Al summit di Anchorage, primo incontro Usa-Cina dell’era Biden, volano stracci. Agli Stati Uniti, che li accusano di “minacciare la stabilità globale,” Pechino risponde: “siete voi quelli che violano i diritti umani”.
È gelo nelle relazioni Usa-Cina. E non solo perché ad Anchorage, Alaska, dove si è tenuto il primo incontro bilaterale di alto livello, c’erano -11°. Il clima, intorno al tavolo a cui sedevano il Segretario di Stato Usa Antony Blinken e il Consigliere per la Sicurezza nazionale Jack Sullivan e i responsabili della diplomazia cinese Yang Jiechi e Wang Yi era addirittura glaciale. Gli inviati del presidente americano Joe Biden di certo non le hanno mandate a dire, richiamando la Cina alla necessità di costruire un “ordine internazionale basato su regole condivise,” e sottolineando che le azioni di Pechino in Xinjiang, a Hong Kong e Taiwan “minacciano la stabilità globale”. Gli abituali protocolli e toni diplomatici hanno immediatamente lasciato il posto ad una serie di accuse incrociate, con la delegazione cinese che ha risposto che gli Usa “non hanno il diritto di rivolgersi alla Cina come se parlassero da una posizione di forza.” E in alcuni momenti, il confronto ha persino virato sulla gestione di dossier di politica interna: come quando la Cina, che ha nuovamente rigettato le accuse sui campi di rieducazione in Xinjiang, ha puntato il dito contro il razzismo sistemico negli Usa. Lo scontro ha dimostrato che il rapporto tra le due superpotenze, che Blinken ha definito “il più grande test geopolitico del 21esimo secolo” sarà teso e difficile, poiché la Cina in ascesa è e sarà sempre più assertiva nel tentativo di stabilire un ‘suo’ nuovo ordine mondiale in cui l’influenza di Pechino si sostituisce a quella americana.
Un faccia a faccia teso?
Le premesse per un faccia a faccia teso, a dire il vero, c’erano tutte: l’incontro si era aperto sulla scia di imminenti sanzioni europee alla Cina per le politiche in Xinjiang, le prime che l’Unione imporrà al paese dai tempi di piazza Tienanmen, e all’indomani del viaggio in Asia di Antony Blinken denso di incontri con alleati regionali con cui il Segretario di stato ha stretto una “diplomazia del vaccino” multilaterale. Inoltre – sottolinea Giulia Scioratiin questo commentary – “le circostanze del meeting, erano già cariche di incomprensioni.” Se la Cina aveva presentato l’incontro come un dialogo strategico bilaterale, volto a normalizzare le relazioni dopo la crescente competizione creatasi sotto la presidenza Trump, gli USA erano stati molto più cauti, etichettando l’incontro come una tantum allo scopo di chiarire alcuni punti chiave con Pechino.
Inoltre, le cose sono andate male fin dall’inizio: secondo il protocollo concordato prima dell’inizio della riunione, i membri delle delegazioni avrebbero dovuto un discorso di due minuti ciascuno davanti ai giornalisti, che poi sarebbero stati accompagnati fuori per consentire la discussione vera e propria a porte chiuse. Ma la delegazione cinese ha ‘sforato’ di oltre 20 minuti sul tempo stabilito, lanciando bordate a cui il Segretario Blinken ha poi voluto ribattere. La fase introduttiva è durata così più di un’ora e i giornalisti sono stati invitati a uscire mentre i rappresentanti cinesi continuavano a parlare.
Incontro interlocutorio?
La delegazione di Pechino – secondo BBC – era particolarmente arrabbiata per il fatto che alla vigilia dell’incontro gli Usa avessero disposto sanzioni contro i cinesi, in seguito al giro di vite sui manifestanti a Hong Kong. Ma è possibile che i toni muscolari esibiti davanti alle telecamere fossero più un atteggiamento di facciata, dato che – come riferito da entrambe le parti – gli incontri a porte chiuse che ne sono seguiti sono stati “seri, franchi e sostanziali”. D’altra parte, l’incontro di Anchorage segna un cambio di passo nei rapporti con Pechino: l'amministrazione Usa ha detto che manterrà fermo il punto sulle questioni importanti, ma che si rende disponibile a lavorare con la controparte, mentre i cinesi hanno rifiutato di scendere a compromessi su ciò che ritengono “questioni di sovranità e sicurezza nazionale.” Al momento, però, l’unico argomento di possibile intesa, sembra essere il clima. All'orizzonte c'è la possibilità di un incontro, il mese prossimo, tra il presidente Usa, Joe Biden, e il l’omologo cinese, Xi Jinping. Il summit, secondo il Wall Street Journal, potrebbe dipendere dall'esito dei colloqui in Alaska, e puntare all'impegno per ridurre l'emissione di gas serra e contrastare i cambiamenti climatici.
Per tutto il resto si dovrà attendere. E di certo le aspettative per un miglioramento nei rapporti “sono basse – osserva Bonnie Glaser, direttrice del China Power Project presso il Center for Strategic and International Studies – poiché un nuovo inizio nelle relazioni bilaterali non sembra essere sul tavolo.”
Un cordone sanitario?
Dietro i toni acceso di Anchorage ci sono più di due decenni di frustrazione da parte di funzionari americani per un progressivo ‘allineamento’ della Cina che non è mai arrivato. “L’elettroshock di Donald Trump ha avuto come conseguenza quella di uniformare la visione di democratici e repubblicani su Pechino,” osserva Michael Hirsh su Foreign Policy. E a Washington si sono resi conto che, come ha detto Blinken, “la Cina non cambierà, almeno non rapidamente né facilmente.”
Intanto, gli alleati Usa osservano e riflettono: la volontà di Washington di creare “un cordone sanitario” per fare pressione su Pechino è talmente chiara che ormai gli stessi cinesi se ne servono per denunciare il “multilateralismo selettivo” degli Stati Uniti. Ma la strada è lunga: il Quad, che gli Usa hanno intenzione di rianimare dopo anni di paralisi, per ora è ancora una coalizione solo sulla carta. L'India, la più grande democrazia asiatica al centro delle strategie americane, ha una partnership di difesa in corso con la Russia, da cui acquista buona parte dei suoi sistemi di difesa. E l’Europa? Malgrado le profonde divergenze ideologiche e valoriali, la nascita di una ‘coalizione anticinese’ mette a disagio l’Unione europea, determinata a mantenere rapporti cordiali con Pechino, soprattutto in termini economici. Sarà interessante, perciò, osservare la visita di Blinken la prossima settimana a Bruxelles. Perché tutti realizzano la necessità di gestire la Cina, ma continuando a intrattenervi relazioni commerciali. In primis, la Cina.
Il commento
di Giulia Sciorati, Associate Research Fellow, ISPI Asia Centre, China Programme
Com’era prevedibile, il meeting di Anchorage ha visto Cina e Stati Uniti arroccarsi sulle proprie differenze. Il margine per il dialogo era già ridotto in partenza a causa dei presupposti dell’incontro: la discussione su temi come diritti umani e libertà democratiche lasciava infatti poco spazio per una negoziazione, soprattutto dal punto di vista di Pechino. Il clima e l’ambiente potrebbero continuare ad essere i ‘temi cuscinetto’ di questo summit, come in passato. Questa volta, però, la spinta da dare alle relazioni bilaterali è tanta e l’asso ‘green’ potrebbe non essere sufficiente.