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Il commento

USA2020: le ragioni di un sistema elettorale barocco

Massimo Teodori
06 novembre 2020

Il sistema elettorale presidenziale fondato sulle scelte maggioritarie Stato per Stato, un sistema che gli europei ritengono “barocco”, in realtà ha una ragione lontana che tuttora governa l’equilibrio istituzionale della nazione. Il presidente non rappresenta solo i cittadini americani (che esprimono il “voto popolare”) ma ancor più gli Stati che costituirono l’Unione nata con la Costituzione del 1787. Fu quel patto che permise ai 13 Stati originari di unirsi a condizione che fosse istituito un governo presidenziale espressione paritaria delle entità statali componenti. All’origine quel compromesso tenne insieme Stati grandi e piccoli (addirittura con un conteggio che ponderava gli schiavi meno dei bianchi) e, dopo la Guerra civile, consentì la riunificazione del Paese purché gli Stati perdenti della confederazione continuassero a pesare come quelli nordisti, a mantenere l’autonomia statale prevista in Costituzione ed a preservare il meccanismo doppio, popolazione e Stati, nelle elezioni presidenziali.

Senza questa ottica storica, politica e culturale del federalismo è difficile comprendere perché il candidato che prende anche molti “voti popolari” in più dell’avversario, possa essere sconfitto sulla base dei “voti elettorali” espressi dagli Stati, come è accaduto nel 2016 con Trump. Il patto federale per l’elezione del presidente è il marchingegno che anche oggi compone in un puzzle nazionale le spinte contrastanti, i populisti e tradizionalisti “rurali” con i liberal multietnici “urbani”, gli Stati delle coste ad Est ed Ovest con quelli del Midwest e del Sud.

Sempre più questo sistema fissato nella Costituzione produce “discrasie democratiche” che tuttavia non possono essere considerate illegittime né possono essere facilmente cambiate. Una analoga a-democraticità dell’elezione presidenziale si proietta nella composizione del Senato. Con lo spopolamento degli Stati della profonda America e l’aumento della popolazione degli Stati costieri, la maggioranza del Senatori sarà sempre più eletta da una minoranza dei cittadini in ragione della paritaria rappresentanza di ogni Stato. Tuttavia, tutte le volte che sono state avanzate proposte per eleggere il presidente con il voto diretto dei cittadini, e di riequilibrare la composizione del Senato, le iniziative sono state bocciate proprio dal Senato che non si spoglia delle sue prerogative. Del resto per modificare con un emendamento la Costituzione occorre l’iniziativa dei due terzi di entrambi i rami del Congresso e per ratificarlo il voto dei tre quarti degli Stati, condizioni che non potranno essere mai raggiunte. Non deve sfuggire che l’unico articolo immodificabile della Costituzione è quello che prevede che ogni Stato non può essere privato del diritto di avere due senatori.  

L’America ha mostrato in questa prova elettorale di essere divisa come forse non lo era mai stata fin dalla Guerra civile. La divisione, prima ancora che economica e sociale, è di natura etnica e antropologica: la presidenza Trump l’ha solo rivelata dopo averla fomentata per l’intero quadriennio. L’affluenza alle urne degli aventi diritto in una alta percentuale non è altro che l’effetto della radicalizzazione e polarizzazione del conflitto tra le due Americhe venuto alla luce in maniera clamorosa. Sorge allora un interrogativo: sarà superato il profondo conflitto dalla eventuale presidenza Biden che vuole rappresentare “tutti gli americani” e “unire la nazione”?

Probabilmente la futura politica nazionale relativa ai conflitti economici, sociali ed etno-antropologici, una volta uscito di scena Trump, andrà in direzione opposta a quella in cui si è mossa con questa presidenza. Ma gli umori divergenti nell’insieme della società resteranno gli stessi apparsi in queste settimane per cui difficilmente il quadro politico potrà tornare ad essere quello che ha dominato dal dopoguerra con un consenso di fondo sulla democrazia liberale sia della parte conservatrice che di quella liberal, ognuna con le ali estreme tenute a bada dall’equilibrio federale dei pesi e contrappesi. A questo punto bisognerà vedere come il sistema politico reinventerà se stesso conservando il carattere federale e bipolare.

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AUTORI

Massimo Teodori
Professore ordinario di “Storia e istituzioni degli Stati Uniti"

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