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Analysis

USA fuori dall'accordo sul nucleare iraniano: cosa cambia per l'Italia?

Annalisa Perteghella
|
Tiziana Corda
23 maggio 2018

Il ritiro degli Stati Uniti dall’accordo sul nucleare iraniano (JCPOA) e la conseguente reintroduzione delle sanzioni secondarie USA che erano state sospese nel gennaio 2016 aprono nuovi scenari di incertezza per le relazioni economiche tra Italia e Iran. L’Unione europea ha espresso la volontà di introdurre alcune misure allo scopo di tutelare le proprie aziende dalla portata extraterritoriale delle sanzioni statunitensi. Si tratta di una corsa contro il tempo: ad agosto rientreranno in vigore alcune delle sanzioni in precedenza sospese, mentre le rimanenti rientreranno in vigore a novembre. Questa analisi esplora gli obiettivi della nuova strategia USA di isolamento economico dell’Iran, analizza le potenziali implicazioni economiche per l’Italia e delinea alcune raccomandazioni di policy al fine di salvaguardare l’esistenza del JCPOA e le relazioni economiche e commerciali tra Italia e Iran.

 

L’8 maggio Donald Trump ha annunciato il ritiro degli Stati Uniti dall’accordo sul nucleare iraniano (Joint Comprehensive Plan Of Action, JCPOA) raggiunto dai paesi P5+1 (USA, Russia, Cina, Francia, Regno Unito, Germania) nel luglio 2015 ed entrato in vigore nel gennaio 2016. Con un comunicato dai toni estremamente duri, Trump ha annunciato la prossima reintroduzione delle sanzioni secondarie USA precedentemente sospese, mettendo di fatto in difficoltà quegli attori internazionali – come i paesi europei – che in questi mesi hanno espresso la volontà di rimanere parte dell’accordo e di proseguire la politica dell’engagement nei confronti di Teheran.

La decisione di Trump ha suscitato dure reazioni tra gli altri paesi che hanno negoziato il JCPOA. L’Unione europea, in particolare, ha ribadito la volontà di agire al fine di proteggere un accordo che rappresenta “un elemento chiave del regime globale di non proliferazione nucleare” e che è “cruciale per la sicurezza della regione, dell’Europa e del mondo intero”. Fin dal raggiungimento dell’intesa nel luglio 2015, infatti, l’Iran è stato sottoposto a un regime di monitoraggio e sorveglianza – il più completo al mondo  – da parte dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (AIEA), la quale ha più volte verificato l’adempienza iraniana agli obblighi sottoscritti con l’intesa. Il programma nucleare di Teheran è stato dunque limitato e posto sotto controllo internazionale grazie all’accordo, e la minaccia militare posta dal programma nucleare iraniano è stata scongiurata. Inoltre, per quanto il JCPOA rappresenti un accordo limitato al settore del disarmo nucleare, esso ha di fatto restituito a Teheran il ruolo di interlocutore per la risoluzione delle crisi regionali. L’accordo ha rappresentato inoltre la base sulla quale costruire un dialogo con Teheran – “Political Dialogue” – all’interno del quale vengono affrontati anche temi controversi. 

Il fatto che l’effettivo funzionamento dell’accordo sia stato ampiamente riconosciuto – nei mesi scorsi anche dallo stesso Dipartimento di Stato americano  – solleva numerosi dubbi circa le reali motivazioni della decisione di Trump di portare gli USA fuori dall’accordo e infliggere in questo modo un colpo potenzialmente mortale all’accordo. Non essendovi altre soluzioni – pacifiche e multilaterali – alla questione del nucleare iraniano, l’ipotesi è che Trump abbia deciso di sacrificare un bene immediato e condiviso – la sicurezza nella regione – in favore di quello che percepisce come un beneficio più ampio, ovvero il cambio di regime a Teheran da realizzarsi in seguito al concretizzarsi di due diversi scenari. Nel best-case scenario, con l’affondamento del JCPOA e la reintroduzione delle sanzioni, gli USA mirano a strangolare economicamente Teheran e a far crescere la pressione dal basso sul regime, come in parte già avvenuto con le proteste dello scorso dicembre. Se il regime dovesse resistere economicamente al fallimento del JCPOA e politicamente alle proteste, entrerebbe in gioco il secondo scenario: Teheran, messa all’angolo, e complice l’esautorazione della componente “moderata” della classe politica, verrebbe portata a riprendere il programma nucleare, fornendo dunque la legittimazione a un attacco preventivo sulle infrastrutture iraniane. 

