A fine maggio – come previsto e come se la crisi ucraina non fosse mai iniziata – la Russia, il Kazakistan e la Bielorussia firmeranno ad Alma Ata la nascita dell’Unione Economica Eurasiatica (EES), impegnandosi così ad abbandonare il 1° gennaio 2015 l’Unione doganale che li unisce dal 2010 in favore di una cooperazione economica e istituzionale, con l’obiettivo futuro di trasformarsi in quell’Unione politica tra la Russia e i paesi membri della Comunità degli Stati Indipendenti che ha guidato buona parte della politica estera putiniana degli ultimi anni.
Nonostante l’avanzata formale dell’integrazione tra questi tre stati, l’annessione della Crimea rischia però di cambiare profondamente la natura del decennale progetto eurasiatico di Putin, sia indebolendolo al suo interno, sia impedendogli di trasformarsi in quello che nell’idea originaria doveva essere una grande area di cooperazione politico-economica in competizione con l’Unione Europea.
La prima ragione del potenziale indebolimento della futura Unione è evidente: nel momento in cui la Russia ha accolto la Crimea nella Federazione, Putin ha rinunciato al pilastro fondamentale del suo progetto, l’Ucraina. La dimostrazione di quanto Kiev fosse centrale nel disegno d’integrazione eurasiatica si ritrova paradossalmente all’origine della stessa crisi: non potendo accettare che Kiev passasse nell’orbita della Eastern Partnership europea, allontanandosi dalla sua sfera d’influenza, la Russia era riuscita inizialmente – con la leva dell’aiuto economico e dello sconto sul gas – nell’intento di far saltare l’accordo di Associazione tra l’Ucraina e l’UE, non potendo prevedere che al governo di Yanukovich sarebbe subentrato nel giro di un mese un governo ad interim molto più dichiaratamente filoeuropeista e antirusso di quello precedente. L’Ucraina, oltre al profondo valore storico culturale che la lega alla Russia, è l’unico paese che per peso demografico e collocazione geografica avrebbe permesso all’Unione Eurasiatica di diventare credibilmente “europea”.
Inoltre, “dopo un fatto grave come l’annessione della Crimea, in violazione del diritto internazionale, Putin non solo ha perso l’Ucraina, ma sta correndo il grande rischio di pregiudicare le relazioni con i paesi dell’ex Unione Sovietica, a partire dal Kazakistan e la Bielorussia” [1] . Nonostante le recenti rassicurazioni del ministro degli Esteri kazako sul fatto che la firma a fine maggio ci sarà, infatti, le vicende in Crimea hanno comprensibilmente turbato e modificato la percezione che i paesi membri dell’attuale unione doganale hanno della Russia, che hanno osservato in silenzio - e oscurando i media locali - l’evolversi dell’azione militare russa in Crimea giustificata dalla volontà di difendere le comunità russofone presenti in Ucraina.
In Kazakistan e in Bielorussia la comunità russofona è numerosa, in particolare nel Kazakistan del Nord, dove arriva a superare il 50 per cento. Soprattutto, la cooperazione di questi due stati con Mosca all'interno della futura Unione Eurasiatica si fondava ufficialmente, sin dall’inizio, sulla proclamata equiparazione dei suoi membri, ed era in questo garantita - così almeno credevano Lukashenko e Nazarbayev - dal Memorandum di Budapest del 1994 sulle garanzie dei confini territoriali e dell'indipendenza firmate con la Russia, gli Usa e il Regno Unito non solo dall'Ucraina, ma anche da questi due paesi.
Fino a quando le possibilità di ignorare del tutto, alla prima occasione, il Memorandum di Budapest non si erano verificate, il Presidente kazako ancor più che il presidente bielorusso aveva portato avanti una cosiddetta “multivector policy”, approfondendo le relazioni economiche con la Russia – soprattutto per contrastare l’influenza cinese - e allo stesso tempo cercando di sfruttare le grandi riserve energetiche per una politica nazionale autonoma e potenzialmente orientata anche verso l’Europa (protezione dei diritti umani esclusi).
La sfera d’influenza russa risulta un lascito pesante della crisi ucraina. Considerate le tensioni crescenti, probabilmente durature, tra Russia e Occidente, l’unione eurasiatica mutilata dalla perdita dell’Ucraina diventa per Bielorussia e Kazakistan una scelta obbligata ma mal digerita.
Carolina de Stefano, ISPI Research Trainee