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Commentary

Vaticano: Africa, “polmone spirituale” da rendere protagonista

28 febbraio 2013

Può risultare o troppo facile o troppo difficile oggi stilare una resoconto su Benedetto XVI, il Papa che ha osato un gesto epocale e che sarà ricordato forse e soprattutto per questo. Oggi potrebbe risultare perfino troppo ovvio e facile fare centro sull’obiettivo in questione. Le immagini che passano sui nostri schermi ce lo presentano di spalle, indifeso, fragile. Ma penso che a noi quello che maggiormente interessa è cercare di leggere, alla luce del suo gesto epocale, le sue parole, le sue encicliche, i suoi discorsi, le sue richieste di purificazione, parole rivolte al mondo intero, a tutta la cristianità, di tutte le latitudini.

Sono molte adesso le questioni che si vorrebbero analizzare e su ognuna possono essere individuate luci e ombre. Affermare che Papa Benedetto è stato un Pontefice decisamente eurocentrico non è cosa nuova. Aveva tutte le ragioni e le preoccupazioni per esserlo. Di fronte alla caduta libera dei valori in Europa, che più volte egli stesso ha definito invecchiata, era naturale aspettarsi che un uomo come Ratzinger incentrasse il suo pontificato sulla “cura” di questi popoli.

La nuova evangelizzazione, l’anno del sacerdozio, l’anno della fede, sono tutte tematiche scelte per contrastare il declino religioso d’Europa, quel continente di cui lui si è sempre sentito figlio.

Joseph Ratzinger aveva conosciuto indirettamente l’Africa, prima che diventasse Pontefice, soprattutto attraverso le parole di vescovi e cardinali. Così, dal momento che ciò non è sicuramente abbastanza per poter “conoscere” questo continente e “innamorarsene”, il ritrovarselo nell’Agenda papale non deve essere stato per lui né facile e né semplice. Durante il suo pontificato l’ha visitata due volte. Possiamo dire “ben due volte” oppure “solo due volte”. Dipende da dove ci vuole condurre la riflessione. Mi limito a dire “ben due volte”.

Nei suoi due viaggi ha espresso comunque profonde riflessioni e importanti considerazioni che possono davvero coprire l’arco dei suoi otto anni di pontificato. Momento culminante, la sua partecipazione attiva al Secondo Sinodo dell’Africa.

In questi tre momenti importanti il Papa ha saputo parlare in maniera estremamente puntuale, precisa, senza alcuna remora. Questo basterebbe per comprendere che Benedetto nonostante la “fatica” a entrare in sintonia con un mondo lontano dai suoi schemi, dalla sua cultura, ha fatto uno sforzo ulteriore, e affatto indifferente, per entrare nelle pieghe e nei meandri di una realtà tanto complessa come quella africana con il suo miliardo di abitanti.

Sebbene nel 1969 Paolo VI avesse espresso la speranza di vedere un cristianesimo dal volto africano, indiscutibilmente possiamo affermare che l’Africa con la sua Chiesa, sono state, nel tempo, trascurate, svalutate, quasi ignorate. Quell’auspicio sembra, infatti, non essersi proprio realizzato, e se qualche passo è stato fatto perché si avverasse la possibilità di esprimere una teologia africana, è stato fatto molto in sordina. Di questo fallimento certo non possiamo addossare tutto la colpa a Benedetto. I 26 anni di Pontificato di Giovanni Paolo II, nonostante i 14 viaggi intrapresi in Africa e la celebrazione del primo Sinodo africano (1994) non hanno però avallato intuizioni teologiche africane. Era forse più rassicurante vedere ballare, cantare, suonare gli africani dentro le chiese piuttosto che dover contrastare “dubbie” teologie di liberazione sulla falsa riga dell’America Latina. Forse proprio da questo punto di vista la Chiesa doveva e deve comprendere oggi più che mai che l’Africa ha bisogno di cristiani capaci di rompere il dualismo tra fede e vita. Aveva cercato di farlo padre Jean-Marc Ela, un grande teologo del Camerun, che però è stato messo ai margini, dimenticato e, a volte, anche contrastato dalla sua stessa chiesa africana. 

Papa Benedetto ha sempre dimostrato comunque di conoscere bene la situazione del Continente. Nei suoi due viaggi prima e dopo il Sinodo, ha colto la vivacità, la freschezza, la fede dell’animo africano. Ma soprattutto ha colto che proprio dall’Africa può avvenire una nuova Pentecoste, considerandola «polmone spirituale della Chiesa» e riconoscendole «un umanesimo fresco, una riserva di vita, vitalità, futuro, su cui possiamo contare».

Questi sono i discorsi fatti soprattutto nei suoi viaggi africani, è mancata forse una sua presa di posizione in favore dell’Africa in Urbi et orbi. Non solamente negli otto anni di pontificato di Benedetto XVI, ma anche in quelli di papa Giovanni Paolo II è mancato il riconoscimento di una fede adulta, di un incoraggiamento a rendersi più responsabili, ad assumere ruoli che affrancherebbero la chiesa d’Africa da un’eterna dipendenza. Il continuo riferimento alle chiese d’Africa come chiese giovani, rende valido questo principio. Noi speriamo che il prossimo papa parli dell’Africa e soprattutto con l’Africa. 

*Elisa Kidanè, suora comboniana, scrittrice e poetessa. Scrive per la testata online «Combonifem».

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