Va da sé che entrambi questi scenari (la caduta del regime e l’attacco preventivo sui siti nucleari iraniani) andrebbero ad aggiungere ulteriore caos a una regione già profondamente in crisi: non è possibile auspicare un cambio di regime senza la consapevolezza che esso avverrà solamente a prezzo di vittime civili e aumento del disordine regionale. L’evidenza storica dimostra infatti che il cambio di regime imposto o sollecitato dall’esterno nella maggioranza dei casi comporta costi superiori ai benefici.

Se dunque lo strumento della strategia di Trump è economico – le sanzioni –, occorre formulare una risposta legata proprio a quest’aspetto. Per cercare di scongiurare i due scenari sopra evocati, e per salvaguardare un accordo che ha risolto una delle più gravi crisi di sicurezza dell’ultimo ventennio, è necessario assicurare la permanenza di Teheran nel deal. Strumentale a questo obiettivo è la salvaguardia delle relazioni economiche e commerciali con l’Iran. Le relazioni economiche e commerciali tra Unione europea e Iran, per quanto in crescita, non sono paragonabili a quelle tra Unione europea e Stati Uniti. Eppure, è necessario che l’Ue metta in atto misure per garantire la preservazione di questi legami, unico filo in grado di tenere Teheran nell’accordo. 

Quanto evidenziato per l’Unione europea appare particolarmente vero anche per l’Italia, che dell’Ue è uno dei membri principali. Sebbene non sia parte del gruppo dei P5+1 che ha negoziato l’accordo, Roma intrattiene con Teheran una relazione storica che si sviluppa su diversi piani: politico, economico, diplomatico, culturale. Il nostro paese è stato il primo ad accogliere il presidente iraniano Hassan Rouhani nella sua prima visita di stato in Europa nel gennaio 2016, ed è attualmente il primo partner commerciale di Teheran tra i paesi UE. È pertanto interesse nazionale preservare tanto a livello politico quanto a livello economico il dialogo con Teheran.

L’Italia, inoltre, rischia di essere gravemente penalizzata dalla reintroduzione delle sanzioni secondarie USA nei settori a rischio, così come dall’isolamento bancario e finanziario dell’Iran – che verrà completato entro il 4 novembre – e che renderà estremamente difficile effettuare e ricevere pagamenti dalla Repubblica Islamica. 

USA fuori dal JCPOA: quali conseguenze?

Sanzioni secondarie: cosa sono?

Cosa sono le sanzioni “secondarie” la cui reintroduzione minaccia i soggetti europei? Per comprenderlo è necessario fare un passo indietro e ricordare la distinzione tra sanzioni primarie e sanzioni secondarie, prevista dalla normativa statunitense. Le prime colpiscono i soggetti statunitensi o i soggetti con un “US-nexus” (un cittadino statunitense nel proprio board, un titolare di green card, esposizione verso il mercato USA, un cittadino non statunitense ma che si trovi anche solo momentaneamente negli USA, l’utilizzo di dollari statunitensi nelle transazioni) che intrattengono relazioni economiche e commerciali con un paese o un elenco di soggetti designati; le seconde colpiscono i soggetti non statunitensi che intrattengono relazioni economiche e commerciali con un paese o un elenco di soggetti designati. Questo secondo tipo di sanzioni, dunque, ha il carattere dell’extraterritorialità. Nei confronti di questi soggetti, gli USA possono decidere di limitare le relazioni economiche con il paese sanzionato o di proibirle tout court. Anche le misure punitive variano, dalla imposizione di multe all’esclusione dal mercato statunitense. 

