incentivi a introdurre le parziali riforme prospettate e con ogni evidenza ormai necessarie. È estremamente difficile che da continuità e stabilità di questo tipo, di lunga durata, scaturisca quell’autoriforma interna chiesta da larghi strati di popolazione, dai giovani che non hanno conosciuto il sistema sovietico e dagli ancora esigui imprenditori che cercano a fatica di operare al di fuori dei monopoli statali.
Queste stabilità e continuità incentivano l’aumento della centralizzazione del potere (nei confronti della quale sono ormai insofferenti, nelle regioni periferiche, anche coloro che pur supportano il rieletto Presidente), che incrementa inevitabilmente il già elevato livello di corruzione, di persecuzione fiscale degli operatori economici indipendenti, di costosa burocratizzazione, di parassitismo politico-burocratico, di sfruttamento dell’export di gas e petrolio a vantaggio di una ristretta cerchia di persone, che getta solo le briciole a una popolazione che incomincia a sentire gli effetti della crisi del 2009. Queste stabilità e continuità incentivano la prosecuzione di una lunga fase di restaurazione politica, iniziata già nel1993, inpieno periodo eltsiniano e non con l’ascesa di Putin al potere, nel 1999, come spesso viene sostenuto. Al di là dell’impressione di stabilità e sicurezza confortante che il leader riesce ancora a dare a buona parte della popolazione, rimane la realtà di un sistema politico che blocca l’evoluzione civile ed economica della Russia, in cui nemmeno il livello di criminalità e di sicurezza interna corrisponde alle statistiche ufficiali e alla diffusa percezione e in cui sanità, istruzione, servizi pubblici continuano ad assomigliare a quelli di un Paese rimasto in fase post-bellica.
È tuttavia probabile che il fosco quadro attuale, tipico delle fasi di lunga restaurazione, finisca per scontrarsi con forti pressioni presenti in correnti sotterranee e di direzione contraria, che fanno ribollirela Russiaanche quando appare normalizzata e stabilizzata. Si tratta delle forze dell’inno-vazione, delle istanze maturate sull’onda lunga dell’esplosione e della diversificazione dei bisogni, delle reti, della rivoluzione industriale in atto, basata sull’informatica e la comunicazione diffusa, che già avevano contribuito a rendere obsoleto il sistema sovietico e che non sono più facilmente controllabili con strumenti politici invecchiati e inefficaci. In questo contesto, un sistema autarchico e rigidamente controllato sulla base delle banali formule politiche elaborate dall’entourage presidenziale (“democrazia sovrana”, “verticale del potere”, ecc.) finirà per scontrarsi con istanze di liberazione e di riattivazione della vita civile e dell’economia, ben al di là della superficiale richiesta di democrazia – auspicata in particolare in Occidente – forma di governo che può anche sussistere alla presenza di centralizzazione, dirigismo, mancanza di libertà politica.
La società russa sta cambiando a ritmi ben diversi rispetto a quanto non si renda conto il potere politico, negli ultimi quindici anni sordo di fronte a queste istanze. Essa sta cercando di ritrovare, fra l’altro, forme di riorganizzazione dal basso che sono già esistite in Russia – contrariamente ai luoghi comuni ripetuti in Occidente anche in questi giorni – in forme molto più marcate di quanto non si pensi, nel periodo pre-1917.[1] La Russia sta ancora facendo i conti con l’eredità sovietica, che ha atomizzato ed egualificato gli individui di fronte al sovrano collettivo (il partito), devastando la cooperazione sociale e lasciandoli soli di fronte al suo totem. Quando quest’ultimo è crollato, è subentrato il vuoto, di valori e di autostima. Tuttavia, allorché il processo di lenta e faticosa ricostituzione del tessuto sociale si sarà concluso, forme e concezioni primitive di organizzazione del potere e di gestione della cosa pubblica, come quelle ancora vigenti in Russia, dovranno fare i conti non solo con nuovi e crescenti bisogni e aspettative, ma anche con tradizioni che non possono essere ridotte a stereotipi semplicistici quali l’“orientalismo” o la mentalità autocratica.[2] La durata del processo dipenderà anche dall’ostinazione o meno dell’Occidente a mantenere antistoriche chiusure di fronte alla Russia, ormai ingiustificate e pretestuose, a vent’anni dalla fine del confronto bipolare freddo.
[1] Numerose ricerche storiche hanno confermato nel decennio scorso l’esistenza in Russia, nel periodo pre-rivoluzionario, di forme diffuse di solidi legami sociali e solidaristici non-statali, che funzionavano da contrappeso al monopolio statale in molti settori. Per una rassegna, si veda B. EVANS Jr. - L.A. HENRY - L. MCINTOSH SUNDSTROM (Eds.), Russian Civil Society, A Critical Assessment, M.E. Sharpe, Armonk, New York – London, 2006.
[2] A questo proposito sono di grande interesse i recenti libri di Vladmir Medinskij, che contestano i miti più diffusi sulla Russia. Si veda ad esempio il suo O tjage russkich k “sil’noj ruke” i nesposobnosti k demokratii (Sull’attrazione dei russi per la “mano forte” e l’incapacità di democrazia), Olma, Mosca, 2010.