Il discorso sullo Stato dell’Unione 2021 della Presidente della Commissione Ursula von der Leyen non ha costituito solo l’occasione per fare il punto sulla gestione europea della pandemia e della crisi economica, ma anche l’opportunità per delineare le sfide future che l’UE si trova davanti. Il Covid-19 e le gravi perturbazioni che ha causato a livello internazionale, soprattutto nei commerci e nelle catene del valore, hanno fatto emergere con prepotenza le vulnerabilità europee. Vulnerabilità che, nella visione della Commissione, vanno affrontate per rendere l’Unione un attore maggiormente autonomo sul piano globale. Una priorità anche alla luce delle dinamiche future.
Proprio i trend futuri rappresentano il punto di partenza sul quale costruire l’autonomia strategica dell’Unione Europea, secondo il 2021 Strategic Foresight Report della Commissione, pubblicato l’8 settembre scorso. Il documento, che delinea la strategia per costruire un’Europa maggiormente resiliente e in grado di competere con Cina e Stati Uniti nel mondo di domani, presenta infatti quattro direttrici che andranno a caratterizzare lo scenario globale nei prossimi due decenni.
Innanzitutto, i mutamenti climatici, con il problematico aumento delle temperature globali e i sempre più frequenti fenomeni meteorologici estremi i quali, a loro volta, avranno un forte impatto sulle attività umane. L’inaridimento di diverse regioni cambierà infatti profondamente la geografia dell’agricoltura, minacciando così la food security, oltre a causare pressioni migratorie verso il continente europeo. Anche la transizione digitale in atto a livello globale rappresenta una sfida per l’Unione, che già ora sconta un ritardo rispetto a Stati Uniti, Cina, Giappone, e Corea del Sud in termini di ricerca e innovazione. Un ritardo che include anche le tecnologie quantiche, settore dove però l’Unione ha recentemente impresso una svolta con la costruzione di otto supercomputer, previsti come operativi per il 2025. Altrettanto complesse sono le dinamiche demografiche future, che contribuiranno a spostare il baricentro economico (e geopolitico) globale: se nel 2020 l’UE rappresentava il 5,7% della popolazione globale, nel 2050 sarà solo il 4,3%, contro 16,8% dell’India e il 14,4% della Cina. Questo declino demografico comporterà anche un declino economico: nel 2050 l’Unione Europea costituirà soltanto l’11,3% del Pil globale, un brusco calo dal 18,3% del 2019. Infine, l’Unione individua nella progressiva erosione della democrazia a livello globale, un trend ormai presente da 15 anni, un ulteriore fattore di instabilità politica ed economica.
Un percorso ambizioso e coerente…
Il quadro tratteggiato dalla Commissione richiede quindi importanti risposte di policy, che riducano la dipendenza dell’Unione da attori economici esterni e permettano di raggiungere una maggiore autonomia strategica, superando le vulnerabilità emerse con la pandemia. Una delle più evidenti è stata sicuramente quella legata al settore farmaceutico e all’approvvigionamento di medicine, inclusi i vaccini anti-Covid-19. Per superare l’eccessiva dipendenza da Cina e India in questo campo, Bruxelles punta a creare catene del valore interne all’Unione per prodotti non coperti da brevetto e a trovare fornitori alternativi. Tuttavia, uno scoglio alla costruzione di catene del valore europee per la produzione di farmaci è sicuramente rappresentato dagli alti costi di produzione in Europa, soprattutto per composti intermedi, costi da ridurre tramite innovazioni nei processi produttivi, come la digitalizzazione dell’industria farmaceutica.
L’innovazione rappresenta un aspetto chiave anche della strategia europea nel settore agroalimentare, dove la Commissione punta a ridurre l’esposizione a shock esterni e fenomeni climatici estremi. Le dinamiche climatiche mettono infatti a rischio la produzione agricola in molte aree, incluse quelle interne all’Unione, e una potenziale soluzione è costituita dagli sviluppi della biotecnologia, per realizzare colture più resistenti a malattie o parassiti, e soprattutto bisognose di minori quantità di acqua.
