Taiwan, Yemen e Cuba: così l’amministrazione Trump riempie il cammino di Biden in politica estera di mine vaganti.
Mancano sette giorni all’insediamento di Joe Biden alla Casa Bianca e l’amministrazione Trump ha annunciato, nel giro di poche ore, che rimetterà Cuba nella lista dei paesi sponsor del terrorismo, rimuoverà le restrizioni auto imposte nei rapporti con Taiwan e inserirà i ribelli Houthi nella lista dei gruppi terroristici. A renderlo noto è stato il segretario di Stato Mike Pompeo procedendo a passo spedito con quello che in gergo militare si chiama “avvelenamento dei pozzi”. Joe Biden appena insediatosi si troverà così con una serie di dossier scottanti tra le mani. E non solo. La decisione di bollare come terrorista il movimento Ansar Allah, riferimento politico e militare dei ribelli Houthi, potrebbe compromettere ogni chance di successo nel difficile negoziato di pace in corso in Yemen, oltre a rivelarsi fatale per il processo di distribuzione di aiuti e cibo nelle aree controllate dagli insorti. L’avvelenamento dei pozzi, d’altra parte, è una tecnica di guerriglia utilizzata per ostacolare il nemico e impedirgli di avanzare man mano che ci si ritira. Più o meno quello che si fa con i campi minati. Poco importa se ci sarà un numero imprecisato di “vittime collaterali”.
Yemen: “vandalismo diplomatico”?
Quello che per l’amministrazione Trump è l’affondo decisivo all’Iran (sponsor degli insorti yemeniti) e un regalo di addio ai partner sauditi, per le organizzazioni umanitarie è nient’altro che “un atto di vandalismo diplomatico”. Infatti, a seguito della decisione del Dipartimento di Stato americani, nelle regioni del centro nord dello Yemen dove abita circa il 70% della popolazione non si potrà più importare dall’estero, né ricevere le rimesse in denaro della diaspora, spesso unico sostegno di molte famiglie. Ma a preoccupare ancor di più gli operatori umanitari è la distribuzione di aiuti e medicinali: oggi, quelli che riescono ad arrivare dopo aver superato il blocco aereo e navale saudita vengono distribuiti sul territorio solo coordinandosi con gli Houthi. La situazione nel paese, preda di un conflitto che ha già ucciso oltre 112mila persone e della peggiore crisi umanitaria del mondo, è già catastrofica. La malnutrizione e le epidemie come il colera sono diffuse. L'arrivo del Covid-19 sommato ai tagli degli aiuti occidentali nel 2020, inoltre, hanno portato ciò che resta del sistema sanitario yemenita al collasso. Il paradosso è che, secondo gli esperti, le sanzioni otterranno l’effetto opposto, rafforzando la capacita di presa del movimento sulla popolazione civile e compromettendo ogni evoluzione nel processo di pace mediato dall’Onu.
Cuba sponsor del terrorismo?
Con una decisione che ripiomba l’isola allo status di ‘paria internazionale’ da cui era stata sollevata appena cinque anni fa, il Dipartimento Usa ha reinserito Cuba nella lista dei paesi sponsor del terrorismo. Nell'annunciare la mossa, Mike Pompeo ha detto di voler inviare un messaggio al “regime di Castro” citando l'accoglienza da parte di Cuba di fuggitivi americani e ribelli colombiani e il suo sostegno al presidente autoritario del Venezuela Nicolas Maduro. Ma per il governo dell’Avana si tratta di “opportunismo politico bieco e ipocrita”. Essere inseriti nella lista del terrorismo degli Stati Uniti – che attualmente conta soli altri tre paesi: Siria, Iran e Corea del Nord – espone a una serie di sanzioni, limitazioni sull'assistenza estera, divieto di esportazioni e vendite nel settore della difesa oltre restrizioni finanziarie e di altro tipo.
Anche se alcune delle misure cancellate durante il processo di progressivo disgelo voluto da Barack Obama con l’ex nemico ai tempi della Guerra fredda erano già state ripristinate da Trump, la decisione non poteva arrivare in un momento peggiore per l’isola caraibica. Gli effetti della riforma monetaria in vigore dall’inizio dell’anno e l’abolizione della doppia divisa, con l'introduzione del solo peso, hanno fatto schizzare i prezzi dei beni di prima necessità. Inoltre lo scorso anno le entrate del turismo si sono praticamente azzerate a causa della pandemia e il Pil è crollato dell'11%.
‘Normalizzazione’ con Taiwan?
Un “ultimo atto disperato” da parte dell'amministrazione Trump: così i media vicini al governo di Pechino hanno definito l’annuncio di Mike Pompeo della fine delle restrizioni americane con Taipei. Restrizioni, sottolinea Pompeo, che Washington si era auto-imposta “per placare il regime comunista di Pechino”. L’annuncio segue di poche ore quello di Kelly Craft, ambasciatrice americana alle Nazioni Unite, che visiterà l'isola in settimana per ribadire l'appoggio agli sforzi di Taipei, che non fa parte delle Nazioni Unite, per rientrare nelle organizzazioni internazionali. Le autorità taiwanesi esultano e si preparano a ospitarla per tre giorni, ma Pechino, che insiste nel considerare Taiwan una propria provincia ribelle, ha annunciato “conseguenze gravissime”. Le relazioni tra Cina, Taiwan e Stati Uniti si basano su una serie di compromessi incrociati e un equilibrio che dipende dalle interpretazioni, spesso discordanti, di cavilli e singole parole. Pur non implicando l'avvio di relazioni diplomatiche ufficiali con Taipei o la fine della cosiddetta ‘one China policy’ la mossa dell’amministrazione uscente mette comunque il successore di Trump in una posizione delicata. Pechino lo invita a lasciare quello che definisce “un percorso sbagliato” nelle relazioni bilaterali, ma sembra difficile che il nuovo presidente possa ordinare una marcia indietro, senza che questa passi per un gesto di debolezza.
Il commento
Di Giulia Sciorati, Associate Research Fellow ISPI Programma Cina
Chi è più esposto dalla decisione di Pompeo su Taiwan? Certamente l'isola che, a causa di questa mossa, rischia ora di subire pressioni maggiori sia da parte cinese che da parte statunitense. Le decisioni prese su un tema come quello della "partnership informale" tra gli Stati Uniti e Taiwan dovrebbero infatti essere un tema bipartisan e, sebbene Pompeo punti a rendere le cose più difficili per il suo successore, in verità va a minare ulteriormente la credibilità degli Stati Uniti come attore internazionale. Nei toni poco strutturati dell'annuncio, infatti, il Segretario di Stato e l’attual amministrazione dimostrano di non tenere conto né di quanto Taiwan sia effettivamente preparata ad un cambiamento di questa portata, né di quanto lo siano gli stessi Stati Uniti.
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A cura della redazione di ISPI Online Publications (Responsabile Daily Focus: Alessia De Luca, ISPI Advisor for Online Publications)