Con l’entrata in vigore del JCPOA il 16 gennaio 2016 (“Implementation Day”), gli USA avevano sospeso le sanzioni secondarie relative al programma nucleare iraniano, mentre erano rimaste in vigore quelle primarie e quelle secondarie non relative al nucleare. Per i soggetti statunitensi dunque non è mai cambiato (quasi) nulla: qualsiasi transazione con l’Iran rimaneva proibita, ad eccezione di alcune specificatamente autorizzate tramite licenze speciali. Per i soggetti non statunitensi, invece, la sospensione delle sanzioni secondarie ha significato la possibilità di riprendere le transazioni economiche e commerciali con l’Iran. Anche in questo caso, però, con dei caveat. I soggetti non USA hanno comunque dovuto continuare ad adeguarsi alle norme USA in materia di export control, che vietano l’esportazione verso l’Iran di prodotti di origine statunitense e di prodotti di origine non statunitense ma che contengono il 10% o più di contenuto statunitense. Inoltre, alle istituzioni finanziarie non statunitensi ha continuato a essere vietato il clearing di transazioni in dollari verso l’Iran.

La denuncia del JCPOA da parte USA, e la conseguente reintroduzione delle sanzioni relative al nucleare, non produce dunque cambiamenti significativi per i soggetti USA (ad eccezione del fatto che verranno meno le licenze emesse per autorizzare specifiche transazioni), mentre incide significativamente sui soggetti non statunitensi, soprattutto sulle aziende europee. Mentre le misure secondarie USA colpiscono tutti i soggetti non statunitensi, dunque anche Asia e Russia, l’elevato livello di interdipendenza tra USA e UE pone proprio le aziende europee nella posizione più difficile. In sintesi, per le aziende asiatiche – che già hanno acquisito rilevanti quote di mercato iraniano negli anni delle sanzioni pre-JCPOA – sarà molto più semplice schermarsi dalle rappresaglie USA, mentre lo stesso non si può dire delle aziende europee. 

Quali sanzioni verranno reintrodotte?

L’8 maggio si è aperto un periodo di “adattamento” (“wind down period” nella nota del Dipartimento del Tesoro USA) di 90 giorni (fino al 6 agosto) o di 180 giorni (fino al 4 novembre) a seconda dei settori, entro il quale i soggetti che hanno in essere rapporti commerciali o economici con l’Iran (consentiti dal sollevamento delle sanzioni secondarie USA post-JCPOA) dovranno prendere provvedimenti per interrompere queste relazioni, pena il rischio di incorrere nelle sanzioni secondarie USA che rientreranno in vigore al termine di questi periodi.

In particolare, dopo il 6 agosto 2018 rientreranno in vigore le sanzioni:

  1. a)   Sull’acquisto di dollari da parte del governo iraniano;
  2. b)   Sul commercio in oro o metalli preziosi;
  3. c)   Sulla vendita diretta o indiretta, la fornitura e il trasferimento verso o dall’Iran di grafite, metalli grezzi o semilavorati quali alluminio, acciaio, carbone e software per l’integrazione dei processi industriali;
  4. d)   Sulle transazioni significative riguardanti acquisto o vendita di rial iraniani, o il mantenimento di conti denominati in rial al di fuori del territorio iraniano;
  5. e)   Sull’acquisto, la sottoscrizione o la facilitazione dell’emissione di debito sovrano iraniano;
  6. f)    Sul settore dell’automotive iraniano.

Inoltre, sempre entro il 6 agosto, il governo degli Stati Uniti revocherà le esenzioni alle sanzioni primarie che in seguito all’implementazione del JCPOA avevano reso possibile:

  1. a)    L’importazione negli USA di tappeti e prodotti alimentari di origine iraniana, e le transazioni finanziarie relative, autorizzate dall’Iranian Transactions and Sanctions Regulations, 31 C.F.R. part 560 ;
  2. b)    La vendita all’Iran di aeromobili per uso commerciale e dei relativi sistemi di ricambio (JCPOA Statement of Licensing Policy)  e le transazioni finanziarie relative (General license I).

