Settembre 2011. L’economia statunitense è in difficoltà. Nonostante i proclami e gli sforzi istituzionali, l’attività non decolla, la disoccupazione è ferma al 9% e la saggezza popolare fa notare come nessun presidente sia mai stato rieletto con una disoccupazione così alta[1]. Pochi scommettono nel rinnovo del mandato del presidente Obama, stretto da una maggioranza traballante restia ad approvare ulteriori piani di stimolo per l’economia. L’Ocse (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico), che un anno prima prevedeva una crescita del Pil statunitense del 3,1% nel 2012, rivede la stima al ribasso, portandola all’1,8%. La prospettiva al ribasso e la crescente disoccupazione avvantaggiano nei sondaggi il partito repubblicano.
Aprile 2012. Lo staff del presidente Obama è più rilassato. L’economia sembra essere tornata a crescere: si creano 200mila posti di lavoro al mese, la disoccupazione è in calo e fa meno paura. I risultati sono tanto più positivi quanto più li si confronta con il caso europeo. Anche le previsioni di crescita migliorano: a marzo l’Ocse prevede una crescita del Pil Usa del 2,9% nel 2012, il Fondo monetario internazionale (Fmi) del 2,1%.
Giugno 2012. L’andamento positivo dell’economia statunitense è destinato a interrompersi, con una ripresa che si dimostra meno forte di quanto si fosse ritenuto. I dati di aprile e maggio mostrano un nuovo rallentamento, soprattutto nel mercato del lavoro: nei mesi di aprile e maggio i posti di lavoro creati internamente sono stati soltanto 69.000 e 77.000. In più, entra in gioco anche la grande incognita europea – e l’incapacità di Obama di persuadere la cancelliera tedesca Angela Merkel a fare di più per il progetto Europa. Infatti, un ulteriore rallentamento delle economie del vecchio continente potrebbe portare alla riduzione della domanda di esportazione statunitense verso l’Europa, nonché aumentare le turbolenze sul mercato finanziario. Nonostante ciò, lo scenario globale può riservare anche delle sorprese positive: la Cina, il paese che per primo adottò politiche fiscali espansive nel 2008, sta valutando un nuovo piano di spesa pubblica; l’Europa potrebbe finalmente trovare un accordo politico che ristabilisca l’equilibrio interno e fermi la speculazione.
Ma queste eventualità restano incerte, e sarebbe ingenuo pensare che il presidente Obama rimanga spettatore del mutevole scenario globale [2]. Quali dovrebbero essere le decisioni di politica economica di Obama nei prossimi mesi? Da sempre, politiche economiche di stimolo vengono utilizzate negli Stati Uniti come aiuto per vincere le elezioni, innescando un vero e proprio ciclo elettorale di spesa che vede il suo culmine nell’ultimo anno di mandato [3]. Ma questa volta potrebbe essere diverso.
Da un lato, infatti, la politica monetaria non potrebbe essere più espansiva di quanto lo sia oggi, con i tassi di interesse a zero da ormai molto tempo e con l’intenzione di non modificarli ancora per molto, secondo fonti governative almeno fino al 2014. La fine dei programmi di quantitative easing (cioè dei programmi di nazionalizzazione delle banche e di accettazione dei titoli tossici), al contrario, potrebbe portare a una stretta monetaria imprevista.
D’altra parte, la politica fiscale è stata più restrittiva di quanto si creda comunemente. La spesa pubblica statunitense per consumi e investimenti sta decrescendo con tassi superiori al 2% ormai da un anno. E anche il numero dei dipendenti statali è in continua diminuzione, già dalla fine del 2010. Non c’è quindi da stupirsi che l’economia statunitense non riesca a ritornare ai livelli di crescita pre-crisi e a diminuire sostanzialmente la disoccupazione. Il motivo è semplice: Obama ha perso la maggioranza in Congresso ormai da due anni, e i repubblicani sono contrari all’aumento del debito pubblico. Dovesse Obama riuscire a superare i blocchi repubblicani a un nuovo stimolo fiscale, le probabilità di successo volgerebbero a suo favore. Altrimenti, la sua rielezione sarà sempre più a rischio.
Figura 1 - Posti di lavoro totali (escluso il settore agricolo), dati mensili, variazione su mese precedente [cfr. documento]
Figura 2 - Spesa pubblica per consumi e investimenti, dati trimestrali a prezzi costanti, variazione percentuale anno su anno [cfr. documento]
Figura 3 - Posti di lavoro, settore governativo, dati mensili, variazione percentuale anno su anno [cfr. documento]
[1] La media storica Usa è del 5-6%
[2] E infatti è da notare l’intervento di Obama del 5 giugno sulla politica economica europea durante l’ultimo G7.
[3] A. ALESINA - G.D. COHEN - N. ROUBINI (2003), Electoral Business Cycle in Industrial democracies.