Emmanuel Macron vince le elezioni presidenziali francesi, confermandosi per un secondo mandato. Secondo le proiezioni il presidente uscente ha ottenuto il 58,5% dei voti, staccando di oltre quindici punti Marine Le Pen (41,5%). A giugno le elezioni parlamentari.
Rivedi l'evento
Alla fine tutto è andato secondo le previsioni: Emmanuel Macron ha vinto le elezioni presidenziali francesi, confermandosi per un secondo mandato. È la prima volta che accade dai tempi di Jacques Chirac. La vittoria al ballottaggio su Marine Le Pen – alla sua terza (e ultima, secondo quanto dichiarato) corsa per l’Eliseo – è stata solida, anche se con un margine inferiore alle elezioni del 2017: il 58,5% dei voti per il candidato di La République en Marche contro il 41,5% alla leader del Rassemblement National (nel 2017 a Macron andarono il 66,1% dei voti contro il 33,9 a Marine Le Pen). Un distacco di oltre quindici punti che si era iniziato a consolidare già nei giorni immediatamente successivi al primo turno e che è progressivamente apparso incolmabile per Marine Le Pen. A fronte di un’astensione alta, di circa il 28%, a favore di Macron sono andati i voti di gran parte dei candidati esclusi: una fetta importante di quelli di Jean-Luc Mélenchon (esponente dell’estrema sinistra) e la maggior parte degli elettori di Jadot (Verdi), Valérie Pécresse (Repubblicani) e Anne Hidalgo (Socialisti). Un ritorno, anche se in scala ridotta rispetto al passato, del “fronte repubblicano”. Le Pen è invece riuscita a primeggiare solo nell’elettorato di Éric Zemmour (Reconquête) e Nicolas Dupont-Aignan (Debout la France), candidati della destra sovranista che al primo turno avevano ottenuto meno del 10% dei voti espressi al primo turno: troppo poco per ribaltare i pronostici. Né l’ultimo dibattito televisivo tra i due contendenti sembra aver spostato l’elettorato. Dibattito in cui Le Pen è apparsa in difficoltà soprattutto sulla Russia, non riuscendo a difendersi in modo convincente dagli attacchi di Macron sui suoi legami con il Cremlino, inclusi i passati finanziamenti russi alla campagna elettorale del 2017.
Il commento di Paolo Magri, Vice Presidente Esecutivo ISPI, a Speciale TG1
Una vittoria giocata sull’economia
Uno dei temi centrali di questo appuntamento elettorale è stato indubbiamente l’economia. Già prima dell’invasione russa dell’Ucraina, infatti, la preoccupazione principale dei francesi era legata alla perdita del potere d’acquisto, e il conflitto ha reso questo tema ancora più prioritario. La campagna elettorale si è quindi giocata in larga parte sulla paura dell’inflazione e sulla necessità di proteggere i francesi dai rincari, soprattutto quelli riguardanti energia e carburanti. In realtà, nonostante le forti paure dei cittadini, nel mese di marzo la Francia ha registrato un’inflazione su base annua del 5,1%, ben al di sotto della media del 7,5% dell’eurozona. Anche sul fronte della crescita il quadro è più roseo di quanto probabilmente percepito da ampie fasce dell’opinione pubblica francese: nel 2021 il Pil è aumentato del 7%, seconda performance in Europa dietro solo al Regno Unito. Inoltre, le previsioni per il 2022, pur riviste al ribasso per le conseguenze della guerra in Ucraina, si attestano al 2,9%, ben al di sopra del dato tedesco (2,1%). Infine, la disoccupazione continua la sua discesa: nel quarto trimestre 2021 era al 7,4% (valore più basso dal 2008), recuperando pienamente non solo rispetto ai livelli pre-pandemia, ma anche rispetto ai valori precedenti alla crisi finanziaria del 2009. Un quadro positivo che ha contribuito alla vittoria di Emmanuel Macron: infatti, un sondaggio IPSOS del 20 aprile indicava proprio Macron come il candidato ritenuto più credibile sui temi della crescita economica (63%) e sulla guerra in Ucraina (70%).
La fine dei partiti tradizionali
Nel 2017 fu la volta dei Socialisti, nel 2022 dei Repubblicani: nelle ultime due tornate elettorali sono praticamente scomparsi i due partiti che si erano divisi tutti i Presidenti della Quinta Repubblica dopo De Gaulle. Un tracollo storico che archivia i due principali attori della politica francese degli ultimi decenni e la cui portata è ancora più evidente guardando ai numeri: nel 2022 la somma delle percentuali di voto ottenute dalla candidata gollista Pécresse e da quella socialista Hidalgo è stata inferiore al 7%, tanto che nessuna delle due ha potuto accedere ai rimborsi elettorali, riservati ai candidati che raggiungono il 5%. Ma chi ha “ucciso” i partiti tradizionali? Il principale indiziato è proprio Macron il quale, fin dall’inizio del suo primo mandato, ha subito iniziato a creare un blocco centrista che assorbisse gli elementi riformisti dei due partiti. Se gli elettori socialisti furono convinti già in occasione delle Presidenziali del 2017, in cui il candidato del partito Benôit Hamon ottenne solo il 6,8%, stavolta Macron ha conquistato anche l’elettorato gollista: su 5900 comuni che nel 2017 diedero il primato a Fillon, nel 2022 solo 32 sono andati a Pécresse, contro gli oltre 3600 per Macron. Un centro “pigliatutto” che ha portato Macron ad ottenere il suo secondo mandato, attirando elettori di diverse apparenze politiche grazie alla mancanza di un’ideologia ben definita e ad un programma poliedrico dove si fondono istanze progressiste ad elementi liberali. Contro questo centro post-ideologico, però, si sono rafforzati anche i due estremi opposti: la sinistra radicale di Mélenchon diventa egemone nel suo schieramento, mentre a destra di Macron ormai vi sono principalmente le forze nazionaliste di Le Pen e Zemmour. In vista delle legislative di giugno la politica francese si polarizza tra estrema destra di Le Pen, il centrismo di Macron e La France Insoumise di Mélenchon che si rafforza egemonizzando il consenso a sinistra e promettendo battaglia al Presidente rieletto.
