Tra le numerose questioni che in questi quattro anni hanno contribuito a raffreddare la relazione euro-atlantica, il dossier iraniano è uno dei principali. Tenendo fede a una promessa fatta in campagna elettorale, Donald Trump ha provveduto durante la sua presidenza a smantellare pezzo per pezzo quel fragile canale di dialogo e cooperazione con Teheran che aveva come fulcro l’accordo sul nucleare (JCPOA, Joint Comprehensive Plan of Action), concluso dal suo predecessore Barack Obama insieme agli altri Paesi del gruppo P5+1 nel 2015. Con la campagna di “massima pressione” contro Teheran, l’amministrazione Trump ha ritirato la propria partecipazione al JCPOA e introdotto uno stretto regime sanzionatorio, allo scopo di ottenere un cambiamento della condotta iraniana in quattro ambiti, delineati dal Segretario di Stato Mike Pompeo nel 2018: misure più stringenti sul programma nucleare, in particolar modo sull’arricchimento dell’uranio; uno stop al suo programma missilistico; la fine delle attività al di fuori dei propri confini; lo stop al sostegno di milizie e movimenti ritenuti dagli USA organizzazioni terroristiche, come l’Hezbollah libanese.
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La posizione europea
In questo contesto, l’Unione Europea, e in modo particolare gli E3 (Francia, Germania, Regno Unito), hanno cercato un difficile bilanciamento tra i propri interessi: da una parte l’esigenza di non infliggere ulteriori danni alla relazione transatlantica, dall’altra quella di tutelare la propria autonomia e sovranità specialmente di fronte alla reintroduzione delle sanzioni secondarie statunitensi che hanno ridotto pressoché a zero le promettenti relazioni economiche e commerciali avviate tra i Paesi europei e l’Iran all’indomani della firma dell’accordo sul nucleare. Ma soprattutto obiettivo europeo è stato preservare il JCPOA, o quantomeno evitare che si arrivasse al suo definitivo naufragio. Per Bruxelles il JCPOA, seppur fortemente ridotto nel suo contenuto, rappresenta un argine negoziale alla ripresa del programma nucleare iraniano e la base di partenza per un dialogo in diversi settori. Per questo motivo gli E3 hanno cercato, in questi anni e con nuovo vigore in queste ultime settimane, di porre un freno ai tentativi USA di affondare definitivamente l’accordo attraverso l’estensione dell’embargo sulle armi e lo snapback delle sanzioni.
La divergenza tra Europa e USA è però più sul metodo che sugli obiettivi ultimi: anche gli europei condividono le preoccupazioni statunitensi circa il programma missilistico iraniano, il pericolo di una nuova proliferazione nucleare, e le conseguenze della forte influenza iraniana nei conflitti in Yemen e Siria e nel panorama politico iracheno e libanese.
Quali i possibili scenari dopo le elezioni americane?
Le elezioni presidenziali del prossimo novembre offrono un’opportunità per un riallineamento degli alleati transatlantici sul dossier iraniano: il candidato democratico Joe Biden ha infatti dichiarato, se dovesse vincere, di essere pronto a ritornare al JCPOA “se anche l’Iran tornerà ad adempiere pienamente all’accordo”. Il ritorno allo status quo ante potrebbe però non essere così semplice.
Biden ha infatti espresso l’intenzione di tornare al JCPOA e di proseguire l’azione diplomatica allo scopo di rafforzare ed espandere l’accordo. Ciò concretamente significherebbe utilizzare il JCPOA come una base di partenza per ampliare il dialogo e il negoziato ad altre questioni che sono motivo di preoccupazione per gli USA, come il programma missilistico di Teheran, il suo supporto a milizie e proxies nella regione e la durata a tempo di alcune limitazioni previste dal JCPOA.
Se una tale politica sarebbe vista con favore a Bruxelles, non è però scontato che il presidente riesca a ottenere l’appoggio del prossimo Congresso né che una tale iniziativa sia vista con favore dagli alleati regionali, Israele e Arabia Saudita, tra i maggiori sostenitori della politica trumpiana di “massima pressione”.
La posizione dell’Iran
Da parte iraniana, occorre invece considerare che questi anni di “massima pressione” si sono tradotti nella perdita di capitale politico da parte dell’amministrazione Rouhani e nel graduale ma deciso avanzamento degli ambienti più radicali vicini all’ala militarista della Repubblica islamica, che difficilmente rinunceranno al leverage accumulato in questi due anni di “massima resistenza”. Teheran ha ribadito in questi mesi di essere pronta a ritornare pienamente al JCPOA (e dunque a fermare le attività nucleari intraprese dopo il 2019) se gli Usa sospenderanno le sanzioni, ma secondo alcuni analisti la Repubblica islamica potrebbe chiedere anche un risarcimento per il danno economico subito in seguito al ritiro statunitense dall’accordo, oltre all’introduzione di misure punitive nei confronti di tutte le parti dell’accordo in caso di non corretto adempimento.
Quasi impossibile invece che il programma missilistico e il ruolo iraniano nella regione entrino nel negoziato per il momento.
Le prospettive
In conclusione, le speranze di un pieno ritorno al JCPOA e a un dialogo con Teheran sono legate alla vittoria democratica alle prossime elezioni, nonostante la retorica ufficiale iraniana ribadisca che non vi sono differenze tra Biden e Trump. Obiettivo prioritario degli USA, allineato a quello europeo, è riportare le attività nucleari di Teheran nel novero di quanto previsto dal JCPOA. Per fare ciò, però, sarà necessaria una strategia incrementale: un primo obiettivo potrebbe essere un accordo a interim, come accaduto con il JPOA che precedette il JCPOA. Una base di partenza potrebbe essere il piano Macron del 2019, che prevedeva un parziale sollevamento delle sanzioni in cambio dello stop alla ripresa delle attività nucleari. Idealmente questo compromesso dovrà essere raggiunto entro il giugno 2021 , data in cui si terranno in Iran le elezioni presidenziali, il cui risultato sarà in gran parte determinato dalla condizione economica in cui verserà il Paese per quella data.
Per qualsiasi altro accordo di più ampia portata, un JCPOA 2.0 o un grand bargain che includa anche questioni di sicurezza regionale, occorrerà invece più tempo, e occorrerà l’allineamento di diversi fattori: occorrerà ricostruire la fiducia reciproca e riparare la reputazione degli USA come Paese che tiene fede agli impegni presi, tanto a Teheran quanto tra gli alleati europei; fornire rassicurazioni di sicurezza agli alleati, idealmente facendosi promotori di un’iniziativa regionale che abbia come pilastri la non proliferazione, la fissazione di limiti agli arsenali militari di tutti i Paesi della regione e l’adozione di principi di non interferenza nelle questioni interne degli altri Paesi. Per una tale iniziativa è però necessario che Washington e Bruxelles tornino a lavorare nella stessa direzione, consapevoli che solo stabilizzando la regione mediorientale sarà possibile concentrarsi sulla vera competizione strategica del futuro: quella con la Cina, che nel frattempo, non a caso, aumenta la propria penetrazione economica e diplomatica anche in Medio Oriente.