La visita del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu alla Casa Bianca s'inserisce nel quadro delle relazioni tra Stati Uniti e Israele a un anno dalle elezioni americane e in una regione attraversata da cambiamenti, minacce e venti di guerra. Obama e Netanyahu sono personalità politiche molto differenti tra loro: i due non si piacciono, non si sono mai amati e mai saranno ottimi amici. Al contempo però essi rappresentano Stati Uniti e Israele, due Paesi che, per interessi di politica estera così come per il consolidato storico rapporto che li lega, non possono che esprimere un reciproco sostegno e ottime relazioni. E naturalmente questa special relationship continua a esistere e non appare minimamente scalfita dagli ultimi eventi.
Il recente iperattivismo di Netanyahu ha provocato non pochi imbarazzi all'attuale Amministrazione americana, in quanto, per la prima volta nella storia d’Israele, un primo ministro è intervenuto direttamente nella campagna elettorale americana. Il primo ministro israeliano ha, infatti, ospitato una delegazione di senatori guidata da John McCain, repubblicano ed ex sfidante di Obama alle precedenti elezioni, le cui dichiarazioni sul nucleare iraniano e sulla "leggerezza" del presidente americano nell'affrontare la questione hanno infiammato il dibattito politico negli Stati Uniti. Ancora più problematica è stata la gestione del caso Dempsey, il capo di Stato maggiore dei Comandi unificati, la più alta carica militare negli Stati Uniti, accusato di «servire gli interessi iraniani» così come riportato da alcune fonti vicine a Netanyahu e al ministro della Difesa, Ehud Barak. Si tratta di un'accusa molto grave indirizzata al primo consigliere militare del presidente Obama, che equivale a sconfessare pubblicamente il lavoro dell'Amministrazione sul dossier iraniano e a mettere in dubbio il ruolo degli Usa nel garantire la sicurezza di Israele. Il generale aveva recentemente dichiarato che un eventuale intervento militare in Iran sarebbe stato poco prudente e avrebbe avuto un effetto destabilizzante per l'intera regione. In generale il tentativo israeliano di influenzare il dibattito pubblico americano sull'imminenza di un attacco all'Iran ha provocato non poche reazioni sul fronte interno.
Obama ha risposto con stile diplomatico alle intemperanze della sua controparte, dedicando gran parte del suo discorso annuale all'Aipac (The American Israel Public Affairs Committee) al presidente Shimon Peres, insignito della Medaglia della Libertà, e citando una sola volta il primo ministro israeliano, con il quale ha avuto un incontro privato lunedì. Il presidente ha ribadito con forza la vivacità del legame con Israele e l'interesse a garantirne la sicurezza, mentre sul fronte iraniano ha sostenuto la totale contrarietà al progetto nucleare così come la volontà di perseguire la via diplomatica per giungere a una soluzione politica della crisi.«Non escluderò alcuna opzione dal tavolo» è la formula utilizzata da Obama per esprimere le relazioni Usa-Israele riguardo a questo tema, ma la via diplomatica (sanzioni e monitoraggio del programma nucleare) é la strada che gli Usa intendono perseguire, anche perché l'apertura di un nuovo fronte di guerra non appare certamente rappresentare una priorità nell’attuale agenda politica americana.
In questi anni Netanyahu ha sempre perseguito un approccio unilaterale nei rapporti con gli Usa e più in generale nella regione. Per questo motivo un eventuale intervento solitario d'Israele in Iran è ancora probabile, anche se un recente sondaggio nel paese ha mostrato come solo il 19% della popolazione appoggi un intervento militare senza il supporto americano, mentre il 42% sostenga un intervento congiunto israelo-americano e il 34% si opponga a qualsiasi tipo di intervento. Dopo la moratoria imposta sulla costruzione delle colonie (che escludeva però Gerusalemme Est) nel 2010, il leader israeliano è riuscito a bloccare di fatto qualsiasi altro tentativo concreto di riprendere i negoziati del processo di pace. Il veto americano posto in occasione della risoluzione del Consiglio di Sicurezza che condannava Israele sul tema delle colonie e la forte opposizione americana alla richiesta da parte palestinese di riconoscimento alle Nazione Unite possono essere interpretati come vittorie del premier israeliano. Obama è apparso più esitante nell'ultimo anno, soprattutto perché ha deluso le attese legate alla risoluzione del conflitto israelo-palestinese. Per questo motivo ha scelto di intraprendere un approccio più tecnicamente diplomatico in vista delle prossime elezioni, anziché avviare un'azione politica più convinta, come ad esempio provare a costruire fiducia in una regione attraversata da minacce di guerra.
Il tema dell'incontro tra Obama e Netanyahu ha certamente interessato l'Iran, ma anche la crisi siriana avrà avuto il suo spazio nella discussione, soprattutto perché un'eventuale caduta di Assad e la conseguente instabilità del vicino siriano potrebbero compromettere l'intera regione e naturalmente gli interessi di Israele. Israele potrebbe cercare di indebolire l'Iran utilizzando la crisi siriana, ovvero il principale alleato degli iraniani nell'area, anche se molto spesso, in politica internazionale, sostituire un nemico conosciuto con uno sconosciuto è molto rischioso, e lo status quo rappresenta da sempre l'ambiente politico preferito da Israele.