Dopo il 4 novembre 2018 rientreranno invece in vigore le sanzioni relative a:

  1. a)  Operatori portuali iraniani, settore navale e delle costruzioni navali, comprese la Islamic Republic of Iran Shipping Lines (IRISL), la South Shipping Line Iran e loro affiliate;
  2. b)  Transazioni relative al petrolio con la National Iranian Oil Company (NIOC), la Naftiran Oil Company (NOC), la Naftiran Intertrade Company (NICO) e la National Iranian Tanker Company (NITC), incluso l’acquisto di petrolio, prodotti petroliferi e petrolchimici dall’Iran;
  3. c)  Transazioni di istituzioni finanziarie straniere con la Banca Centrale Iraniana (CBI) e con le istituzioni finanziarie iraniane designate nella sezione 1245 del National Defense Authorization Act del 2012 (NDAA); 
  4. d)  Fornitura di servizi di messaggistica finanziaria alla Banca Centrale Iraniana e ad altre istituzioni finanziarie iraniane;
  5. e)   Fornitura di servizi di assicurazione;
  6. f)   Settore dell’energia.

Sempre il 5 novembre il governo statunitense revocherà le General License H che autorizzava i soggetti stranieri US-owned o US-controlled a effettuare determinate transazioni con il governo iraniano, e reinserirà sulla Lista SDN (List of Specially Designated Nationals and Blocked Persons) i soggetti che erano stati rimossi con l’implementazione del JCPOA.

Unione europea: quali risposte?

La decisione di Donald Trump di portare gli USA fuori dall’accordo con l’Iran ha inflitto un grosso colpo alle relazioni transatlantiche, già messe in crisi dalle minacce USA sui dazi, dall’uscita dall’accordo di Parigi sul clima e dalle nuove sanzioni alla Russia. Il crescente unilateralismo dell’America di Trump sta però avendo paradossalmente un impatto positivo sull’Europa in termini di presa di coscienza della necessità di sviluppare una politica estera autonoma. Resta tuttavia difficile capire se esista la volontà politica per andare oltre le politiche nazionali in nome di un comune interesse europeo. La reazione all’uscita USA dal JCPOA rappresenta dunque un importante banco di prova per Bruxelles, che ha la possibilità di smentire chi la definisce un gigante economico ma un nano politico. 

Fin dai primi momenti dopo l’annuncio da parte di Trump della decisione di uscire dall’accordo – lo scorso 8 maggio – l’UE ha adottato una retorica ferma e improntata alla difesa del deal. In una dichiarazione immediatamente successiva a quella di Trump, l’Alto Rappresentante Federica Mogherini ha espresso rammarico per la decisione degli USA, ricordando che l’accordo sul nucleare iraniano non rappresenta un accordo bilaterale bensì un tassello cruciale nel regime internazionale di non proliferazione nucleare e, in quanto tale, fondamentale per la sicurezza della regione mediorientale, dell’Europa e del mondo. Mogherini ha poi dichiarato che fintanto che l’Iran continuerà ad adempiere agli obblighi contratti con il JCPOA, l’Unione europea continuerà a dare implementazione all’accordo, cercando di assicurare la continuità dei benefici economici. A questo scopo, l’Alto rappresentante ha espresso l’intenzione di consultarsi con i propri partner e ha ribadito l’intenzione di agire per tutelare gli interessi di sicurezza ed economici dell’Ue . 

La diplomazia europea si è attivata già la settimana successiva alle dichiarazioni di Trump: nella giornata del 15 maggio il ministro degli Esteri iraniano Mohammad Javad Zarif ha incontrato a Bruxelles l’Alto rappresentante Mogherini e i ministri degli Esteri dei tre paesi EU3 (Francia, Germania, Regno Unito). Gli incontri hanno avuto lo scopo di fornire a Zarif le prime rassicurazioni circa la volontà europea di fare tutto il possibile per salvaguardare l’accordo. Al termine della giornata, l’Alto rappresentante ha indicato nove aree di cooperazione tra Unione europea e Iran sulle quali continuare ad agire per garantire la continua implementazione del JCPOA: il mantenimento e l’approfondimento delle relazioni economiche Ue-Iran; la continuazione della vendita di gas, petrolio e prodotti del settore petrolchimico iraniano; le transazioni bancarie; i trasporti via mare, terra, cielo e su ferrovia; il credito alle esportazioni e la cooperazione finanziaria, con il varo di misure di sostegno agli investimenti; l’ulteriore firma di MoU e contratti tra aziende europee e controparti iraniane; maggiori investimenti in Iran; la tutela degli operatori economici europei e la garanzia della certezza legale; lo sviluppo in Iran di un business environment trasparente e basato su regole condivise. 

