Web3: utopia o rivoluzione? | ISPI
Salta al contenuto principale

Form di ricerca

  • ISTITUTO
  • PALAZZO CLERICI
  • MEDMED

  • login
  • EN
  • IT
Home
  • ISTITUTO
  • PALAZZO CLERICI
  • MEDMED
  • Home
  • RICERCA
    • OSSERVATORI
    • Asia
    • Cybersecurity
    • Europa e Governance Globale
    • Geoeconomia
    • Medio Oriente e Nord Africa
    • Radicalizzazione e Terrorismo Internazionale
    • Russia, Caucaso e Asia Centrale
    • Infrastrutture
    • PROGRAMMI
    • Africa
    • America Latina
    • Global Cities
    • Migrazioni
    • Relazioni transatlantiche
    • Religioni e relazioni internazionali
    • Sicurezza energetica
    • DataLab
  • ISPI SCHOOL
  • PUBBLICAZIONI
  • EVENTI
  • PER IMPRESE
    • cosa facciamo
    • Incontri su invito
    • Conferenze di scenario
    • Formazione ad hoc
    • Future Leaders Program
    • I Nostri Soci
  • ANALISTI

  • Home
  • RICERCA
    • OSSERVATORI
    • Asia
    • Cybersecurity
    • Europa e Governance Globale
    • Geoeconomia
    • Medio Oriente e Nord Africa
    • Radicalizzazione e Terrorismo Internazionale
    • Russia, Caucaso e Asia Centrale
    • Infrastrutture
    • PROGRAMMI
    • Africa
    • America Latina
    • Global Cities
    • Migrazioni
    • Relazioni transatlantiche
    • Religioni e relazioni internazionali
    • Sicurezza energetica
    • DataLab
  • ISPI SCHOOL
  • PUBBLICAZIONI
  • EVENTI
  • PER IMPRESE
    • cosa facciamo
    • Incontri su invito
    • Conferenze di scenario
    • Formazione ad hoc
    • Future Leaders Program
    • I Nostri Soci
  • ANALISTI
INNOVAZIONE

Web3: utopia o rivoluzione?

Alberto Guidi
01 luglio 2022

Non si ferma la brusca discesa di Bitcoin. La più diffusa criptovaluta per valore di mercato galleggia intorno a quota 20 mila dollari, come non accadeva dal dicembre 2020. Solo negli ultimi tre mesi, il suo valore è calato del 50% e con esso la reputazione delle criptovalute e dei sistemi di blockchain.

Ma su queste tecnologie non si basa solo un metodo di pagamento alternativo bensì un nuovo modo di intendere il Web. Un Web3 (termine coniato nel 2014 da Gavin Wood, co-fondatore di Ethereum) che promette di rivoluzionare il ruolo degli utenti e le gerarchie esistenti nelle sue precedenti incarnazioni. Nel Web 1.0 non c’erano molte opzioni per l’utenza media al di fuori della lettura dei (pochi) contenuti presenti in rete quali le pagine dei primi quotidiani online e di qualche sito aziendale. A partire dai primi del 2000, questo modello ha lasciato spazio al Web 2.0, fatto di forum, blog, e soprattutto di social network, in cui chiunque può essere una voce attiva, creando e condividendo contenuti di ogni tipo.

Oltre a questo, nel Web3, grazie a criptovalute e NFT, è possibile avere la proprietà esclusiva di oggetti digitali, e acquistare quote delle piattaforme usate, partecipando attivamente alle scelte di governance sul loro sviluppo. Non finisce qui: gli utenti possono essere persino ricompensati per la propria attività online. Decentraland, uno dei più noti metaversi basati sulla blockchain, con i suoi 300 mila utenti attivi ogni mese, è il perfetto esempio di questo nuovo paradigma. Chi diventa parte del suo mondo digitale, può comprare, vendere e affittare beni digitali usando la criptovaluta in game, chiamata MANA. Il suo valore cresce quante più persone entrano nella piattaforma. E a più MANA corrisponde più potere decisionale nelle votazioni su determinati aspetti della realtà digitale di Decentraland, come in tema di comportamenti leciti e sviluppi da implementare.

Per quanto simili applicazioni sono ancora di nicchia se confrontate con i numeri dei social più popolari, il loro potenziale futuro impatto sull’intera industria tech non è da sottovalutare. Ma neanche i dubbi sulla loro effettiva capacità di cambiare il Web.

 

Un web senza Big Tech?

Ogni minuto vengono effettuate 5,7 milioni di ricerche su Google. Si spendono 283 mila dollari in acquisti su Amazon e si condividono 65 mila foto su Instagram. Di fronte a questi numeri non sorprende che la capitalizzazione di mercato di Alphabet, Amazon, Meta e Microsoft complessivamente superi i 5.000 miliardi di dollari: pari a circa il 5% del Pil globale.

