Usa: “Rispettare la sovranità della Libia
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Daily focus
Usa: "Rispettare la sovranità libica"
30 gennaio 2021

Gli Stati Uniti chiedono il ritiro di Turchia e Russia dalla Libia. Blinken all’Italia: “avanti con la cooperazione nel Mediterraneo”.

 

Gli Stati Uniti hanno chiesto l'immediato ritiro delle forze russe e turche dalla Libia. La richiesta – che segna un’inversione di rotta rispetto alla precedente amministrazione – è stata formulata dal capo della missione americana alle Nazioni Unite, Richard Mills jr., dopo che il termine per la loro partenza, previsto nell’accordo di cessate-il-fuoco mediato dall’Onu a ottobre e scaduto il 23 gennaio, è passato inosservato. “Chiediamo a tutte le parti esterne, incluse Russia, Turchia ed Emirati Arabi Uniti, di rispettare la sovranità libica e di cessare immediatamente ogni intervento militare in Libia” ha detto Mills, durante una riunione del Consiglio di sicurezza. “In base all'accordo di cessate il fuoco di ottobre, chiediamo a Turchia e Russia di avviare immediatamente il ritiro delle loro forze dal paese e la rimozione dei mercenari stranieri e dei delegati militari che hanno reclutato, finanziato, dispiegato e sostenuto in Libia”. Un appello chiaro e che segna una rinnovata attenzione americana su un dossier che attualmente non sembra tra le priorità dell’amministrazione di Joe Biden in politica estera. Ma che considerate le sue implicazioni strategiche – stabilità nel Sahel, petrolio ed equilibri Nato – potrebbe presto diventarlo.

 

Un muro nel deserto?

A complicare la fitta rete di interessi internazionali coinvolti nella crisi libica – che inizialmente vedeva Italia, Francia, Emirati ed Egitto in prima fila – si sono aggiunti tra la fine del 2019 e l’inizio del 2020 due protagonisti che hanno rapidamente acquisito un ruolo centrale sullo scacchiere: Turchia e Russia. Ankara ha infatti approvato una missione militare a sostegno del Governo di accordo nazionale (Gna) di Fayez al-Serraj, mandando nel paese alcuni soldati e alcune migliaia di mercenari precedentemente utilizzati in Siria. Nel contempo, dopo aver sostenuto Khalifa Haftar per diversi anni in modo discreto, la Russia ha rapidamente incrementato la propria presenza in Libia al fianco del generale della Cirenaica.

La richiesta americana di “rispettare la sovranità libica” formulata dall’ambasciatore Mills, arriva a un anno esatto dal vertice di Berlino. Un consesso in cui i sostenitori delle principali fazioni in guerra in Libia si erano impegnati a porre fine alle interferenze nel paese e lavorare per un cessate il fuoco permanente. Da allora sul terreno è in vigore una tregua armata lungo la linea del fronte, tra Sirte e la base aerea di Al Jufra, nel centro del paese, esattamente al confine tra Tripolitania e Cirenaica. È qui che – come riportato nei giorni scorsi da CNN – le milizie del generale Khalifa Haftar e della Wagner hanno eretto una trincea lunga oltre 70 chilometri. Un muro nel deserto che non lascia ben sperare sulle intenzioni degli attori esterni coinvolti, a smobilitare e ritirarsi dal paese.

 

 

Un nuovo governo?

Su un altro fronte, quello politico, lo scorso 21 gennaio il Libyan Political Dialogue Forum (LPDF) – una assemblea di 75 rappresentanti provenienti da tutto il paese – ha votato a favore della creazione di una nuova autorità esecutiva ad interim, una sorta di governo di unità nazionale che sostituisca il Gna di Fayez al-Serraj per guidare la Libia verso le elezioni generali, il prossimo 24 dicembre. Il meccanismo di selezione prevede che ognuna delle regioni che compongono il paese (Tripolitania, Cirenaica, Fezzan) nomini un membro del consiglio presidenziale, mentre il primo ministro sarà eletto tra i 75 membri del Forum, con il 70% dei voti. “ll governo di transizione sarà un esecutivo temporaneo composto da patrioti libici che vogliono condividere la responsabilità di ricostruire il proprio paese piuttosto che dividere la torta” ha detto l'inviata ad interim delle Nazioni Unite per la Liba Stephanie Williams. Intanto il Consiglio di Sicurezza ha nominato il diplomatico slovacco Jan Kubis inviato Onu per il paese, un ruolo vacante da marzo scorso quando per motivi di stress Ghassan Salame si era dimesso, temporaneamente sostituito dalla sua vice Williams.

 

Un cambio di rotta?

Attualmente, secondo l’Onu, sono circa 20mila i soldati e mercenari stranieri presenti in Libia. Se la Russia nega ogni responsabilità riguardo alla presenza di proprie truppe, lo scorso dicembre Ankara ha esteso di 18 mesi l'autorizzazione per il dispiegamento di truppe in Libia, in violazione all'accordo di cessate il fuoco. E nelle stesse ore in cui l’ambasciatore americano all’Onu pronunciava il suo appello, la Casa Bianca annunciava una sospensione dell’accordo di vendita di 50 caccia F-35 siglato dall'amministrazione Trump con gli Emirati Arabi Uniti. Sono entrambi segnali importanti, che potrebbero rivelare un cambio di atteggiamento della nuova amministrazione nei confronti di un dossier, quello libico, che sta particolarmente a cuore all’Italia. Una Libia instabile, preda di una guerra tribale, destabilizza l’intera sponda sud del Mediterraneo, alimentando flussi migratori incontrollati e potenziali minacce terroristiche. Negli ultimi quattro anni, sponsor esterni e attori non statali hanno sfruttato l’assenza degli Stati Uniti per perseguire interessi economici e strategici contrapposti. Ma un coinvolgimento americano può rivelarsi essenziale per ripristinare l'equilibrio nel paese e scongiurarne il tracollo. Ieri in una telefonata tra il neosegretario di Stato americano, Anthony Blinken, e il ministro degli Esteri italiano, Luigi Di Maio, anche in vista della presidenza italiana del G20, il capo della diplomazia Usa ha auspicato che gli sforzi di cooperazione tra Washington e Roma in uno scenario di crisi come quello della Libia e del Mediterraneo “possano andare avanti”. Sta a Roma e alla comunità internazionale la capacità di cogliere quest'opportunità in vista del voto, cruciale, di dicembre. Prima che dalla Libia nessun attore, esterno o interno, voglia più andarsene. 

 

Il commento

Di Giampiero Massolo, Presidente ISPI

 

“È senz’altro un fatto positivo che gli USA tornino a far sentire la propria voce sul dossier libico, esercitando una pressione su Turchia e Russia. È infatti evidente che la crisi non potrà essere risolta senza una piena responsabilizzazione degli Stati che influenzano la situazione sul territorio. Il ritiro delle forze militari turche e delle presenze russe è pertanto cruciale. Esso, tuttavia, non sarà sufficiente se non accompagnato dalla formazione di un gruppo di Paesi direttamente interessati, incaricato di gestire in collaborazione con l’ONU – che non può agire da sola – gli sviluppi della crisi. Gli USA sarebbero determinanti per il concreto avvio di una simile iniziativa”.

 

* * *

A cura della redazione di  ISPI Online Publications (Responsabile Daily Focus: Alessia De Luca,  ISPI Advisor for Online Publications) 

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Libia Stati Uniti
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