Un rapporto dell’Intelligence Usa accusa il principe saudita Mohammed Bin Salman di essere coinvolto nell’omicidio Khashoggi. Un altro segnale del cambio di rotta nelle relazioni tra Stati Uniti e Arabia Saudita
Il principe ereditario alla corona dell’Arabia Saudita, Mohammed Bin Salman (MBS), “approvò e verosimilmente ordinò l’omicidio” del giornalista Jamal Khashoggi “che nei suoi articoli sul Washington Post aveva criticato le sue politiche”. Mandante e movente: quello che in molti ipotizzavano circa le responsabilità della casa reale saudita nel terribile assassinio, avvenuto nel consolato saudita a Istanbul nel 2018, è riportato nero su bianco in un rapporto dell’intelligence Usa diffuso oggi. In passato Riad aveva ammesso la possibilità che Khashoggi fosse rimasto ucciso in un’operazione di estradizione illegittima andata male, ma ha sempre negato qualsiasi coinvolgimento del principe ereditario nella vicenda. Cinque uomini sono stati condannati a morte per l'omicidio e la loro pena è stata commutata in 20 anni di carcere dopo aver ottenuto il perdono della famiglia di Khashoggi. La Casa Bianca ha fatto sapere che c'è stata una telefonata tra il neo-presidente americano Joe Biden e il re saudita Salman, alla guida del paese dal 2015.
Un cambio di passo?
Già durante la campagna elettorale, Joe Biden aveva chiarito che con lui alla Casa Bianca le cose tra Washington e Riad sarebbero cambiate, spingendosi fino a definire il regno ‘un pariah’ della comunità internazionale. Oggi che siede nello studio Ovale, il presidente deve dare seguito a quelle dichiarazioni. Ed ecco che tra le prime decisioni di politica estera ha preso quella di sospendere il rifornimento militare per gli attacchi in Yemen, lasciando trasparire la volontà che l’alleato ponga fine al conflitto. In questi giorni inoltre gli Usa hanno annunciato la volontà di riprendere il dialogo con l’Iran – competitor dei sauditi per l’influenza regionale – e raggiungere un nuovo accordo sul nucleare. Qualcosa sta cambiando dunque, nelle relazioni tra i due paesi e ieri, in conferenza stampa dalla Casa Bianca, la portavoce Jane Psaki ha dichiarato che “è intenzione del presidente, così come di questo governo, ricalibrare il nostro impegno con l'Arabia Saudita”. Da sempre alleati degli Usa nel Medio Oriente, i sauditi hanno stretto una vicinanza senza precedenti con Washington negli anni dell’amministrazione Trump. In particolare, a gestire con Mohammed Bin Salman le relazioni bilaterali era il genero di Donald Trump, Jared Kushner, suo consigliere speciale per il Medio Oriente. Da parte sua, l’ex presidente non ha mai criticato l’Arabia Saudita sui dossier più spinosi per la casa reale: l’omicidio Khashoggi, la guerra in Yemen, le violazioni dei diritti umani, la repressione politica e degli attivisti civili per i diritti delle donne. Punti sui quali ora potrebbe crescere l’attrito. E oggi, la stampa americana dà risalto al fatto che Biden parlerà con l’85enne re Salman, nonostante l'anziano sovrano abbia da tempo abdicato alla gestione quotidiana del regno, mentre a MBS, che ricopre il ruolo di Ministro della Difesa, è stato detto di conferire con il suo omologo Lloyd J. Austin III.
Chi è MBS?
