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Stati Uniti
Usa: tutti contro tutti
29 Dicembre 2020

La Camera sfida il veto di Trump sulla legge per la Difesa, ma approva un aumento dei sussidi diretti ai cittadini americani, a cui Trump è favorevole e i repubblicani contrari. Il Senato è messo all’angolo e al Pentagono tira aria di bufera.

 

Se fosse il finale di stagione di una serie televisiva, il titolo sarebbe: tutti contro tutti. A poche settimane dall’insediamento della nuova amministrazione, alleanze ed equilibri sono saltati e gli effetti sono sotto gli occhi di tutti: per la prima volta in quattro anni la Camera ha approvato con la maggioranza dei due terzi una legge, quella sulla Difesa, da 740 miliardi di dollari, rovesciando il veto imposto dal presidente. In settimana il testo passerà all’esame del Senato. Nelle stesse ore la Camera ha dato il via libera alla proposta, sostenuta stavolta anche da Donald Trump, di alzare a duemila dollari a persona i sussidi diretti ai cittadini, previsti nell'ultimo pacchetto di aiuti economici approvato dal Congresso.

Dopo un lungo e difficile negoziato, la legge – che prevede aiuti per 900 miliardi di dollari – tornerà al Senato, dove però la maggioranza repubblicana è contraria all’aumento. Intanto, il presidente eletto Joe Biden rivolge un duro affondo alla precedente amministrazione e accusa diversi dipartimenti e agenzie governative di aver complicato il percorso della transizione, rifiutandosi di fornire al suo team tutte le informazioni necessarie. E a tre settimane dall’insediamento del nuovo presidente, anche il New York Post di Rupert Murdoch, editore di Fox News, prende le distanze del presidente, accusandolo di “accarezzare l’idea di un golpe”. 

 

 

Uno schiaffo a Trump?

La Camera dei deputati controllata dai democratici sfida il presidente Donald Trump e annulla, con un nuovo voto a maggioranza di due terzi, il suo veto sulla legge sulla Difesa. Non era mai accaduto prima, nei quattro anni di presidenza Trump, che un ramo del Congresso ribaltasse una sua decisione. Ora il provvedimento passerà al Senato, a maggioranza repubblicana, dove avrà bisogno di due terzi dei voti per passare. Il provvedimento sulla Difesa vale 740 miliardi di dollari. A motivare il veto del presidente, il fatto che la legge limiti il ritiro di soldati Usa da Afghanistan e Europa e non abolisca la cosiddetta Section 230, che garantisce l'immunità a Big Tech e social media per la diffusione di contenuti inappropriati e violenti. La legge, inoltre, introduce per la prima volta una norma che consente di cambiare nome alle basi militari intitolate a generali confederati della Guerra di Secessione. Se la legge passasse anche al Senato, quello di Trump diventerebbe il sesto veto annullato negli ultimi cento anni. Il primo da quando il Congresso annullò il blocco del presidente Barack Obama, consentendo alle famiglie delle vittime degli attacchi dell'11 settembre 2001 di citare in giudizio l’Arabia Saudita

 

…e uno al Senato?

Nelle stesse ore, la Camera ha approvato con un’ampia maggioranza anche l’aumento da 600 a 2mila dollari per gli aiuti diretti una tantum da destinare agli americani con un reddito inferiore ai 75mila dollari l'anno. L’incremento è stato chiesto da Donald Trump nel firmare il nuovo piano da 900 miliardi di stimoli all’economia, ma sembra fatto apposta per spaccare il fronte repubblicano: in parecchi condividono la posizione tradizionale del partito che considera la disciplina fiscale e il controllo della spesa pubblica una priorità. Ma c'è una fronda di repubblicani che vede di buon occhio una proposta che risulta molto popolare tra gli elettori. Una mossa che qualcuno ha definito un vero e proprio ‘assist’ ai democratici, soprattutto in vista dei ballottaggi per le nomine senatoriali in Georgia del 5 gennaio. La mossa di Trump, “mette il leader della maggioranza repubblicana al Senato Mitch McConnell davanti a un dilemma – fa notare il WSJ – o bocciare la proposta mentre i democratici si battono nelle pubblicità televisive in Georgia contro gli incumbent del GOP David Perdue e Kelly Loeffler, oppure votare a favore, spaccando il caucus del GOP e sconvolgendo gli elettori fiscalmente conservatori”.

 

Scontro al vertice?

Eppure, nonostante veti incrociati e tentativi di overriding, l’impressione è che la partita più complessa della transizione si stia giocando al Pentagono. Con un affondo durissimo, Joe Biden ha definito “irresponsabili” gli attuali vertici del dipartimento della Difesa che non fornirebbero alla sua squadra le informazioni necessarie sull’intelligence, “mettendo a rischio la sicurezza nazionale”. Parole che pesano, soprattutto alla luce del peggior cyberattacco nella storia degli Stati Uniti, che avrebbe coinvolto diversi uffici federali e persino il dipartimento del Tesoro, e a pochi giorni dall’esplosione di Nashville i cui contorni restano ancora tutti da chiarire. “Dobbiamo essere sicuri di avere un quadro chiaro della nostra posizione in tutto il mondo” ha aggiunto il presidente eletto, paventando il rischio che “gli avversari degli Usa possano sfruttare qualsiasi confusione che derivi dagli ostacoli nel passaggio dei poteri”. Accuse prontamente smentite dal segretario alla Difesa pro tempore Chris Miller, fedelissimo di Trump alla guida del Pentagono dopo le dimissioni di Mark Esper. Ma ad agitarsi sotto la superficie del Pentagono, oltre alla questione relativa al passaggio di consegne, c’è ben altro: la battaglia per la conferma al Congresso di Lloyd Austin, generale in pensione, come segretario alla Difesa. Una scelta, quella di Biden, che ha infiammato il dibattito e che trova l’opposizione compatta dei repubblicani e frange di democratici, contrari a disattendere la prassi di nominare un civile al vertice del dipartimento della Difesa.

 

 

Il commento

Di Mario Del Pero, ISPI Senior Associate Research Fellow, professore Sciences Po

“Sono le ultime, frenetiche giornate di lavoro per una Legislatura che termina il 3 gennaio, quando s’insedierà il nuovo Congresso. Fuori dalle commissioni e dalle aule, e quindi dalle corrette procedure istituzionali, le leadership dei due partiti negoziano accordi per rispondere alla crisi economica provocata dal Covid. Accordi incompleti e farraginosi, questi, che per i loro contenuti, e le modalità con i quali sono stati raggiunti, provocano il malumore di molti, a destra come a sinistra. Malumore che Trump cerca di cavalcare con l’obiettivo ultimo di rafforzare la sua immagine di figura anti-politica e di Presidente del popolo, e per preservare un’ipoteca su un partito repubblicano che farà molta fatica a emanciparsi da Trump e dal trumpismo”.

 

 

* * *

A cura della redazione di  ISPI Online Publications (Responsabile Daily Focus: Alessia De Luca,  ISPI Advisor for Online Publications) 

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