Dimissioni in massa dei giornalisti di Index.hu, una delle ultime voci indipendenti nell’Ungheria di Viktor Orban. L’opposizione protesta e scuote l’Europa: qui muore la libertà di stampa.
Oltre 70 tra giornalisti e dipendenti del sito di informazione indipendente ungherese ‘Index.hu’ – di gran lunga il portale di notizie più letto nel paese dopo la chiusura nel 2014 e nel 2016 dei quotidiani Origo e Nepszabadsag – si sono dimessi in segno di protesta contro il licenziamento del direttore, e quella che definiscono una manovra delle autorità per imbavagliare anche l’ultimo baluardo della stampa indipendente nel paese. I giornalisti lamentano il fatto che il licenziamento di Szabolcs Dull, il direttore del sito, sia una chiara e manifesta interferenza nella linea editoriale del giornale e un modo per esercitare pressione sulla redazione. Negli ultimi anni, i sostenitori del primo ministro nazionalista e conservatore Viktor Orban hanno assunto gradualmente il controllo dei media ungheresi. Contemporaneamente l’Ungheria è passata dal 23esimo all’89esimo posto su 180 paesi nell’indice sulla libertà di stampa stilato da Reporter senza frontiere.
Indipendenza a rischio?
Fondato nel 1999, la testata Index raggiunge in poco tempo i vertici della stampa ungherese grazie a una serie di inchieste di successo, un giornalismo serio e competente e una linea editoriale trasparente che promette di perseguire solo l’interesse dei lettori. Il suo sito riceve circa 1,5 milioni di visite al giorno, in un paese con una popolazione di 10 milioni. In un editoriale pubblicato la scorsa settimana, Dull aveva avvisato i lettori che l’indipendenza della testata era a rischio e che lo staff editoriale del giornale avrebbe potuto pagarne il prezzo. Per la prima volta dalla sua creazione, il barometro sull’indipendenza del giornale era passato dal verde al giallo, ovvero da ‘pienamente indipendente’ a ‘in pericolo’. Pochi giorni dopo il direttore è stato licenziato, con l’accusa di avere inoltrato documenti riservati ad altri media. Oltre 70 giornalisti si sono perciò dimessi denunciano “un evidente tentativo di esercitare pressioni” sulla redazione di Index.hu da parte del presidente della proprietà Laszlo Bodolai. Ieri a Budapest migliaia di persone sono scese in piazza in solidarietà con i giornalisti di Index per una manifestazione di protesta organizzata dal partito di opposizione Momentum.
Chi imbavaglia la stampa?
I timori dei giornalisti di Index si erano concretizzati alcuni mesi fa quando Miklos Vaszily, imprenditore vicino a Orban, aveva acquisito il 50% di una società che controlla la pubblicità e le entrate di Index. Vaszily gestisce tra le altre TV2, un’emittente vicina al governo ed è considerato uno dei fautori nella trasformazione di Origo, altro sito di notizie ungherese, in un portale pro-Orban. Nel paese, molte testate sono state comprate da uomini vicini al presidente e circa 500 società di media, tra cui portali online, giornali locali, radio e canali televisivi, sono state raggruppate in una fondazione il cui unico scopo sarebbe quello di fare propaganda al governo. “Immaginate che tutti i media di un paese siano di proprietà di un singolo gruppo politico”, spiega Gabor Polyak di Mertek Media Monitor al New York Times e che “tutti questi media siano finanziati dal denaro dei contribuenti”.
Europa e scontro su articolo 7?
Se come osserva la Bbc, la maggior parte dei media pubblici ungheresi ha da tempo smesso di fingere indipendenza, ciò che accade a Budapest crea non poco imbarazzo in Europa. Nel 2018 il Parlamento Ue ha chiesto al Consiglio di adottare provvedimenti per evitare che l'Ungheria violasse i valori fondanti dell'Unione in materia di indipendenza giudiziaria, libertà di espressione, corruzione, diritti di minoranze, migranti e rifugiati. Contro Budapest è stata avviata la cosiddetta procedura sullo Stato di diritto, basata sull'articolo 7 del Trattato di Lisbona. A inizio 2020, però, una risoluzione del Parlamento Europeo denunciava come “l'incapacità del Consiglio di applicare efficacemente l'articolo 7 continui a compromettere l'integrità dei valori comuni europei e così a Strasurgo il partito di Orban, Fidesz, continua a restare nel Partito popolare europeo (Ppe). A intervenire sulla vicenda è stato anche il presidente del partito Renew Europe, Dacian Ciolos, che ha dichiarato: “Il direttore è stato licenziato nella stessa settimana in cui Viktor Orban è tornato a Budapest dichiarando che i leader dell'Ue avevano promesso di far cadere contro il suo governo le procedure dell'articolo 7”. Per evitare lo stallo nell’approvazione del Recovery Fund, il Consiglio europeo è infatti approdato a una formulazione abbastanza vaga sul meccanismo di condizionalità tra rispetto dello Stato di diritto e stanziamento dei fondi comunitari. Ciolos ha chiesto al Consiglio europeo e alla Commissione di “agire con urgenza” puntando il dito contro il Ppe che “deve smettere di legittimare il percorso illiberale di Orban”.
Il commento
Di Lorenzo Berardi, Centrum Report
“Mettendo le mani sul portale di notizie più' seguito del Paese attraverso un imprenditore a lui vicino, il premier Viktor Orbán ha chiuso un cerchio iniziato con la prima riforma dei media nel 2011. Dopo nove anni di chiusure e acquisizioni mirate, oggi resistono al controllo diretto o indiretto del governo solo una manciata di siti come 444, Direkt36 e Atlatszo. Nessuno di loro raggiunge un pubblico ampio come fa o faceva Index.
Questa ulteriore deriva mediatica filogovernativa preoccupa il Consiglio europeo, che da anni teme per la tutela dello stato di diritto in Ungheria. Tuttavia, in questi giorni Orbán ha ottenuto che gli aiuti del Recovery Fund varato dell'Ue raggiungano anche Paesi, come Ungheria e Polonia, nei quali i valori democratici sono ritenuti a rischio da Bruxelles. Una vittoria per i governi di Budapest e Varsavia che rappresenta una nuova sfida alle istituzioni europee e segna un precedente pericoloso per il futuro”.
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A cura della redazione di ISPI Online Publications (Responsabile Daily Focus: Alessia De Luca, ISPI Advisor for Online Publications)