Parte del successo di queste aziende che dominano il Web 2.0 si regge sui rispettivi database colmi di informazioni sugli utenti che le utilizzano. Dalle interazioni online degli utenti è generato profitto, che però non è condiviso con gli utenti stessi. Con la diffusione della blockchain e il Web3 questo meccanismo potrebbe essere superato: i dati degli utenti non risiederebbero più su una rete di server centralizzati, ma sarebbero disseminati in maniera omogenea su tutta la rete. Così che nessuno possa trarne vantaggio al di fuori dell’utente stesso, che in cambio della sua attività online può ottenere ricompense sotto forma di token.

Un potenziale stravolgimento dello status quo che ha convinto più di un venture capitalist a scommettere sulle applicazioni del Web3. Che nel corso del 2021 hanno ricevuto circa 30 miliardi di dollari di investimenti, contro i 5 dell’anno precedente. La maggior parte dell’attenzione degli investitori è al momento divisa tra aziende specializzate in metaversi come la coreana NAVER Z e aziende come Mina o The Graph, coinvolte nella costruzione di nuovi protocolli per gettare le fondamenta del nuovo Web.

 

Il lupo 2.0 perde il pelo ma non il vizio

Le premesse e promesse del Web3 sono quindi potenzialmente rivoluzionarie. Ma al momento tutt’altro che rispettate. Il primo paradosso che salta all’occhio riguarda proprio la provenienza degli investimenti nel nuovo Web. Veramente gli utenti avranno il controllo del Web3 quando le piattaforme di questo ecosistema sono finanziate dai principali venture capitalists del Web 2.0? Come Andreessen-Horowitz, una delle più illustri società di VC della Silicon Valley, che da sola rappresenta un sesto di tutti gli investimenti del 2021 in start up relative al Web3.

Un secondo elemento di dubbio è legato all’effettiva capacità degli utenti di fare a meno di intermediari. A causa della sua complessità, la maggior parte delle persone non è capace di interfacciarsi direttamente con le blockchain che reggono il Web3. Ma si affida a piattaforme che rendono più immediata la fruizione dei servizi desiderati, abbassando la barriera tecnica all'ingresso. Così per comprare NFT la piattaforma di riferimento è OpenSea, valutata a gennaio 13,3 miliardi di dollari, a soli quattro anni dalla sua fondazione. Per la compravendita di criptovalute Coinbase è il nome più gettonato, usato da 89 milioni di utenti. Insomma, si stanno già affermando nuovi attori centralizzati, esattamente come successo per l'e-commerce, i social media e le piattaforme di contenuti, e nonostante la natura decentralizzata della blockchain.

Infine, anche la stessa architettura della blockchain non è totalmente estranea a queste dinamiche di accentramento. Per convalidare una transazione o aggiungere un nuovo blocco alla “catena di blocchi”, un computer deve risolvere complessi problemi matematici: il cosiddetto mining. Una operazione che richiede molta potenza di calcolo che, ad oggi, è fortemente concentrata tra pochissimi “minatori”. Secondo uno studio del National Bureau of Economic Research, circa 50 minatori (lo 0,1%) controllano il 50% della capacità totale di mining di Bitcoin. Numeri simili a quanto avviene per Ethereum.

La situazione è simile se si amplia lo sguardo alla proprietà di quei token digitali (come ad esempio MANA) che sostengono molte delle nuove applicazioni del Web3: tra il 30% e il 40% sono in mano alle persone che li hanno lanciati. Un particolare non indifferente considerando come chi controlla più del 50% dei token di una data applicazione può cambiarne a proprio piacimento la governance.

In conclusione, il nuovo Web non è ancora alle porte e non è poi detto che sia così nuovo.

Contenuti correlati: 
Global Watch: Speciale Geoeconomia n.110

Ti potrebbero interessare anche:

Beirut: due anni dopo
Global Watch: Speciale Geoeconomia n.114
Linee guida per salvare l’Oceano
Piera Tortora
OCSE
Manca solo una guerra valutaria
Lorenzo Borga
Sky Tg24
Sanzioni, sette pacchetti non bastano
Fulvio Liberatore
Easyfrontier
Incident reporting: verso una prevenzione europea
Andrea Rigoni
Deloitte
,
Paola Tavola
Deloitte

Tags

economia Geoeconomia tech Innovazione
Versione stampabile

AUTORI

Alberto Guidi
ISPI

SEGUICI E RICEVI LE NOSTRE NEWS

Iscriviti alla newsletter Scopri ISPI su Telegram

Chi siamo - Lavora con noi - Analisti - Contatti - Ufficio stampa - Privacy

ISPI (Istituto per gli Studi di Politica Internazionale) - Palazzo Clerici (Via Clerici 5 - 20121 Milano) - P.IVA IT02141980157