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Commentary

Usa: prove tecniche di disgelo

02 ottobre 2013

A una settimana dall'intervento presso l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite dei presidenti di Iran e Stati Uniti, l’ottimismo, seppur cauto, nei confronti di una possibile distensione nelle relazioni tra i due paesi non ha precedenti.

Il presidente degli USA, Barack Obama, sembra aver accolto in maniera positiva i segnali provenienti dalla nuova amministrazione iraniana all'indomani delle elezioni di giugno, che hanno portato alla vittoria di Hassan Rohani. L’esponente clericale moderato, che si è affermato sugli altri contendenti al mandato presidenziale con una sorprendente vittoria, ha promosso una campagna rivolta al miglioramento delle relazioni iraniane con la comunità internazionale, aprendo persino al dialogo con gli Stati Uniti, definiti dai dirigenti della Repubblica Islamica come il “Grande Satana”. Tutto ciò allo scopo di superare le tensioni con i paesi della regione e non, e per risolvere pacificamente la delicata questione nucleare. 

Obama ha dimostrato di apprezzare il tono distensivo emergente da Teheran, elevando la natura dell’interazione tra i due paesi e facilitando una serie di eventi storici che, seppur simbolici, potrebbero costituire le basi per una potenziale normalizzazione delle relazioni diplomatiche. 

Un mese fa, il capo di stato americano ha rotto il silenzio con Teheran scambiando una serie di lettere con Rohani, al fine di discutere le ambizioni nucleari del paese, ma anche di consultarsi sulla crisi siriana al fine di prevenire l’affermazione dei gruppi radicali sunniti, una preoccupazione condivisa dai due paesi. La svolta nella posizione americana nei confronti della Repubblica Islamica è stata tuttavia ancor più evidente in occasione della 68esima Assemblea Generale. A seguito di un incontro organizzato all'ultimo minuto tra i rappresentati dell’Iran e del P5+1 (i cinque membri permanenti del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite più la Germania) sulla questione nucleare, il segretario di stato americano, John Kerry, ha intrattenuto una breve conversazione con il ministro degli Esteri iraniano, Mohammad Javad Zarif, nel primo incontro dal 2007 tenutosi tra rappresentanti dei due paesi. A questa storica svolta, si è aggiunta poi la telefonata tra il presidente Obama e Rohani, che, in quanto prima comunicazione diretta tra capi di stato di Iran e Stati Uniti degli ultimi 34 anni, ha soddisfatto le aspettative dei tanti delusi da una mancata stretta di mano tra i due presidenti in occasione della loro contemporanea presenza al Palazzo di vetro.

Obama ha definito la ripresa di un dialogo diretto con l'Iran e il miglioramento delle relazioni bilaterali come elementi fondamentali per raggiungere un accordo sul dossier nucleare, e ha più volte insistito sulla necessità di testare la serietà degli iraniani nel rispettare le norme internazionali al fine di eliminare le preoccupazioni su una possibile dimensione militare del programma iraniano. Tuttavia, l’esito dei negoziati dipenderà anche dall'influenza sul fronte interno di attori contrari a una risoluzione diplomatica della disputa nucleare. Obama dovrà in primis monitorare l’impatto della visita del premier israeliano, Benjamin Netanyahu, in America. Rivolgendosi al presidente americano e all'Assemblea Generale dell’ONU, Netanyahu ha rinnovato il suo scetticismo nei confronti di Rohani, da lui definito come un lupo travestito da agnello e accusato d’intraprendere una tattica dilatoria orientata a guadagnare tempo al fine di accelerare l’arricchimento nucleare del paese. Il premier israe-liano ha esortato la comunità internazionale a mantenere la strategia adottata sin dal 2010, che unisce sanzioni unilaterali a minacce militari credibili, come unico metodo efficace per eliminare per via pacifica le ambizioni nucleari di un Iran il cui vero scopo è la distruzione di Israele. L’immutata posizione di Netanyahu e la sua influenza su parte del Congresso americano, tradizionalmente scettico verso le intenzioni iraniane e propenso a una strategia coercitiva sulla questione nucleare, potrebbe indurre l’organo legislativo a introdurre nuove sanzioni contro l’Iran. Ciò rischierebbe di avere un impatto negativo sulle svolte promettenti delle scorse settimane e su una possibile distensione delle relazioni tra Iran e USA. 

Se da una parte Obama dovrà dunque rassicurare l’alleato israeliano sul fatto che “tutte le opzioni restano sul tavolo”, egli dovrà anche cercare di eliminare o ridurre, sul fronte sia interno che internazionale, qualsiasi interferenza alla sua apertura nei confronti della Repubblica Islamica.

Il prossimo incontro (programmato per il 15 e 16 ottobre a Ginevra) tra i rappresentanti del P5+1 e dell’Iran per discutere il dossier nucleare sarà la prima opportunità per verificare i progressi in questo senso: i negoziatori potranno, infatti, testare il mantenimento del tono e dello spirito “estremamente buoni” della settimana scorsa, ma anche assodare le probabilità che la retorica si traduca in impegno politico effettivo da parte dei paesi interessati nella risoluzione del dossier iraniano.

Aniseh Bassiri Tabrizi, PhD Candidate, Middle East and Mediterranean Studies, King’s College London

 
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