L’Alto Rappresentante ha inoltre specificato che l’azione di creazione di meccanismi e misure per la tutela del deal non sarà prerogativa degli EU3 ma coinvolgerà altri paesi membri, e avverrà non solo a livello unionale ma anche a livello nazionale, soprattutto per quanto riguarda il varo di misure volte a proteggere gli operatori economici nazionali. 

L’Iran è stato al centro dell’agenda durante il vertice Ue-Balcani occidentali di Sofia del 17 maggio. All’indomani del vertice, la Commissione europea ha presentato alcune misure volte a contrastare il potenziale impatto negativo della reintroduzione delle sanzioni secondarie USA. In particolare, la Commissione ha avviato il processo di attivazione del Regolamento di Blocco del 1996[1], che verrà aggiornato a comprendere anche le nuove sanzioni extraterritoriali statunitensi, e ha avviato il processo che darà alla Banca Europea per gli Investimenti (BEI) il potere di fornire garanzie sulle attività finanziarie con l’Iran in modo da sostenere gli investimenti europei – soprattutto di piccole e medie imprese – nel paese. Queste misure entreranno in vigore a sessanta giorni stante la non opposizione di Parlamento e Consiglio. 

Italia-Iran: tutte le cifre dell’interscambio

Nel 2017 l’Italia si è affermata come primo partner commerciale dell’Iran tra i paesi dell’Unione europea, seguita da Francia e Germania. L’interscambio tra Italia e Iran è cresciuto del 97% rispetto al 2016 arrivando a quota 5 miliardi di euro, mentre Francia e Germania seguono rispettivamente a 3,8 e 3,3 miliardi. [Figura 1] 

 

[Figura 1]

 

 

In particolare, l’Italia rappresenta per l’Iran il primo partner UE per le importazioni (3,4 miliardi di euro), quasi totalmente nel settore petrolifero, e il secondo partner UE per esportazioni (1,7 miliardi) dopo la Germania (2,9 miliardi). Tra il 2013 e il 2016 a ricoprire il ruolo di primo partner commerciale per Teheran è stata invece Berlino, grazie a un maggior export che ancora oggi è il primo in Europa. [Figura 2]  

 

Figura 2
                                                                             

 

A livello europeo, superando Francia e Germania, nel 2017 l’Italia ha dunque recuperato e superato la quota di interscambio con l’Iran precedente le sanzioni (3,6 miliardi nel 2012), pur non riuscendo a raggiungere il picco del 2011 in cui si superarono i 7 miliardi di euro. È interessante tuttavia rilevare che le sanzioni hanno influito sull’interscambio Italia-Iran soprattutto in termini di import, per via dello stop obbligato all’acquisto di petrolio iraniano imposto dall’UE nel 2012; l’export italiano è invece sempre rimasto sopra il miliardo di euro, variando in misura minore rispetto alle importazioni. Ancora oggi, quasi doppiando il valore dell’export, le importazioni petrolifere ricoprono gran parte dell’interscambio (due terzi). Nonostante nel 2017 l’Italia abbia acquistato dall’Iran una quantità di petrolio superiore rispetto a quella acquistata nel 2011, il minor prezzo del barile ha fatto sì che nel 2017 il valore delle importazioni (e quindi dell’intero interscambio) rimanesse inferiore a quello del 2011. [Figura 3-4]

 

Figura 3

Figura 4
 

 

