USA: Cosa ci dice l’attacco presso il Congresso
Salta al contenuto principale

Form di ricerca

  • ISTITUTO
  • PALAZZO CLERICI
  • MEDMED
  • G20 & T20

  • login
  • EN
  • IT
Home
  • ISTITUTO
  • PALAZZO CLERICI
  • MEDMED
  • G20 & T20
  • Home
  • RICERCA
    • OSSERVATORI
    • Asia
    • Cybersecurity
    • Europa e Governance Globale
    • Geoeconomia
    • Medio Oriente e Nord Africa
    • Radicalizzazione e Terrorismo Internazionale
    • Russia, Caucaso e Asia Centrale
    • Infrastrutture
    • PROGRAMMI
    • Africa
    • America Latina
    • Global Cities
    • Migrazioni
    • Relazioni transatlantiche
    • Religioni e relazioni internazionali
    • Sicurezza energetica
  • ISPI SCHOOL
  • PUBBLICAZIONI
  • EVENTI
  • PER IMPRESE
    • cosa facciamo
    • Incontri ristretti
    • Conferenze di scenario
    • Future Leaders Program
    • I Nostri Soci
  • ANALISTI

  • Home
  • RICERCA
    • OSSERVATORI
    • Asia
    • Cybersecurity
    • Europa e Governance Globale
    • Geoeconomia
    • Medio Oriente e Nord Africa
    • Radicalizzazione e Terrorismo Internazionale
    • Russia, Caucaso e Asia Centrale
    • Infrastrutture
    • PROGRAMMI
    • Africa
    • America Latina
    • Global Cities
    • Migrazioni
    • Relazioni transatlantiche
    • Religioni e relazioni internazionali
    • Sicurezza energetica
  • ISPI SCHOOL
  • PUBBLICAZIONI
  • EVENTI
  • PER IMPRESE
    • cosa facciamo
    • Incontri ristretti
    • Conferenze di scenario
    • Future Leaders Program
    • I Nostri Soci
  • ANALISTI
Blog @Radar
USA: Cosa ci dice l’attacco presso il Congresso
Guido Olimpio
06 aprile 2021

Venerdì, pieno giorno, Washington. Un uomo a bordo di un’auto si schianta contro una delle barriere di protezione erette attorno al Congresso. Travolti due agenti, uno dei due – William Evans – muore per le ferite riportate. L’assalitore, che nel frattempo è sceso dalla vettura con un coltello, è colpito in modo letale dal fuoco dei poliziotti. Si chiamava Noah Green, ventenne, un passato segnato da turbe mentali, convinto di essere sorvegliato da Cia e FBI. Si era poi accostato alla Nazione dell’Islam, il famoso movimento radicale afroamericano. Tuttavia, in una prima valutazione gli inquirenti hanno escluso la matrice terroristica. Vedremo se questo quadro cambierà nel corso delle verifiche. Il legame, magari solo ideologico, con una formazione estremista andrà esplorato. 

In attesa di sviluppi investigativi – sempre da considerare in eventi come questo – è possibile indicare tre fattori. 

Primo. L’azione desta sconcerto perché segue di qualche mese l’assalto al Parlamento da parte dei dimostranti pro-Trump, anche quello conclusasi con il decesso di un agente e il ferimento di altri. Sono situazioni diverse, però l’ultimo episodio alimenta la sensazione di un pericolo continuo, allarmi, timori per un luogo simbolo. Il Congresso può diventare il magnete per gesti a ripetizione. C’era stato un periodo in cui la Casa Bianca era stata teatro di irruzioni, violazione del perimetro esterno, persino spari. Ora si ripropone per un altro palazzo delle istituzioni. Si amplia il dilemma tra l’esigenza di sicurezza e il desiderio di mantenere la sede parlamentare un luogo aperto. 

Secondo. L’assalto ha riguardato non un soft target, ma un luogo protetto nel centro della capitale americana. Decine di pattuglie in zona, barriere, telecamere, unità in borghese, reparti della Guardia nazionale. Eppure, c’è stato un gesto di sfida, non importa quale sia la motivazione. Da considerare che solo qualche giorno prima alcuni congressisti avevano riservato critiche alla presunta militarizzazione eccessiva del settore, con il cuore politico blindato come fosse la Green Zone di Baghdad assediata. Purtroppo la «violazione» di gennaio con gli esili cordoni travolti dalla folla e il successivo ingresso nel Congresso dei manifestanti ha creato un precedente grave. I responsabili della sicurezza devono considerare qualsiasi scenario. Chi ha in mente atti clamorosi – non importa quale sia la ragione – pensa di poterlo fare su una platea che gli concede il massimo risalto. Noah Green ha scelto questo sentiero. 

Terzo. Il modus operandi della vettura è adottato da simpatizzanti jihadisti, estremisti di destra, da instabili, compresi coloro che cercano il suicidio per mano della polizia. I qaedisti lo avevano ribattezzato «il tagliaerba». Usano questa tattica in quanto è facile da eseguire. Trasformano un normale veicolo in un ariete letale. E non è detto che vi sia sempre una pianificazione. Green ha acquistato la “lama” – costo 300 dollari – appena 90 minuti prima di schiantarsi. L’attentatore, infatti, può decidere al momento di imboccare a tutta velocità una delle vie che portano all’obiettivo. In alcuni casi, oltre al mezzo, si infila sotto la giacca un coltello per colpire chiunque sia nelle vicinanze. Lo abbiamo visto a molte latitudini, dagli Usa all’Europa.

Sullo sfondo la violenza diffusa, con stragi compiute in centri per massaggi (Atlanta) oppure nel supermercato di Boulder, Colorado. Storie dove spesso le autorità faticano a individuare cosa le abbia innescate ma che accrescono dolore e inquietudine perché non sembrano conoscere fine. 

Ti potrebbero interessare anche:

Bye bye Afghanistan
Ucraina: tensioni, gas e incontri al vertice
Afghanistan: gli USA verso il ritiro incondizionato
Giuliano Battiston
Giornalista e ricercatore freelance
Suga’s Trip to Washington: A Landmark Moment in Japan Foreign Policy
Edward Danks
Asia House
Celebrating 160 Years of US-Italian Diplomatic Relations
Iran, tra nucleare e fantasmi di guerra

Tags

USA Joe Biden relazioni transatlantiche
Versione stampabile

AUTORI

Guido Olimpio
Corriere della Sera

SEGUICI E RICEVI LE NOSTRE NEWS

Iscriviti alla newsletter

Chi siamo - Lavora con noi - Analisti - Contatti - Ufficio stampa - Privacy

ISPI (Istituto per gli Studi di Politica Internazionale) - Palazzo Clerici (Via Clerici 5 - 20121 Milano) - P.IVA IT02141980157