In un’era di flussi globali, potenze emergenti e interconnessione permeante, le relazioni transatlantiche sono sembrate, in alcuni momenti, aver perso l’orientamento. Il mandato firmato Donald Trump è stato poco prevedibile per l’Unione Europea e in piena tempesta globale sospinta da un Covid-19 pull-factor, lo sviluppo di maggiore consapevolezza su capacità, mezzi e misure per ridefinire il proprio peso nel globo, ha condotto l’UE a valutare la reale necessità di ricucire i rapporti ormai sfibrati con l’altra sponda dell’Atlantico.
In quest’ottica, il dominio della sicurezza è veicolato anche sul dossier energetico. Le sfide ambientali, del clima e della transizione tessono un filo euroatlantico di cooperazione necessaria e conveniente, sia per la sponda est con il Green Deal europeo sia dall’altra con Joe Biden e la sua sensibilità al tema, ampiamente espressa in campagna elettorale. Infatti, nell’apparentemente riconfermato contesto di “America first” e “China second”, l’internazionalista Biden mostra realmente una volontà di diventare il faro dei sostenitori euroatlantici, nonostante grandi riforme interne che non mancano nel suo programma. Economia, lavoro, infrastrutture e green energy. La ricetta di Biden non si mostra così lontana dagli interessi europei.
Dal Black al Green: è davvero così?
Attore attivo nella geopolitica del petrolio, l’amministrazione Trump è stata abbastanza aggressiva verso l’OPEC nel 2018, quando il Brent minacciava di salire a 100$/bar, e ha collaborato con OPEC+ per accordarsi circa i tagli alla produzione nella crisi in piena pandemia nell’anno corrente. Negazione degli sviluppi sui cambiamenti climatici, opposizione alle politiche con energie rinnovabili, revisione dell’accordo di Parigi e cancellazione del Clean Power Act sono solo alcuni degli obiettivi perseguiti dall’amministrazione Trump. L’incremento delle industrie fossili di gas e petrolio e il blocco dello sviluppo delle politiche climatiche ne sono la loro manifestazione più palpabile. Al contempo, il deterioramento dei rapporti transatlantici e la costante instabilità, ancor più accentuata dalla sfida pandemica, hanno reso il rapporto USA-UE decisamente bisognoso di essere ricucito. L’odierno mercato petrolifero è totalmente fragile, i produttori di OPEC+ attendono una domanda che tarda a crescere e controllano l’offerta eccessiva. Il cambio di comando USA determinerà la loro influenza sul mercato, prevista in stile Obama, per coerenze e convenienza.
La campagna elettorale di Joe Biden invece è stata tutt’altro che “dormiente” e ampiamente in contrasto con quella trumpiana. Dopo aver fatto tremare il comparto più tradizionale del settore energetico e rallegrato gli enti del settore che hanno posto l’accento sul potenziale rientro nella leadership climatica, il divario politico sulla transizione energetica di Biden e il programma di Trump è stato ben definito con la nomina del suo Team per la transizione energetica, tutti ex amministrazione Obama.
Il super-piano energetico tanto dibattuto durante la corsa elettorale prevede un investimento di 2 trilioni di dollari volti a prendersi cura dell’elettorato tradizionale ma dando una grande spinta green al settore energetico. Il 2035 è definito anno dello Standard Neutrale tecnologico per utilities e operatori di rete (Energy Efficiency and Clean Electricity Standard) per raggiungere un mix energetico a zero emissioni nette di carbonio. Ampio spazio alle rinnovabili e al nucleare ma anche a gas e carbone, previo equipaggiamento degli impianti con sistemi Carbon Capture and Storage.
Sul clima, il cavallo di battaglia è l’Accordo di Parigi, supportando l’impegno con sviluppo di infrastrutture per l’energia pulita e catene del valore totalmente green. Analogamente, la nascita della Federal Energy Regulatory Commission come attore regolatore, la creazione dell’Arpa-C (Advanced Research projects Agency on Climate) per ricerca e sviluppo. E ancora, riqualificazione energetica degli edifici pubblici, potenziamento infrastrutture per il trasporto e sviluppo dei posti di lavoro nell’automobilistico, con particolare riferimento alle auto elettriche.
Nessuna traccia invece di una linea sul carbon pricing, ossia la tassazione sulle emissioni di carbonio. A questo si aggiunge il piano molto criticato da Trump sull’eolico offshore e sull’apertura al mercato delle auto elettriche, punto comunque da discutere tra gli Stati, veri deputati al processo decisionale.
Considerato il boom del settore energetico USA negli ultimi anni ma anche l’impatto negativo della pandemia e del crollo dei prezzi di greggio e gas, la riduzione del metano dagli impianti di petrolio e gas e il divieto di nuovi contratti di locazione su terre e acque federali sono elementi centrali nel manifesto di Biden sul cambiamento climatico. Per quanto riguarda le locazioni federali e i relativi impatti sulla produzione inshore è importante notare che le società che ora controllano la superficie federale sono tra i maggiori produttori statunitensi. In ultima battuta, le decisioni e le soluzioni di Biden per l’energia potrebbero coinvolgere anche l’Iran nell’accordo sulle sanzioni nucleari. Biden vorrebbe procedere per ordine esecutivo, senza passare dal Senato, ma indica la necessità che l’Iran rispetti i termini del JCPOA (Joint Comprehensive Plan of Action). Su questo fronte, il coinvolgimento degli alleati e in primis dell’UE è doveroso.
Implicazioni interne
Le influenze chiave che modellano l’industria energetica statunitense saranno probabilmente le forze di mercato, proprio come lo erano sotto Barack Obama e Donald Trump. Ma il cambio di governo federale avrà alcune conseguenze significative, tra le quali: una spinta per l’eolico offshore; restrizioni allo sviluppo di petrolio e gas; nuovi ostacoli per i progetti infrastrutturali di petrolio e gas; supporto per veicoli elettrici [1]; nessun rapido allentamento delle sanzioni all’Iran[2].
