Nei prossimi giorni e settimane, Joe Biden nominerà i membri della sua amministrazione. Non a caso il neo-presidente eletto, che ha detto più volte di voler riunire un paese lacerato dalle divisioni, ha promesso un’amministrazione che “rispecchi l’America”. Ma al tempo stesso dovrà tenere conto delle pressioni provenienti da gruppi di potere opposti a Washington: l’ala progressista del partito democratico, che dopo aver aiutato l’ex vicepresidente ad arrivare allo Studio Ovale chiede ora un gabinetto progressista e plurale; i dem moderati, convinti che le posizioni troppo radicali di alcuni colleghi di partito abbiano pesato nella vittoria stringata alla Camera; e infine i repubblicani, che sono proiettati per mantenere la maggioranza al Senato dopo i ballottaggi in Georgia, e i cui voti saranno necessari per confermare le nomine alla Camera alta.
Nella squadra che affiancherà Biden alla Casa Bianca, molti provengono dallo staff per la campagna presidenziale: oltre a Ron Klain, già suo braccio destro e veterano dem, che sarà capo dello staff, Jen O' Malley Dillon, che ricoprirà il ruolo di vice di Klain, mentre Mike Donilon, stratega della campagna, sarà consigliere politico del presidente. Steve Ricchetti e Dana Remus, che hanno guidato il team legale del tiket Biden-Harris, saranno consulenti legali del presidente, mentre Annie Tomasini, capo dello staff della campagna, sarà il nuovo direttore delle operazioni dello Studio Ovale.
Anche se nessun nome è “scolpito nella pietra” fanno sapere i consiglieri dem, anche la composizione del gabinetto di governo è un tema all’ordine del giorno.
Partiamo dalla posizione più in vista: quella di Segretario di Stato. Qui, in cima alla rosa dei nomi c’è Susan Rice, ex Consigliere per la sicurezza nazionale di Obama ed ex ambasciatrice USA alle Nazioni Unite. Il suo però è un nome che potrebbe non piacere ai senatori repubblicani che la accusarono, durante il suo mandato di ambasciatrice all’ONU, di aver descritto l’attacco al compound americano in Libia nel 2012, che portò all’uccisione dell’ambasciatore J. Christopher Stevens, come frutto di una protesta spontanea e non, come emerso in seguito alle indagini, di un attacco terroristico premeditato. Un altro nome papabile come capo della diplomazia di Biden è quello di Antony Blinken, già Vicesegretario dello stesso dipartimento durante la presidenza Obama e consigliere di Biden per la politica estera.
Per un altro ruolo chiave nell’amministrazione, quello di Segretario al tesoro, un ruolo finora sempre ricoperto da uomini bianchi, sembra che il presidente eletto abbia presentato una lista composta interamente da donne o afroamericani. Al primo posto c’è Lael Brainard, già governatrice della Federal Reserve e Sottosegretaria al tesoro con Obama. Meno probabile è invece la candidata preferita dall’ala progressista: Elizabeth Warren, senatrice dem ed ex candidata alle primarie del partito, che difficilmente però riuscirebbe ad ottenere il via libera del Senato.
Per la posizione di Attorney General, a capo del sistema giudiziario americano, si fanno i nomi di Doug Jones, senatore dell’Alabama appena sconfitto ai seggi ma con un eccellente curriculum di magistrato federale; Sally Yates, Viceprocuratrice generale scelta da Obama e licenziata da Trump dopo dieci giorni dal suo arrivo alla Casa Bianca per aver contestato la legittimità del Muslim Ban; e Xavier Becerra, ex deputato e ora Procuratore generale della California al posto di Kamala Harris, vicino a posizioni progressiste.
Per il Pentagono, l’amministrazione Biden potrebbe portare per la prima volta una donna a ricoprire l’incarico di Segretario della Difesa. Il nome che circola più frequentemente è quello di Michele Flournoy, ex Sottosegretaria con Obama. Nonostante l’indubbia competenza, Flournoy è però vista con sospetto dai progressisti a causa dei suoi legami con il mondo corporate. Oltre ad assistere aziende appaltatrici del Pentagono, Flournoy è infatti tra i fondatori, insieme a Blinken, di WestExec: una società di consulenza tra i cui clienti figurano grandi aziende finanziarie, tecnologiche e farmaceutiche. Un potenziale conflitto di interessi che la sinistra del partito sembra non voler accettare. In alternativa, una candidata di primo piano è Tammy Duckworth: senatrice dell'Illinois e reduce della guerra in Iraq, dove ha perso entrambe le gambe dopo che il suo elicottero è finito sotto attacco. Duckworth, che si era già occupata di veterani durante gli anni di Obama, era anche stata citata come possibile vice di Biden.
Nella lista di potenziali nomine nell’esecutivo Biden ci sono anche i nomi di altri due ex candidati alle primarie: Bernie Sanders, come Segretario al lavoro, e Pete Buttigieg, come ambasciatore all’ONU. Mentre il secondo, veterano di guerra e figura tendenzialmente moderata, potrebbe avere qualche chance di ottenere il voto dei senatori repubblicani, per il primo, senatore socialista che già aveva scosso l’establishment correndo contro la nomination di Clinton nel 2016, la strada sembra tutta in salita.
In attesa che i ballottaggi per i due posti da senatore della Georgia ci dicano se il Senato rimarrà repubblicano o passerà ai democratici, non è da escludere che il presidente eletto proponga per la propria squadra i nomi di persone gradite ai repubblicani. Una mossa che, al di là degli equilibri di potere a Washington dopo gennaio, potrebbe aiutare Biden a presentarsi come “presidente di tutti gli americani”. Includere nell’amministrazione figure appartenenti o vicine al partito di minoranza non è una novità: già George W. Bush, Bill Clinton e Obama avevano optato per l’opzione bipartisan, soprattutto per posizioni considerate relativamente meno “ideologiche”. Tradizione che si è decisamente interrotta con l’arrivo di Trump alla Casa Bianca.