Classe 1985, primo nella linea di successione al trono dell'Arabia Saudita, è il più giovane ministro della Difesa al mondo, nonché Presidente del Consiglio per gli Affari Economici e di Sviluppo del regno. La sua ascesa è stata fulminante: prima che suo padre diventasse re, nel 2015, in pochi conoscevano il suo nome. Oggi – ad appena sei anni di distanza – è la figura di punta della più influente e ricca petromonarchia del Golfo. Pur essendo il principale fautore di una dispendiosa e inconcludente campagna militare in Yemen, causa della più grave crisi umanitaria al mondo, è molto popolare in patria, soprattutto tra i giovani. Ha spazzato via un’intera generazione di manager corrotti e inefficaci dagli uffici governativi e li ha sostituiti con giovani tecnocrati istruiti in Occidente. Ha definito un piano di sviluppo ambizioso, “Vision 2030”, per diversificare l'economia saudita affrancandola dal greggio, e quotato parte della compagnia petrolifera statale, Saudi Aramco, in borsa. Ha ottenuto il plauso internazionale per alcune riforme nel regno conservatore del Golfo, inclusa la revoca del divieto alle donne di guidare, ma ha continuato a reprimere il dissenso e avviato una disputa diplomatica con il Qatar che ha diviso il Consiglio di cooperazione del Golfo (GCC). Anche se parla a suo padre è a lui che Joe Biden deve far arrivare il messaggio: quanto i rapporti tra i due paesi siano destinati a cambiare dipenderà dall’Arabia Saudita e dal fatto che decida di ignorare o minare intenzionalmente l’interesse Usa nel creare maggiore sicurezza e stabilità nella regione.
Un nuovo capitolo?
La posizione del principe, già compromessa dall’affaire Khashoggi, è stata aggravata dalla pubblicazione ieri su Cnn di documenti giudiziari canadesi in cui MBS risulta titolare della compagnia di jet privati usati dal commando che uccise Khashoggi nell’ambasciata saudita di Istanbul. La causa in cui i documenti sono stati messi agli atti è quella intentata contro il principe dall’ex capo dell'antiterrorismo saudita, oggi in esilio in Canada, Saad al Jabri. L’uomo – già al servizio dell’ex ministro dell'Interno ed ex principe ereditario Mohammed Bin Nayef, un tempo uomo di riferimento di Washington nel regno e ora agli arresti domiciliari per ordine di MBS – ha accusato l’erede al trono di aver organizzato un complotto per ucciderlo. Proprio sui destini di al Jabri e del suo ex capo, si centrano alcune delle possibili richieste Usa alla luce del fatto, ormai chiaro, che l'impunità garantita da Trump non sarà più tollerata. Eppure i primi effetti delle pressioni statunitensi sul regno potrebbero essere già visibili: nelle ultime settimane Riad ha ricucito con il Qatar dopo un boicottaggio durato tre anni e ha scarcerato – pur tenendola sotto inchiesta e vietandole di viaggiare – Loujain al Hathloul, la più famosa dissidente del paese. Inoltre molto si è discusso del possibile allargamento degli accordi di Abramo al regno saudita. Basterà? Difficile dirlo. Se gli americani non pensano di osteggiare l'ascesa al trono del principe, da oggi tornano a presentarsi al mondo come un faro di democrazia e rispetto dei diritti umani, e a Riad chiedono un deciso cambio di rotta.
Il commento
Di Annalisa Perteghella, ISPI Research Fellow e Scientific Coordinator, Rome Med Dialogues
“I segnali lanciati finora dall’amministrazione Biden indicano la volontà di segnare un certo cambiamento rispetto alla linea impressa dall’amministrazione Trump: non più carta bianca e sostegno incondizionato, bensì pressioni e azioni mirate a far sì che il Regno, e il giovane MBS, moderino il proprio operato. Non dimentichiamo poi che Biden, come già Obama, dovrà far digerire ai Saud l’amaro calice di una nuova intesa con l’Iran. Le azioni di questo primo mese servono quindi anche a creare leverage nei confronti di Riad.
Non è però in discussione la tenuta dell’alleanza: obiettivo di Biden è semmai quello di riportare gli Usa alla guida, e soprattutto poter continuare a sostenere l’alleato senza dover pagare un prezzo politico interno – ricordiamo l’opposizione del Congresso alla guerra in Yemen – o internazionale, come l’indignazione suscitata proprio dal caso Khashoggi”.
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A cura della redazione di ISPI Online Publications (Responsabile Daily Focus: Alessia De Luca, ISPI Advisor for Online Publications)