Il cambio di amministrazione arriva mentre i gruppi energetici stanno attraversando un periodo doloroso causato dal calo dei prezzi del petrolio, dalla crisi del coronavirus e dall’onda della transizione, anche culturale. Dal punto di vista degli idrocarburi, invece, la linea è tracciata da tempo. Del resto, bisogna considerare che il divieto di esportazione di idrocarburi imposto da Nixon nel ’73 è stato rimosso da Barack Obama e conseguito anche da Donald Trump, mosso dal desiderio di depotenziare gli avversari sul mercato.
L’UE cerca un peso nel mondo
Posto il pubblico interesse di contrastare la Russia sia sul fronte energetico che nella difesa del fronte NATO, Biden ha tutti i motivi per giocare un ruolo chiave nel riallacciare i rapporti con l’Europa. Le tattiche per terminare il NordStream2 (asse energetico Berlino-Mosca) rendono chiaro lo scenario geo-economico che si era già configurato sotto Trump. Il mercato europeo non può cadere nel dimenticatoio e probabilmente il terreno su cui giocare una diversa competizione USA – Russia è identificabile in Polonia con il Baltic Pipe[3]. È altresì probabile che lo sviluppo delle fonti di approvvigionamento a basso inquinamento previsto dal Green Deal europeo possa frenare o limitare i desideri americani. Tuttavia, la prospettiva ecologica di Biden può concentrare il core dei rapporti sul perseguimento di obiettivi green, rendendo il Green Deal una causa comune.
In parallelo, gli USA non dimenticano il grande avversario verso cui Biden non divergerà troppo dall’approccio trumpiano: la Cina. Considerata infatti la volontà di coinvolgimento di Pechino verso l’UE e l’ormai concertata consapevolezza di non avere una vera e propria autonomia strategica europea (fronte di lavori in corso), riallacciare i rapporti USA-UE fa tirare un sospiro di sollievo sui due fronti dell’Atlantico. Da una parte, l’UE può tentare di portare a termine la sua fase di transizione socio-economica, grazie a una politica interna univoca e coordinata; dall’altra gli USA, più propensi a una politica di disengagement dagli affari di difesa europea. Riconosciuta dunque l’importanza di tenere saldo l’asse euroatlantico per non sprofondare contro le pressioni russe e cinesi, si fa viva la necessità di un’Unione forte, desiderosa e contestualmente anche obbligata ad assumere posizione in una nuova età dell’oro delle relazioni transatlantiche.
Come valorizzare il fronte NATO?
Ci sono dossier particolari e scivolosi per gli USA e i suoi alleati. Sull’Iran come su Russia e Cina, Biden sa benissimo che deve salvaguardare diversi rapporti, sistemando il rapporto commerciale con l’UE. In questo reticolato di scommesse sulle quali è largamente prematuro approfondire, la politica estera di Biden si mostra molto attiva, soprattutto sul perno di stabilità europea degli ultimi 70 anni: la NATO. L’ex vicepresidente e senatore ritiene che gli Stati Uniti possano affrontare al meglio le minacce globali guidando alleanze di stati democratici. Questo approccio vale anche per il dossier energetico, posto da pochissimo nel concetto di sicurezza dell’Alleanza e su cui i ricercatori dell’ENSEC COE continuano a dibattere affinché la sicurezza energetica diventi definitivamente parte degli Standardization Agreements (STANAG).
La cornice suggerisce quindi un rafforzamento della coesione interna all’Unione, maggiore cooperazione e fiducia nell’Alleanza ma soprattutto – con grande interesse di Biden – sviluppare politiche ad alta intensità commerciale USA-UE. Insieme a quei fattori di sviluppo non poco rilevanti che il comparto energetico porta con sé, ossia digitalizzazione e sviluppo tecnologico, elementi su cui l’Europa in primis sta puntando in concomitanza con gli obiettivi climatici, il commercio energetico potrebbe diventare un’opportunità di garanzia ed elemento caratterizzante dei rapporti interni alla NATO, promuovendo l’interdipendenza fra i membri e mitigando le trappole di “ricatto energetico” impiantate dalla Russia in Ucraina e Bielorussia. Energia e tecnologia, insieme ad infrastrutture critiche e media, rientrano nelle New Dependencies su cui si muovono le pedine nell’era della hybrid warfare.
L’energy security investe un ampio ventaglio di interazioni economiche, politiche, geografiche e purtroppo anche militari. Lo scenario ricco di vulnerabilità sconfinate richiede che la NATO giochi la sua parte e con essa, i suoi Stati membri.
NOTE
[1] Si parla di 4 milioni di veicoli elettrici sulle strade degli Stati Uniti entro il 2030, quasi il 60% in più rispetto a quelle previste sotto le regole dell’amministrazione Trump. Tuttavia, l’impatto sulla domanda di carburante degli Stati Uniti in questo decennio sarà l’1,5% circa del totale.
[2] Pur dissentendo sulla decisione di Trump di escludere gli Stati Uniti dall’accordo internazionale sul programma nucleare iraniano, i negoziati su un possibile accordo attenderanno in primis le elezioni iraniane a giugno 2021, e non vi è alcuna garanzia che i due paesi raggiungeranno un accordo.
[3] Dalla Norvegia alla Polonia attraversando la Danimarca, il gasdotto nordeuropeo BalticPipe è il campo su cui gli USA potrebbero voler piazzare il proprio GNL come interposizione antirussa, salvaguardando analogamente i rapporti tra l’amministrazione e i giganti dello scisto americano.