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Commentary
USA-Europa: cosa è cambiato e può ancora cambiare con Trump
Giancarlo Aragona
08 novembre 2019

È fuori dubbio che l’elezione di Donald Trump alla Casa Bianca abbia costituito una rottura rispetto ai canoni tradizionali della politica interna ed estera americana. Lo rivendica lo stesso Presidente.
Ne ha fortemente risentito il modo in cui gli Stati Uniti vivono le alleanze che hanno costruito, dalla fine della seconda guerra mondiale, in diverse parti del mondo per realizzare la Pax Americana. Non poteva restarne esente la comunità transatlantica, Stati Uniti e Canada da una parte ed Europa occidentale dall’altra, che ha costituito l’arco di volta, incarnato e protetto dalla NATO, che ha retto l’ordine mondiale per gran parte del secondo dopo guerra.
Il ciclone Trump si è abbattuto su processi in corso da tempo. Su entrambe le sponde dell’Atlantico, il legame reciproco ha subito nei decenni una naturale evoluzione, funzione sia delle trasformazioni dei nostri paesi che del contesto internazionale generale. La continuità ha dominato sino al crollo dell’URSS. Quella svolta epocale ha segnato non la fine della storia, ma l’innesco del riassestamento dell’ordine mondiale che l’Occidente sta affrontando in ordine sparso.
Il travaglio nel campo occidentale si era presto manifestato in seno alla NATO che, dai primi anni 90 del secolo scorso, palesava difficoltà ad adattarsi alla scomparsa del nemico storico e a trovare nuove missioni, in un delicato equilibrio tra vecchio e nuovo. Tuttavia, tra sbandamenti ed esitazioni, l’integrità della Alleanza, veicolo sinora insostituibile del legame tra Stati Uniti ed Europei, è stata sempre salvaguardata sia per il persistere del sentimento di solidarietà occidentale, sia per l’impegno di tutte le successive Presidenze americane ad esercitare una sapiente, ma ferma, leadership unificante sugli Alleati.
Nel primo decennio di questo secolo, le crepe tra le due sponde dell’Atlantico si accentuarono. Negli USA cominciarono a manifestarsi tendenze insofferenti dei condizionamenti del concerto interalleato, come più in generale del multilateralismo. A loro volta, gli Europei apparivano confusi, divisi tra una cosiddetta “vecchia Europa”, a guida Franco-tedesca, e nuova Europa, ispirata alla Gran Bretagna di Tony Blair, che, con l’attivo concorso delle nuove democrazie dell’Est (ma anche dell’Italia dei governi Berlusconi), guardava a Washington, anche a costo di piegarsi ad impostazioni ed iniziative della Presidenza di George W. Bush sulla quale già si avvertiva l’influenza dell’unilateralista Bolton.
La crisi finanziaria che a partire dal 2008 ha colpito in maniera diversa, e con diverse capacità di ripresa, l’Occidente, come il rafforzarsi di correnti di opinione negli USA che reclamavano una più equa ripartizione degli oneri in seno alla NATO ed il disimpegno di Washington dal ruolo di gendarme del mondo, hanno ulteriormente messo in tensione la comunità euro americana, impreparata alla filosofia di Obama
del “leading from behind“, e stressata, tra gli Europei, non solo da disparità di vedute e di interessi nei confronti della Russia.
Insomma, l’elezione di Trump è intervenuta in un momento in cui il legame euro americano era in una fase delicata. Constatarlo non significa minimizzare l’impatto negativo del suo atteggiamento e delle sue politiche. Mai Presidente USA si era spinto a definire l’Unione Europea un avversario commerciale, ad articolare le relazioni in seno alla NATO con un approccio brutalmente mercantilista e a mostrare insensibilità ideale, se non peggio, verso il blocco politico-economico che, dalla fine della guerra, ha coadiuvato e moltiplicato l’influenza globale degli Stati Uniti.
Cosa dovrebbero fare gli Europei per affrontare questo pericoloso frangente storico? In principio, molto. Ma non paiono attrezzati per farlo. Senza contare che, in caso di rielezione di Trump, queste tensioni si prolungherebbero per ancora quattro anni e che probabilmente l’approccio americano verso il mondo è cambiato in maniera irreversibile.
Gli Europei non hanno amalgamato i nuovi partner dell’Est, sono privi di una leadership forte, con il crepuscolo della Cancelliera Merkel, l’uscita del Regno Unito dalla UE, e le crisi che affliggono paesi come l’Italia o la Spagna, comunque inadatti a pretendere ruoli guida. La Francia con Macron aspirerebbe a un tale ruolo che però non le viene riconosciuto. Anzi, i metodi sbrigativi dell’inquilino dell’Eliseo suscitano crescenti malumori e diffidenze dei partner. Il Presidente francese sta mostrando una vistosa carenza di capacità di costruire consenso in seno alla UE, talento evidente nei momenti migliori dei Cancellierati Kohl e Merkel in Germania e chiave dei loro successi.
Ma tutto quello che gli Europei potrebbero fare, andrebbe fatto, partendo da una constatazione realistica: è ancora interesse vitale dell’Europa rimanere vicina agli USA e sarebbe velleitario immaginare di potere imboccare in tempi determinabili, gli unici che contano in politica estera, una via autonoma dagli Stati Uniti non solo nel settore della sicurezza ma anche in quelli politico ed economico. Ciò non significa subire passivamente gli eventi. A tal fine, gli Europei debbono trovare sufficiente coesione politica e strategica, supportata dalla ripresa economica, per sostenere, non solo a parole, una doppia sfida: nell’immediato, salvare tutto il salvabile nel rapporto con gli Stati Uniti di Trump, evitando anzitutto di prestarsi al divide et impera di questa Casa Bianca. Un prezzo che andrà pagato presto è venire incontro seriamente alla ribadita aspettativa di Washington di un maggiore sforzo nella sicurezza comune, alleviando le responsabilità statunitensi. Disponendo di questa carta, e grazie alla precisa identificazione di obiettivi prioritari, il dialogo con gli USA, dentro e fuori della NATO, potrebbe essere più costruttivo; a più lungo termine, gli Europei dovranno avere la saggezza e la forza per rendersi collettivamente attori di peso sulla scena mondiale, affinché l’ordine in fieri sia coerente anche con i loro valori e interessi. Questa aspirazione fa parte tradizionalmente del repertorio programmatico delle Commissioni e degli altri Vertici UE, come della grande maggioranza dei suoi leader. Non si è mai realizzata e adesso è messa a dura prova da Trump e da diffuse velleità sovraniste. Essa è però più attuale che mai.

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AUTORI

Giancarlo Aragona
Ambasciatore e già Presidente ISPI

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