Se al settore agroalimentare e a quello farmaceutico viene riconosciuta grande rilevanza dalla Commissione, sono però energia e tecnologia a rappresentare i pilastri dell’autonomia strategica UE. Un’Unione autonoma come attore globale non può infatti prescindere dalla disponibilità di energia pulita e a prezzi contenuti, soprattutto considerando l’ambizione europea di leadership mondiale nel campo della transizione green. L’obiettivo della Commissione è di raggiungere l’80% di consumi interni di energia da fonti a basse emissioni carboniche (prevalentemente fonti rinnovabili), riducendo l’utilizzo di combustibili fossili per scopi energetici a meno del 10% del totale. Si tratta di obiettivi pienamente coerenti con il pacchetto “Fit-for-55” lanciato questa estate, che già prevede un’accelerazione del contributo delle rinnovabili al mix energetico dell’Unione. Tali misure sono fondamentali per ridurre la dipendenza energetica europea, che ad oggi costituisce una delle maggiori vulnerabilità strategiche: il raggiungimento della neutralità climatica ridurrebbe infatti la dipendenza energetica UE dal 60% attuale al 15% nel 2050. Per raggiungere una maggiore autonomia in campo energetico, risulta fondamentale, secondo la Commissione, anche rafforzare l’unione energetica e il mercato interno dell’energia, oltre ad adeguare le infrastrutture energetiche europee all’uso di fonti intermittenti come quelle rinnovabili. I rincari del gas cui stiamo assistendo in questi giorni, spinti anche da un clima eccezionalmente mite che ha impedito un contributo significativo dell’eolico al mix energetico, dimostrano la necessità di rafforzare la capacità di stoccaggio di energia per evitare che in periodi dell’anno con scarso apporto della componente rinnovabile ci si trovi costretti ad aumentare l’importazione di gas dall’estero. In questo senso, oltre alla già esistente Alleanza Europea per le Batterie, l’aggiornamento della Strategia Industriale dello scorso maggio prevedeva lo sviluppo di progetti comuni anche nel campo dei semiconduttori e dei dati industriali. Anche nel settore spaziale, chiave per lo sviluppo economico dei prossimi decenni, la Commissione punta al rafforzamento delle capacità interne. In un'area caratterizzata da un ridotto ruolo degli attori privati, l'UE ha proposto la costituzione di un'Alleanza per i Sistemi di Lancio Spaziali con l'obiettivo di raggiungere economie di scala tramite la sinergia dei produttori europei, diminuendo così anche i costi di lancio, e di ridurre la dipendenza da vettori esterni per le prorie missioni spaziali.
Per l’Unione Europea non sarebbe infatti possibile raggiungere una reale autonomia strategica senza disporre di una propria sovranità digitale, tema ripreso anche dalla Presidente von der Leyen nel discorso sullo Stato dell’Unione, con la proposta di creare un sistema europeo dei chip che includa anche la loro produzione. L’approvvigionamento esterno, sia dei chip che dei materiali per realizzarli, rappresenta indubbiamente un tallone d’Achille per l’industria UE, costretta a dipendere da attori esterni (principalmente in Asia) per la fornitura di microprocessori. Pur producendo, come ricorda anche lo Strategic Foresight Report, macchinari per la realizzazione di microchip, l’Unione sconta un ritardo nella capacità di produrre le tecnologie di nuova generazione. Secondo la Commissione inoltre il gap con Cina, Taiwan, USA e Corea del Sud va colmato da un lato con maggiori investimenti nel settore e dall’altro con meccanismi di screening sulle acquisizioni dall’estero di aziende chiave europee.
Oltre ad espandere la propria capacità produttiva, l’UE dovrebbe anche rafforzare e diversificare le proprie forniture di terre rare, indispensabili per realizzare le due transizioni: energetica e digitale. Proprio in quest’ottica, la Commissione punta, oltre alla produzione interna tramite la European Raw Material Alliance, sull’economia circolare per contenere la domanda e a creare partnerships per diversificare i Paesi fornitori, riducendo così i rischi. Tuttavia, la concentrazione di molti materiali chiave in poche aree geografiche crea dei monopoli de facto che limitano le possibilità di effettive di soluzioni alternative.