Se oltre il 90% dell’import italiano dall’Iran dipende dal petrolio e dai suoi derivati, l’export è invece più variegato. Ai macchinari di diverso impiego (di poco superiori al 50%), seguono apparecchiature elettriche (4,7%), prodotti chimici (oltre il 5%) e settore medico (circa 4%). Tra i prodotti non petroliferi importati vi sono soprattutto quelli siderurgici (il 47,7% dell’import non petrolifero), chimici (19,4%), e le colture (9,9%). [Figura 5] 

 

Figura 5         

                                                    

 

Se è pur vero che nel 2017 l’Italia è stata il primo partner commerciale europeo di Teheran, totalizzando quasi un quarto (24,3%) [Figura 6] dell’intero interscambio tra Unione europea e Iran, non si può dire che quest’ultimo sia ai primi posti tra i partner commerciali esteri dell’UE e dell’Italia. 

 

Figura 6

                                                                                                      

 

 

Il commercio tra Italia e Iran consiste infatti solo nello 0,6% dell’intero commercio estero italiano, esattamente la stessa percentuale dell’interscambio UE-Iran sul totale del commercio estero europeo. L’Iran è dunque solo il 35° partner commerciale italiano, 15° se si considerano solo quelli extra-europei. Anche tra questi, resta inoltre significativa la differenza tra l’interscambio italiano con gli USA (primo partner italiano extra-UE), equivalente al 6,6% dell’intero commercio estero italiano, e quello con l’Iran (0,6%). [Figura 7]  

 

Figura 7

Come già segnalato, invece, l’Iran acquista enorme rilevanza per l’Italia se si considerano le importazioni di petrolio: storicamente la maggior parte dell’interscambio commerciale tra Italia e Iran è stato determinato dalle importazioni petrolifere. Nel 2017, con una media giornaliera di 186 mila barili importati, l’Italia ha recuperato la quota precedente le sanzioni (183 mila barili nel 2011). [Figura 3] L’Iran torna così a essere uno dei principali fornitori italiani: nel 2017 ha coperto il 14% delle importazioni petrolifere italiane, attestandosi al secondo posto dietro l’Azerbaijan (18,7%). [Figura 8] Durante il periodo delle sanzioni, la quota di importazioni petrolifere precedentemente assicurata dall’Iran era stata ripartita soprattutto tra Libia e Iraq. [Figura 9] 

 

Figura 8

 

                                                                                                 

 Figura 9
 

 

Infine, se è pur vero che, a livello globale, nel 2017 oltre l’80% dell’export petrolifero iraniano è andato verso mercati asiatici, l’Italia si è attestata al 5° posto tra gli importatori globali di petrolio iraniano grazie all’acquisto del 7% dell’intero export petrolifero iraniano, dietro Cina (24%), India (18%), Corea del Sud (14%) e Turchia (9%). [Figura 10]  

 

Figura 10

                                                                                                    

 

 

La scarsa rappresentatività dell’interscambio con l’Iran sul totale dell’interscambio italiano è da ricondurre al lungo periodo di isolamento dell’economia iraniana conseguente all’imposizione delle sanzioni. La firma del JCPOA nel 2015 ha infatti aperto significative possibilità in termini di aumento potenziale dell’interscambio tra Italia e Iran e degli investimenti verso Teheran. Nel gennaio 2016, subito dopo l’entrata in vigore del JCPOA, il presidente iraniano Rouhani aveva scelto l’Italia come primo paese UE per una visita di stato. In occasione della visita di Rouhani, Italia e Iran avevano firmato Memorandum of Understanding (MoU) per un totale stimato di circa 20 miliardi di euro. Tra i grandi gruppi coinvolti, Pessina, Saipem, Danieli, Fincantieri, Gavio Group, COET, Vitali, SEA. Enel, Belleli, Stefano Boeri architetti, Itway, Italtel, Marcegaglia, Fata Spa, IMQ, e ancora il Sistema Moda Italia. Altri MoU sono seguiti nei mesi successivi, come quello da 1,2 miliardi di euro tra Ferrovie dello stato e le ferrovie iraniane per la costruzione della linea ad alta velocità tra Qom e Arak, o quello tra Ansaldo e sussidiarie della National Iranian Oil Company per lo sviluppo del giacimento di gas naturale South Pars (Per un elenco dei principali MoU e accordi siglati da Italia e Iran dal 2016 a oggi si veda Appendice).

