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Commentary

Usa vs al-Qaida: Obama atto secondo

19 marzo 2013

Lo scorso 22 febbraio, il presidente statunitense Barack Obama ha annunciato, con una lettera al Congresso, il dispiegamento di circa 40 funzionari militari in Niger, portando dunque a 100 il numero totale delle truppe Usa presenti nel paese africano. La decisione rappresenta tanto un consolidamento quanto un’evoluzione della strategia di anti-terrorismo della prima amministrazione Obama, diretta principalmente a contrastare la minaccia di al-Qaida e dei gruppi cosiddetti “associati” nelle aree tribali del Pakistan e nello Yemen ricorrendo ai raid mediante droni, ma pronta a entrare in una nuova fase con l’obiettivo di contenere l’emergere di nuove sacche di militanza jihadista in Nord Africa.

Il dispiegamento delle truppe americane in Niger risponderebbe secondo la Casa Bianca alla necessità di assistere a livello d’intelligence l’intervento francese nel vicino Mali, inaugurato nel gennaio di quest’anno con l’intento di frenare l’avanzata di al-Qaida nel Maghreb islamico (Aqim). Il gruppo, con il supporto di una serie di milizie jihadiste e tuareg in parte galvanizzate dal flusso di combattenti e armi provenienti dalla Libia, era riuscito dal marzo dello scorso anno a prendere effettivamente il controllo del Nord del paese, l’Azawad, allarmando i paesi occidentali riguardo a una proliferazione jihadista lungo la regione del Sahel e nordafricana, in grado di minacciare la stessa Europa. Stampa statunitense e fonti militari hanno tuttavia suggerito che il reale proposito dell’amministrazione Obama sia nei fatti quello di creare nel Niger una nuova base militare per operare una flotta di droni, con il compito di sorvolare l’Africa settentrionale e orientale e affiancarla a quella già esistente a Gibuti, utilizzata per le operazioni in Africa occidentale e nello Yemen. Una base in Niger permetterebbe dunque alle forze statunitensi di controllare una fascia di territorio che sta prepotentemente entrando nei radar dell’anti-terrorismo statunitense, e di monitorare l’evoluzione del panorama jihadista nel continente che dalla Nigeria alla Libia sembra suggerire una certa continuità geografica.

Il ricorso ai droni rappresenta dunque l’elemento centrale che continuerà a caratterizzare la strategia anti-terrorismo dell’amministrazione Obama, nonostante la serie d’irrisolte questioni legali e richieste di trasparenza che, in occasione della nomina di John Brennan come nuovo direttore della Cia, hanno evidenziato le divisioni del Congresso americano al riguardo. Brennan, ex consigliere di Obama per l’anti-terrorismo, è tra l’altro considerato uno dei principali promotori del ricorso ai droni, e la sua promozione alla guida dell’agenzia, incaricata di gestire gran parte di tali operazioni, conferma la crescente centralità che i velivoli senza pilota ricopriranno nella lotta degli Stati Uniti contro al-Qaida nei prossimi anni. Gli attacchi condotti con i droni hanno del resto permesso agli Usa di ottenere importanti successi tattici contro l’organizzazione, decimando la sua leadership e infliggendo pesanti perdite alla sua base militante nelle aree tribali del Pakistan, oltre a eliminare leader di spicco di al-Qaida nella penisola araba (Aqap), l’affiliato della rete terrorista con base nello Yemen ancora considerato dagli Usa una delle principali minacce alla sicurezza nazionale. Pakistan e Yemen sono stati fino a ora la priorità dello sforzo anti-terrorismo americano, e difatti in questi due paesi si è concentrata la quasi totalità dei raid mediante droni (operazioni minori sono state condotte in Somalia, contro la milizia jihadista degli al-Shabaab).

Nonostante gli Stati Uniti abbiano negato più volte l’intenzione d’intervenire militarmente in Nord Africa se non con un supporto logistico, posizione poi ribadita dopo l’assalto di Ansar al-Shari’a contro il consolato statunitense di Bengasi dello scorso settembre, la crescente attenzione rivolta dagli Usa al continente africano potrebbe nel medio periodo aprire nuovi scenari. La strategia nazionale per l’anti-terrorismo annunciata nel 2011 dall’amministrazione Obama è del resto piuttosto chiara nel suo proposito, che rimane quello di «smantellare e distruggere la leadership di al-Qaida in Afghanistan e Pakistan e i gruppi a essa affiliati».

Tuttavia, la reale sfida per l’amministrazione americana non appare essere l’esclusiva proliferazione di entità jihadiste nella fascia del Sahel e del Nord Africa o la capacità di resistenza mostrate dall’Aqap, quanto la costante evoluzione della stessa rete terrorista legata ad al-Qaida che ancora oggi sfugge a nette categorizzazioni. L’esistenza accanto al nocciolo duro dell’organizzazione (la cosiddetta al-Qaida Core con base nelle aree tribali del Pakistan) di una serie di entità associate – l’Aqim e l’Aqap per l’appunto, ma anche l’emirato islamico dell’Iraq – che si fregiano del marchio di al-Qaida, pur mantenendo le proprie specificità, ha già portato a un allargamento della strategia statunitense rispetto al proposito iniziale che mosse l’intervento post 11 settembre. La Risoluzione all’Utilizzo della Forza Militare (Aumf), adottata come procedura d’emergenza nel 2001 in occasione dell’intervento in Afghanistan, rimane ancora oggi la base legale per le operazioni militari Usa contro al-Qaida e, al fine di poterla applicare anche alle forze affiliate ad al-Qaida, ha richiesto continui adattamenti. Obiettivo dell’amministrazione sarebbe ora quello di convertire queste procedure d’emergenza in una strategia permanente, in modo da poter prendere di mira non solo gli affiliati, ma anche gli affiliati degli affiliati, un gioco di parole che esemplifica alla perfezione quale sia l’evoluzione attuale del panorama jihadista, in cui l’associazione tra entità militanti avviene oramai a livello orizzontale e non più verticale. Esempio concreto è il caso di Ansar al-Shari’a nello Yemen, preso di mira dai droni americani perché ritenuto essere un mero alias dell’Aqap, e quello del siriano Jabath al-Nusra, gruppo tenuto strettamente sotto controllo da Washington ed etichettato come una ramificazione di al-Qaida in Iraq.

Una tale espansione della lotta contro al-Qaida e i suoi movimenti associati potrebbe dunque portare a un dilatazione tanto geografica quanto temporale della strategia anti-terrorismo statunitense nel corso del secondo mandato di Obama. La centralità dei droni in questo schema serve esattamente a garantire flessibilità e agilità a quest’ultimo, il cui reale punto fermo rimane quello di ostacolare l’emergere di nuove entità jihadiste e smantellare quelle già esistenti evitando interventi militari diretti. I nuovi scenari legati al conflitto in Mali e in Siria, con il moltiplicarsi di gruppi jihadisti che fanno appello all’ideologia qaedista, rappresenteranno probabilmente il reale banco di prova dell’approccio Usa dei prossimi anni, chiarendo se i droni saranno impiegati anche in teatri fino a ora rimasti secondari nella lista delle priorità americane legate alla sicurezza.

* Ludovico Carlino è Ph.D. Candidate University of Reading, UK

@ludowizze


Leggi il Dossier "Il ritorno di Obama in Medio Oriente"

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