Venerdì, pieno giorno, Washington. Un uomo a bordo di un’auto si schianta contro una delle barriere di protezione erette attorno al Congresso. Travolti due agenti, uno dei due – William Evans – muore per le ferite riportate. L’assalitore, che nel frattempo è sceso dalla vettura con un coltello, è colpito in modo letale dal fuoco dei poliziotti. Si chiamava Noah Green, ventenne, un passato segnato da turbe mentali, convinto di essere sorvegliato da Cia e FBI. Si era poi accostato alla Nazione dell’Islam, il famoso movimento radicale afroamericano. Tuttavia, in una prima valutazione gli inquirenti hanno escluso la matrice terroristica. Vedremo se questo quadro cambierà nel corso delle verifiche. Il legame, magari solo ideologico, con una formazione estremista andrà esplorato.
In attesa di sviluppi investigativi – sempre da considerare in eventi come questo – è possibile indicare tre fattori.
Primo. L’azione desta sconcerto perché segue di qualche mese l’assalto al Parlamento da parte dei dimostranti pro-Trump, anche quello conclusasi con il decesso di un agente e il ferimento di altri. Sono situazioni diverse, però l’ultimo episodio alimenta la sensazione di un pericolo continuo, allarmi, timori per un luogo simbolo. Il Congresso può diventare il magnete per gesti a ripetizione. C’era stato un periodo in cui la Casa Bianca era stata teatro di irruzioni, violazione del perimetro esterno, persino spari. Ora si ripropone per un altro palazzo delle istituzioni. Si amplia il dilemma tra l’esigenza di sicurezza e il desiderio di mantenere la sede parlamentare un luogo aperto.
Secondo. L’assalto ha riguardato non un soft target, ma un luogo protetto nel centro della capitale americana. Decine di pattuglie in zona, barriere, telecamere, unità in borghese, reparti della Guardia nazionale. Eppure, c’è stato un gesto di sfida, non importa quale sia la motivazione. Da considerare che solo qualche giorno prima alcuni congressisti avevano riservato critiche alla presunta militarizzazione eccessiva del settore, con il cuore politico blindato come fosse la Green Zone di Baghdad assediata. Purtroppo la «violazione» di gennaio con gli esili cordoni travolti dalla folla e il successivo ingresso nel Congresso dei manifestanti ha creato un precedente grave. I responsabili della sicurezza devono considerare qualsiasi scenario. Chi ha in mente atti clamorosi – non importa quale sia la ragione – pensa di poterlo fare su una platea che gli concede il massimo risalto. Noah Green ha scelto questo sentiero.
Terzo. Il modus operandi della vettura è adottato da simpatizzanti jihadisti, estremisti di destra, da instabili, compresi coloro che cercano il suicidio per mano della polizia. I qaedisti lo avevano ribattezzato «il tagliaerba». Usano questa tattica in quanto è facile da eseguire. Trasformano un normale veicolo in un ariete letale. E non è detto che vi sia sempre una pianificazione. Green ha acquistato la “lama” – costo 300 dollari – appena 90 minuti prima di schiantarsi. L’attentatore, infatti, può decidere al momento di imboccare a tutta velocità una delle vie che portano all’obiettivo. In alcuni casi, oltre al mezzo, si infila sotto la giacca un coltello per colpire chiunque sia nelle vicinanze. Lo abbiamo visto a molte latitudini, dagli Usa all’Europa.
Sullo sfondo la violenza diffusa, con stragi compiute in centri per massaggi (Atlanta) oppure nel supermercato di Boulder, Colorado. Storie dove spesso le autorità faticano a individuare cosa le abbia innescate ma che accrescono dolore e inquietudine perché non sembrano conoscere fine.