Cresce la destra nazionalista
La seconda partecipazione consecutiva, pur nella sconfitta, di Le Pen al ballottaggio indica con chiarezza la crescita della destra in Francia. Un consolidamento di schieramenti nazionalisti estremamente significativo e che si rafforza ormai da oltre un decennio (nel 2012 Le Pen ottenne il 17,9% dei voti al primo turno, nel 2017 il 21,3%). Lo spostamento a destra non riguarda però solo il Rassemblement National, ma anche Reconquête di Zemmour e gli stessi Repubblicani, con Pécresse che rappresentava già un allontanamento dalle posizioni relativamente moderate dei precedenti presidenti gollisti. Le Pen e Zemmour hanno ottenuto al primo turno quasi un voto su tre, mostrando come vi sia anche un crescente supporto per l’estrema destra nella popolazione meno associata tradizionalmente a quello schieramento. Le Pen ha infatti confermato in questo ballottaggio il forte radicamento nelle realtà più povere e meno urbanizzate del Paese: aree spesso dimenticate dalla politica tradizionale e che dopo decenni di voto a sinistra hanno attribuito il proprio sostegno alla candidata del Rassemblement National. Un consenso che però non sfonda nelle periferie delle grandi città, dove il sostengo al RN si limita alle banlieues con ridotta presenza di minoranze etniche o religiose.
E l’Europa?
La conferma di Macron fa tirare un sospiro di sollievo in molte cancellerie europee e, pur nella difficoltà di un ballottaggio più combattuto del precedente, sottolinea la vocazione europeista della Francia. Proprio la volontà del presidente uscente di indicare il voto di ieri come un referendum sull’Europa ha contribuito alla sua vittoria. Infatti, il programma elettorale di Le Pen, pur escludendo una “Frexit” tout court, proponeva uno strappo netto su molti elementi dell’integrazione europea, sia dal punto di vista giuridico che da quello economico-commerciale. Misure che sulla carta non avrebbero portato a nessuna rottura formale con Bruxelles, ma che nei fatti avrebbero messo a dura prova l’Ue e rimesso in discussione gli equilibri di forza al suo interno. La vittoria di Macron rilancia la leadership francese in campo europeo: dopo un semestre che fino ad ora ha conseguito alcuni risultati importanti (come l’accordo sul Digital Markets Act), il Presidente francese si candida a figura guida dell’Unione nei prossimi anni, complici le difficoltà del governo tedesco di fronte alla guerra in Ucraina, e le elezioni italiane nel 2023. La conferma del leader di En Marche! consolida anche il sostegno europeo all’Ucraina e apre alla possibilità di nuove sanzioni alla Russia in campo energetico, che saranno discusse questa settimana a livello UE.
La Francia del futuro?
Sul piano interno, la conferma di Macron permette di proseguire il programma di riforme del sistema pensionistico e del mercato del lavoro, oltre a rafforzare gli investimenti nei settori tecnologici e consolidare quell’idea di Francia come start-up nation avviata nel primo mandato. La ricerca dei voti a sinistra, indispensabili per la vittoria in questo ballottaggio, apre anche a una Francia più ecologista, che porterà probabilmente ad un maggiore ricorso alle energie rinnovabili e a incentivi più forti per la mobilità elettrica. Inoltre, si prospetta una presidenza all’insegna di una maggiore condivisione: rispondendo ad una delle accuse più frequenti che gli sono state rivolte in questa campagna elettorale, Macron intende aprire diversi “Stati Generali” sui temi della giustizia e dell’informazione, e convocare tavoli di confronto con i cittadini sulle riforme. Allo stesso modo, su alcune delle riforme più discusse, Macron potrebbe cercare una convergenza più larga, dimostrando come voglia mettersi alle spalle la figura di un Presidente distante e poco incline ad ascoltare le posizioni avverse.
Una vittoria che è soprattutto nel segno della continuità. I francesi hanno scelto con chiarezza di confermare il presidente uscente, preservando la posizione francese in Europa e sostenendo la linea politica iniziata nel 2017. Rimane però forte la necessità di allargare il consenso e di fare breccia in quell’ampia fetta di francesi che non ha gradito la vittoria di Macron.
Focus a Cura di Davide Tentori, Carlo Mongini e Alberto Rizzi