Molti di questi sono rimasti allo stato di MoU a causa dei grandi ostacoli nel settore dei finanziamenti dovuti ancora una volta al permanere in vigore delle sanzioni primarie USA e di quelle secondarie non relative al nucleare: per la copertura finanziaria di questi grandi progetti è infatti necessario il coinvolgimento di grandi gruppi bancari, in grado di coprire il fabbisogno di liquidità. Grandi gruppi bancari che però, a causa della loro contemporanea esposizione verso il mercato USA, non possono compiere transazioni verso l’Iran pena il rischio di incorrere nelle sanzioni del Tesoro americano.

A sanare in parte questo problema è intervenuto nel gennaio 2018 il ministero dello Sviluppo Economico, con la firma di un Master credit agreement del valore di 5 miliardi a copertura dei contratti. L’accordo però attende la trasformazione in decreto legge per divenire effettivo .

Altri MoU sono invece evoluti in veri e propri contratti, come quello da 100 milioni di euro tra l’italiana Carlo Maresca e l’iraniana IDRO per la costruzione di impianti ad energia solare, quello da 34 milioni di euro tra l’italiana Techint Engineering and Construction e l’iraniana Ardabil Petrochemical Company per il trasferimento di tecnologia, quello tra Maire Tecnimont e Ibn Sina, sempre nel settore petrolchimico, quello del valore di 650 milioni di euro tra Ansaldo energia e l’iraniana Thermal Power Plants Holding, o ancora quello tra il consorzio italo-francese ATR e l’iraniana Iran Air per l’acquisto di 20 velivoli, per un valore complessivo di 400 milioni di euro. Ciò che oggi è a rischio, dunque, è una somma considerevole, che è possibile stimare attorno ai 30 miliardi di euro, composti dai quasi 2 miliardi di export e dai 27 miliardi di investimenti attesi. 

La decisione di Donald Trump andrà a colpire negativamente le aziende italiane che hanno contratto affari con l’Iran nei settori sopra elencati. In particolare, se si esclude il settore degli aeromobili per il quale le licenze scadono il 6 agosto, il nostro paese deve guardare con preoccupazione alla seconda scadenza, quella del 4 novembre, entro la quale rientreranno in vigore le sanzioni nei settori dell’energia, del petrolchimico, delle costruzioni navali, dell’automotive, ma soprattutto l’Iran rischia di essere completamente escluso dalle transazioni finanziarie internazionali.

È evidente dunque come la decisione di Donald Trump di infliggere un duro colpo al JCPOA e reintrodurre le sanzioni secondarie verso Teheran abbia serie – e negative – ripercussioni sulle relazioni economiche e commerciali del nostro paese.

Conclusioni e indicazioni di policy per l’Italia

Roma riveste un ruolo fondamentale nel mantenimento di un canale di dialogo con l’Iran, come testimoniato dal recente coinvolgimento dell’Italia – insieme a Francia, Germania e Regno Unito – nel gruppo di contatto incaricato di discutere con Teheran di una possibile soluzione alle crisi regionali, in primis quella in Yemen. 
È nell’interesse nazionale del nostro paese preservare il JCPOA principalmente per tre motivi:

  • Perché esso rappresenta uno strumento negoziale e multilaterale che ha posto fine a una delle più gravi crisi degli ultimi vent’anni, facendo segnare un passo avanti nel regime di disarmo e di non proliferazione nucleare;
  • Perché esso costituisce una base sulla quale continuare a costruire un dialogo per la risoluzione delle crisi regionali: l’Iran è parte in causa di queste crisi e non è con l’isolamento e il contenimento che in passato si sono ottenuti risultati; al contrario, è stato con l’engagement che si è ottenuta la collaborazione costruttiva di Teheran su dossier come ad esempio il processo politico di transizione in Afghanistan post-talebani. Allo stesso modo, anche sui dossier in cui Teheran non sembra giocare un ruolo costruttivo, come quello siriano, è fondamentale mantenere aperto il canale del dialogo. L’isolamento internazionale rischia di elevare la percezione della minaccia da parte di Teheran, portando a una securitizzazione della sfera politica domestica e a comportamenti più aggressivi nella regione. Al contrario, mantenere l’engagement e garantire la continuità dell’integrazione nel sistema regionale e internazionale significa salvaguardare il processo di riforma dall’interno del paese. 
  • Perché, come si è visto sopra, esso consente alle nostre imprese – piccole, medie e grandi – di mantenere in vita relazioni economiche e commerciali di valore elevato: importanti MoU sono stati firmati tra aziende italiane e partner iraniani, per un totale di circa 30 miliardi di euro di investimenti. Agire a sostegno delle aziende italiane significa sostenere il nostro tessuto produttivo e proteggere le esportazioni.

