Lo scorso luglio l’unicorno cinese Didi, la società di ride hailing (taxi on demand via app) più grande del mondo, si quotava a New York. Forte di una valutazione da 56 miliardi di dollari, seconda tra gli unicorni cinesi solo a ByteDance, otteneva la quotazione più grande di una compagnia cinese negli Stati Uniti da quella di Alibaba nel 2014.
Due giorni dopo l'IPO, Didi finiva però sotto indagine da parte della Cyberspace Administration of China (CAC), l’autorità di vigilanza tecnologica cinese, a causa di possibili problemi di sicurezza dei dati. La sua app veniva rimossa dagli app store cinesi causando un crollo delle sue azioni del 20%. A inizio dicembre, a distanza di soli cinque mesi dalla sua quotazione, la società ha annunciato il delisting dagli Stati Uniti, come da richiesta dal governo cinese.
Questo stesso percorso di ascesa e caduta nel giro di pochi mesi potrebbe essere presto comune ad altre aziende quotate all’estero. Ed è solo un tassello di un’ampia stretta di Pechino sulla sua gigantesca industria tecnologica. Quali leggi in tema di cybersecurity, data privacy e concorrenza nel settore tech sono state implementate dalla Cina? Quali sono state e saranno le conseguenze di questo quadro normativo in continua evoluzione sugli unicorni cinesi? E quali restano i punti di forza di questo ecosistema tecnologico?
La pioggia di normative
Nell’ultimo anno abbiamo assistito a una vera e propria rivoluzione nel settore tech cinese iniziata con la nuova legislazione anti-monopolio volta a diminuire lo strapotere delle piattaforme digitali. Lo sa bene Alibaba, sanzionata dall’Antitrust con una multa da 2,8 miliardi di dollari e costretta dalla Banca centrale a cedere i dati relativi al quasi miliardo degli utenti della sua affiliata Ant Group, a una società di credit scoring controllata dallo stato. A luglio poi il nuovo regolamento sulle IPO, che impone alle aziende nazionali che detengono i dati di oltre un milione di utenti di richiedere il via libera della CAC per potersi quotare all’estero. Così giganti come ByteDance hanno messo in pausa i loro piani di quotazione in America.
Mentre tra settembre e novembre sono entrate in vigore la legge sulla sicurezza dei dati e quella sulla protezione dei dati personali volte ad aggiungere, per le aziende private che raccolgono i dati degli utenti, requisiti di conformità non dissimili da quelli legati al GDPR in Europa. La loro applicazione non si limita alle attività delle aziende cinesi in patria. In particolare, viene esplicitamente vietato alle aziende cinese di muovere i dati sensibili di cui sono in possesso fuori dai confini nazionali senza la previa approvazione di Pechino. Per i trasgressori sono previste punizioni severe come dimostra la vicenda Tencent. Al colosso del tech cinese proprietario di WeChat (1,2 miliardi di utenti), a causa del mancato rispetto della norme sulla privacy di diverse sue app proprietarie, è stato imposto l’obbligo di richiedere l'approvazione del governo cinese per ogni nuova app e gli aggiornamenti di quelle esistenti.
Si è infine intervenuti sui diritti del lavoro per gli autisti al servizio di app di ride-hailing. Le transazioni di criptovalute sono state vietate e l’utilizzo di console per videogiochi da parte degli adolescenti limitato temporalmente. Tutte queste misure hanno stravolto l’ecosistema digitale cinese, e per quanto metodi e tempistiche siano lontani dal modus operandi occidentale, gli obiettivi sono gli stessi: avere un maggiore controllo su una digital economy considerata troppo simile a un Far West, dove le aziende tecnologiche potevano crescere monopolisticamente sfruttando vuoti normativi. Ad esempio Didi, una volta ottenuta una quota di mercato dominante, ha iniziato a ridurre le tariffe per i conducenti privi di tutele contrattuali. Allo stesso modo, la proposta di regolamento per i lavoratori della “gig economy” presentata dalla Commissione Europea la scorsa settimana punta a evitare questi comportamenti scorretti.
Capitali in fuga
Più di mille miliardi di dollari sono stati spazzati via dalla capitalizzazione di mercato collettiva delle grandi imprese del tech cinese. Didi e Alibaba da soli hanno perso collettivamente quasi 170 miliardi di dollari. Tanto che gli analisti parlano di vero e proprio reset del settore con interi modelli di business interamente scomparsi.
Tra questi quello del tutoraggio online. Vista l’alta competizione del sistema scolastico cinese, è pratica comune nel Paese rivolgersi a tutor privati online per lezioni extra doposcuola. Nel corso degli anni si era così creato un mercato da 140 miliardi, con unicorni come Yuanfudao e Zuoyebang che si erano affermati come leader mondiali nel settore. Ma questi unicorni hanno ora perso il loro status di fronte alle nuove regole, introdotte dal governo per ridurre le disuguaglianze nell’accesso all’istruzione, che proibiscono le lezioni durante i fine settimana, e costringono le aziende che offrono istruzione privata a registrarsi come no-profit.
L’incertezza dovuta a un ambiente normativo in continua evoluzione ha spaventato i fondi di venture capital globali, che hanno iniziato a spostare i propri investimenti verso l’India. Nel terzo trimestre di quest’anno, sono stati investiti 16,2 miliardi di dollari nelle startup indiane rispetto ai 12 miliardi di dollari in quelle cinesi e, per la prima volta in assoluto, nel 2021 la crescita annua dei finanziamenti di venture capital in India è stata superiore a quella cinese.
L’IA è un affare cinese
Anche se le politiche governative possono aver portato alla scomparsa di più di un unicorno, la Cina resta il secondo Paese per loro numero: 177. La metà di questi unicorni hanno sede a Pechino che è seconda solo a San Francisco come destinazione di investimenti di venture capital e ospita 10 centri universitari di eccellenza nel campo tech: più di ogni altra città al mondo. Nonostante una quota del totale globale degli unicorni (circa il 20%) pari alla metà di quella americana (50%), la Cina detiene il maggior numero di unicorni in alcuni settori chiave, come nel campo dell’intelligenza artificiale. L’immenso mercato interno permette di ottenere quantità di dati difficilmente raggiungibili da altri Paesi, che alimentano i processi di machine learning delle tecnologie di intelligenza artificiale facendo della Cina il leader nel riconoscimento facciale e nella computer vision.
Tra questi unicorni dedicati all’IA, Bytedance rappresenta la punta di diamante essendo l’unicorno con la valutazione più alta al mondo, e l’unico insieme a SpaceX a superare la soglia dei 100 miliardi di dollari. Tramite la computer vision e la tecnologia di elaborazione del linguaggio naturale, la tecnologia proprietaria di Bytedance capisce e analizza contenuti scritti, immagini e video con alta precisione così da poter fornire a ciascuno utente il prodotto più consono ai suoi gusti.
L’algoritmo è così avanzato che secondo alcune indiscrezioni uscite sulla stampa, sarebbe stato venduto in tutto il mondo. Indiscrezioni prontamente smentite dalla compagnia, a conferma di un ruolo geopolitico sempre più centrale per gli unicorni.