Il Re è nudo. E non è un bello spettacolo. Questo hanno detto le piazze venezuelane: colme, colorate, esasperate; dal Caribe alle grandi pianure, dalle Ande all’Amazzonia, dai quartieri borghesi ai ranchos più miserabili. Lo sapevamo da tempo, ma la prepotenza pareva aver chiuso le porte della speranza e spalancato quelle dell’esilio. L’unica via di salvezza era lasciare il paese a chi se l’era preso con la forza. Ma mentre la rassegnazione montava e le teste s’abbassavano, un fiume carsico continuava ad erodere le fondamenta dell’ennesima rivoluzione diventata regime. Con una sua peculiarità: nessuna era mai giunta a simili gradi di inettitudine e pacchianeria.
Sarebbe bello che il boato delle piazze fosse la risata che fuga quest’insulso incubo, causa di tanta fame, morte e umiliazione. Ma non sarà così: per la millesima volta nella storia, chi pretende di fare il bene assoluto userà assoluta violenza; il fine giustifica i mezzi, pensa. Oggi sono tutti sorpresi e scandalizzati, come se il Venezuela fosse una scheggia impazzita, piovuta da chissà dove. Ma il chavismo non è figlio di nessuno: è figlio prediletto del castrismo, nipote naturale del peronismo, cugino non troppo remoto di vari populismi dell’Europa latina. Ciò cui aspira è una specie di riduzione gesuitica, cristiana perché socialista, o viceversa. Una comunità paternalista e moralizzante, retta da uno Stato etico che combatte la tentazione del denaro e distribuisce pani e pesci, estirpa l’egoismo e l’individualismo e semina la rigogliosa pianta della fratellanza. Come non amare un ordine siffatto? Infatti l’hanno amato in tanti, oggi dimentichi di averlo fatto.
E’ come se ogni generazione dovesse inventare da capo la ruota. Quante volte è già successo che in nome di così elevati valori la comunità schiacciasse l’individuo, lo Stato moralizzasse a forza la persona, il nuovo ceto sacerdotale s’ergesse a casta privilegiata, pani e pesci svanissero poiché nessuno aveva incentivi a produrli? Quante volte il sogno del Regno dei cieli s’è tramutato in inferno in terra? Quante la moralità s’è tramutata in ipocrisia, l’eguaglianza in miseria, l’onestà in corruzione, la fede in dogma, la democrazia in dittatura? Ci sarà un motivo!
Per cui c’è poco da essere ottimisti: ci sarà altro sangue. Quel che Maduro farà è così facile da prevedere che dà noia dirlo: chiamerà a raccolta i circoli bolivariani e colmerà una piazza di berretti rossi. Vedete, dirà? Il “popolo” è con me. Poi griderà al lupo per la millesima volta: ci vogliono invadere, mi vogliono uccidere, e che l’impero, e che il capitale, e che la reazione; un disco incantato, una solfa vecchia e usurata. Ma si può star sicuri che tanti s’attaccheranno famelici all’amo.
Il problema, con il chavismo e con la sua famiglia, è che non è un fenomeno politico, ma mistico-religioso; e in termini religiosi, non politici ragiona: il suo popolo non è per esso un popolo tra i tanti, ma il popolo di Dio che esso ha il dovere di condurre alla redenzione; sono “gli ultimi”, dice, arrogandosi così un’intrinseca superiorità morale. Le masse che hanno colmato le piazze del paese ieri non sono, ai suoi occhi, “popolo” anch’esse, ma oligarchia; l’oligarchia più grande e popolare mai vista al mondo. La democrazia pluralista, con separazione dei poteri, libertà individuali, pluripartitismo, è inconcepibile per i populismi latinoamericani. Perché? Facciamolo dire al papà di Chávez: vogliamo un “solo tipo di cittadino con la stessa mentalità, la stessa concezione della vita, la stessa educazione, la stessa cultura, lo stesso ideale politico”. Fidel Castro dixit.
E ora? Non ci vuole un profeta per indovinare che il futuro dipende dai militari. D’altronde militare è il regime. Ma le forze armate venezuelane non sono un’istituzione dello Stato; sono un apparato del regime, per di più imbottito di “consiglieri” cubani; non difendono la Costituzione e le frontiere, ma il chavismo. Così è da tempo. Dovesse cadere il regime e tornare lo Stato di diritto, i generali dovrebbero rendere conto di una sfilza di imputazioni: violazione della Costituzione, narcotraffico, corruzione, torture, repressione. Difficile voltino le spalle a Maduro. Sotto la pressione internazionale e della piazza, però, potrebbero spaccarsi: allora sì, lo spettro delle guerra civile prenderebbe forma.
Come evitarlo? Io non lo so. So che coloro che finora hanno invocato “mediazioni”, come il Vaticano tre anni fa e il Messico oggi, hanno dato ossigeno al regime. “Dialogo” è una bella parola, ma a volte ingannevole. La domanda è d’obbligo: dialogo tra chi e a che condizioni? Se contemplasse la restituzione dei legittimi poteri all’assemblea legislativa e il ritorno alla democrazia sotto osservazione internazionale, avrebbe senso; benché a quel punto non si vede come l’interlocutore potrebbe essere Maduro. Ma se dialogo dev’essere la finta pace tra chi ha la pistola in mano e chi ce l’ha puntata alla tempia, allora è una trappola; e non si può cadere tante volte nello stesso trucco. Nell’attesa, è bene che la pressione internazionale non arretri di un centimetro.