Come evidenziato nella sezione introduttiva, il principale strumento per la conservazione del JCPOA è il mantenimento dei benefici economici da esso derivanti. Delineando un ordine di priorità, dunque, occorre per prima cosa mettere in atto misure in grado di tutelare le relazioni economiche e commerciali con l’Iran allo scopo di mantenere in vita il JCPOA; messe in atto le misure di emergenza e normalizzata la situazione, è necessario poi continuare a costruire su di esso, proseguendo nel dialogo a livello politico, diplomatico e culturale.  

Di seguito dunque alcune indicazioni di policy per l’Italia:

Nel breve termine:

  • Partecipare in maniera attiva al processo in atto a livello UE di elaborazione di misure di protezione delle aziende europee dalle sanzioni USA che verranno reintrodotte.
  • Avviare fin da subito una “unità di crisi” atta a valutare le azioni da intraprendere in sede UE così come a livello bilaterale per la tutela del JCPOA e delle relazioni economiche e commerciali tra le aziende italiane e l’Iran. Questa unità di crisi dovrebbe assumere la forma di un tavolo di lavoro che coinvolga funzionari delle istituzioni, operatori economici e bancari, studi legali specializzati, gruppi di interesse. 
  • Procedere all’attuazione tramite decreto del Master Credit Agreement tra Italia e Iran, in grado di fornire coperture ai contratti tra Italia e Iran per un valore di 5 miliardi.

Nel medio-lungo termine:

  • Proseguire il dialogo con Iran e E3 (Francia, Germania, Regno Unito) sui principali dossier regionali. Mentre prima dell’8 maggio questo dialogo sembrava essere indirizzato a portare Teheran al compromesso sul proprio ruolo nella regione in modo tale da soddisfare le richieste del presidente USA e convincerlo così a rimanere nel deal, ora esso necessita di essere impostato su nuove basi. 
  • Farsi promotori in sede UE di un’iniziativa di dialogo regionale per la ricomposizione delle linee di frattura in Medio Oriente. Le motivazioni del passo indietro di Trump sul nucleare sono da ricercare nella volontà di assecondare le richieste dei due maggiori alleati degli USA nella regione: Israele e Arabia Saudita, ai quali si aggiungono gli Emirati Arabi Uniti. Questi paesi percepiscono il reintegro dell’Iran nella comunità internazionale come una minaccia alla propria posizione regionale. Da questa visione a somma zero degli equilibri regionali, non può che scaturire ulteriore disordine. La divergenza di vedute tra Unione europea e Stati Uniti sull’Iran è emblematica di una divergenza di vedute più ampia sulla ricomposizione degli assetti mediorientali: mentre l’Ue ritiene fondamentali il dialogo e l’inclusione di tutti gli attori regionali, gli USA intendono delegare ai propri alleati la gestione dell’ordine della regione, in una sorta di riedizione della politica nixoniana “dei due pilastri” . L’Italia, in quanto partner e interlocutore tanto dell’Iran quanto dei paesi del Golfo e di Israele, può sfruttare la propria posizione di mediatore per stimolare un’iniziativa di dialogo che miri alla creazione di una nuova architettura di sicurezza regionale per la risoluzione pacifica delle controversie. 
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AUTORI

Annalisa Perteghella
ISPI Research Fellow
Tiziana Corda
ISPI Research Assistant

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