Il 2020 è iniziato con un chiaro segnale: Nicolas Maduro è ancora forte e intende continuare a consolidare il potere in ogni istituzione del Venezuela. Il 5 gennaio l'Assemblea Nazionale ha eletto Luis Parra come presidente, in sostituzione di Juan Guaidó, che ha denunciato un colpo di stato parlamentare. Parra è stato eletto con 81 voti, anche se per l’elezione sarebbe stato necessario un quorum di 84. I parlamentari sostenitori di Guaidó, non potendo entrare nella sede dell'Assemblea Nazionale, si sono riuniti nella sede del quotidiano "El Nacional" e hanno ratificato Juan Guaidó come presidente dell’Assemblea Nazionale, e quindi anche come presidente ad interim del paese, con un totale di 100 voti. La situazione è quindi diventata ancora più caotica, perché non solo ci sono due venezuelani che sostengono di essere il legittimo presidente del paese – Maduro e Guaidó –, ma ci sono anche due presidenti dell’Assemblea Nazionale. Quello che però sembra evidente è che Maduro intenda riprendere il controllo dell'Assemblea Nazionale con le prossime elezioni legislative. Nel frattempo la crisi economica e umanitaria è sempre drammatica: secondo il Fondo Monetario Internazionale, nel 2019 il PIL venezuelano si è contratto del 35 per cento e alla fine del 2020 il numero degli emigrati venezuelani potrebbe arrivare a sei milioni, quasi il 20 per cento della popolazione.
In più occasioni in passato la fine di Maduro è stata prevista erroneamente, ma all'inizio di quest’anno lo scenario più probabile è che Maduro rimanga al potere. In primo luogo, la pressione esterna ed interna per estromettere Maduro sta diminuendo, mentre la sua repressione della dissidenza si è finora dimostrata efficace. In secondo luogo, anche se la situazione economica rimane drammatica, probabilmente migliorerà nel 2020 rispetto al 2019. La produzione aggregata diminuirà per il settimo anno consecutivo, ma la contrazione non sarà così grave come nel 2019. In terzo luogo, nonostante le sanzioni imposte dagli Stati Uniti a partire da gennaio 2019, al paese sono arrivate comunque risorse dall’esportazione di petrolio grazie all’aiuto di paesi amici, in primis la Russia, dalle rimesse, dalla vendita di oro e da probabili traffici illeciti di droga e armi. Inoltre, il partito chavista riuscirà quasi sicuramente anche a riprendere il controllo dell’Assemblea Nazionale nelle prossime elezioni legislative, organizzando una competizione elettorale non libera ed equa. Infine, negli ultimi mesi Maduro ha mostrato che, pur di mantenere il potere, è disposto a cambiare alcune politiche economiche chaviste. A metà 2019 aveva abbandonato i controlli sui cambi e di conseguenza il tasso di cambio ufficiale ora è vicino al tasso del mercato nero. Inoltre ha progressivamente liberalizzato l’utilizzo del dollaro. La crescente dollarizzazione di fatto dell'economia ha portato una relativa stabilità dei prezzi, che a sua volta ha aumentato la disponibilità di beni. A fine gennaio 2020 sono addirittura circolate notizie sul fatto che Maduro stia prendendo in considerazione di vendere azioni della compagnia petrolifera statale, Petroleos de Venezuela SA (PDVSA), a società petrolifere straniere che già operano nel paese, quali la russa Rosneft, la spagnola Repsol e l’italiana Eni.
Lo scontro politico interno si è riflesso nella formazione di due schieramenti opposti a livello internazionale: da una parte a sostegno di Guaidó e per nuove elezioni vi sono gli Stati Uniti, il Canada, molti paesi dell’America Latina e dell’Unione Europea. Dall’altra, la Russia, la Cina e Cuba sono i principali paesi che appoggiano Maduro e criticano le ingerenze esterne. È diventata una contrapposizione ideologica, quasi da Guerra fredda, dove gli schieramenti pro o contro Maduro o per nuove elezioni presidenziali non dipendono quasi più dal giudizio sulla legittimità delle elezioni del 2018 o sulla responsabilità del presidente per l’attuale catastrofe nel paese, ma sembrano derivare da valutazioni geopolitiche più generali. Chi è contro la politica estera americana, e in particolare l’uso delle sanzioni, fa cadere la responsabilità della crisi venezuelana sulle sanzioni di Donald Trump, e in questo modo trascura le colpe di Maduro. Chi è stato amico e sostenitore di Hugo Chávez difende Maduro contro l’attacco esterno imperialista; chi era invece all’opposizione fin dai tempi di Chávez tende a opporsi a qualsiasi compromesso con il partito chavista. Questo approccio antagonista e polarizzante rende più difficile ogni confronto tra chavisti e opposizione. Non possiamo sapere come si sarebbe comportato Chávez dopo la caduta del prezzo del petrolio del 2014 o dopo la vittoria dell’opposizione alle elezioni legislative del 2015, ma sappiamo che il governo di Maduro ha portato il paese al collasso istituzionale, economico e sociale.
Gli ultimi negoziati tra i rappresentanti di Maduro e dell’opposizione, sotto la guida del governo norvegese, si sono interrotti, mentre rimane attivo lo sforzo del Gruppo di Contatto Internazionale per sostenere una soluzione pacifica e democratica alla crisi. Tuttavia, sembra poco probabile che le elezioni legislative del 2020 saranno libere ed eque. Maduro riuscirà a influenzare il processo elettorale in modo che solo candidati dell’opposizione deboli si presentino e che gli elettori più vicini al partito chavista vadano a votare. Probabilmente tenterà anche di convincere gli elettori che la responsabilità principale della crisi economica e sociale sia degli “imperialisti americani” e delle loro sanzioni e che la situazione stia migliorando grazie alle politiche governative degli ultimi mesi. Forse è arrivato il momento per l’opposizione di riconsiderare la strategia adottata fino ad ora e di confrontarsi con i rappresentanti chavisti, visto che i tentativi di Guaidó di prendere il posto di Maduro sono falliti soprattutto perché quest’ultimo ha ancora l’appoggio dei militari e di parte della popolazione.