Oltre alle materie prime e alla capacità produttiva, la sovranità digitale non può prescindere dall’autonomia nella gestione dei dati. Al momento, infatti, la maggior parte dei servizi di archiviazione (cloud e fisica) per dati prodotti in UE sono affidati a fornitori esterni all’Unione, e dunque soggetti alla legislazione di Paesi terzi. Questo crea problematiche non solo giuridiche, ma anche in termini di cybersecurity, protezione dei dati stessi e accesso a informazioni da parte di attori industriali, economici, e politici. La Commissione propone quindi di espandere le capacità di archiviazione e gestione di dati all’interno dell’Unione in modo da ridurre le proprie dipendenze strategiche e assicurare un accesso libero, trasparente, e pienamente rispettoso delle normative europee sulla protezione dati. Questo passo diventa ancora più importante alla luce dello sviluppo dell’intelligenza artificiale, in modo che l’UE possa rappresentare un modello globale anche a livello di standard normativi. Proprio la capacità di emergere spesso come potenza normativa costituisce un elemento di forza sul quale costruire, nella visione della Commissione, l’autonomia strategica UE. Facendo leva sulla capacità di elaborare standard normativi completi e rigidi anche in tecnologie emergenti (come il caso del GDPR) e sulle dimensioni del proprio mercato, l’Unione può emergere come leader globale nella transizione green, ribaltando così le relazioni di dipendenza e spingendo partner esterni ad adeguarsi alle linee guida europee.
…ma non privo di ostacoli e criticità
Tuttavia, alcuni problemi, soprattutto di ordine economico, permangono. Nel settore dei semiconduttori, ad esempio, la proposta di un Chips Act e di un’autonomia nell’intera filiera di produzione appare estremamente complessa. Produrre su larga scala per il mercato interno e per le esportazioni, infatti, richiederebbe la messa in campo di risorse finanziarie e industriali che risulterebbero fortemente antieconomiche. In secondo luogo, sebbene il mercato europeo sia unico, le competenze e le risorse in campo per Ricerca & Sviluppo e per sussidi permangono in capo agli Stati nazionali. Secondo quanto affermato da numerosi analisti, la produzione di chip europea dovrebbe focalizzarsi sui segmenti ad alto valore aggiunto. L’obiettivo, infatti, deve essere quello di creare l’interdipendenza: rendere cioè le potenze rivali dipendenti anch’esse in parte dalla produzione europea, in modo tale da non poter adottare comportamenti ostili in questo settore.
D’altro canto, appare cruciale il passaggio dello State of the Union di von der Leyen in cui parla di Global Gateway. In un’era di iperconnettività - è il ragionamento della Presidente - l’Europa deve diventare un attore più globale anche nel campo delle infrastrutture, come testimonia il recente via libera da parte del Consiglio all’iniziativa Globally Connected Europe, in cui viene sottolineata l’importanza di investire sia nelle infrastrutture fisiche che nei quadri normativi. La Strategia invita la Commissione e l'Alto Rappresentante a coordinarsi con gli Stati membri e le imprese europee, nonché con le istituzioni finanziarie e di sviluppo, al fine di perseguire gli obiettivi UE in materia di connettività. Centrale altresì appare la necessità di norme e standard internazionali prevedibili al fine di mantenere condizioni di parità e incentivare gli investimenti privati. Il Consiglio, inoltre, mette in risalto i partenariati in materia di connettività con Paesi e regioni che condividono gli stessi principi, ad esempio le iniziative di connettività bilaterali già in essere o in via di negoziazione con l’India e il Giappone, o quelle multilaterali come il Build Back Better for the World (B3W) del G7.
Uno State of the Union che dimostra quindi una nuova consapevolezza rispetto alle sfide strategiche che attendono l’Unione e la convinzione che forme blande di coordinamento tra gli Stati europei non siano più sufficienti, nel mondo del post-pandemia, per affrontare le grandi sfide della competizione internazionale: dalle infrastrutture a tecnologia, industria, spazio e agricoltura. Un passo avanti con il 2021 Strategic Foresight è stato fatto, ma molti saranno i passi successivi in termine d’integrazione necessari per non condannare l’Europa all’irrilevanza economica e politica.