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Weekly Focus n.6

Weekly Focus USA2020

Paolo Magri
|
Alessia De Luca
|
03 aprile 2020

Quasi seimila morti da Coronavirus negli Stati Uniti: Trump annuncia: “le prossime due settimane saranno nere”. Dalla metà di marzo a oggi oltre 10 milioni di disoccupati. E i Democratici rinviano di un mese la convention per nominare lo sfidante nella corsa alla Casa Bianca.

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What’s up? 

Seimila morti e più di 245mila contagi: è il bilancio dell’epidemia da Covid-19 negli Stati Uniti. Secondo i dati della Johns Hopkins University, solo nella giornata di ieri si è registrato un balzo nei nuovi casi di contagio, con 28.491 nuovi positivi e 846 morti. L'unico dei 50 stati a non aver riportato vittime, per ora è quello di Wyoming.

La settimana negli States si era aperta con una previsione angosciante: il virus potrebbe causare tra i 100.000 e i 250.000 morti. A farla era stato nientemeno che Anthony Fauci, epidemiologo della task force istituita dalla Casa Bianca per contrastare l’epidemia. La sua trasparenza nella gestione della crisi gli è valsa la scorta, decisa per tutelarlo dalle ormai numerose minacce di morte online, da chi lo accusa di voler affossare Trump in vista delle elezioni.

 

Già, le elezioni: anche il calendario elettorale, arrivati a questo punto, si adatta alla situazione e i Democratici rinviano la convention estiva che dovrà assegnare la nomination al candidato che correrà contro Trump nelle elezioni del 3 novembre. Dal 17 luglio al 17 agosto. Poi, dicono si vedrà.

Anche l’inquilino della Casa Bianca ha dovuto rivedere i suoi piani e la riapertura del 12 aprile, annunciata appena pochi giorni fa, è stata accantonata. Il presidente ha dovuto cedere all’avanzata del coronavirus nel paese, estendendo le misure restrittive al 30 aprile, e abbandonato l’idea di riaprire il paese (e l’economia) entro Pasqua. Ora tre quarti della popolazione americana è confinata in casa e aspetta che l’epidemia raggiunga il picco. “Due settimane nere” le ha definite Donald Trump, avvisando che se il bilancio finale dovesse rimanere entro i 100.000 morti “sarebbe comunque un ottimo risultato”.

Come se non bastasse, dalla metà di marzo ad oggi sono andati in fumo 10 milioni di posti di lavoro. Lo choc delle misure messe in campo per frenare i contagi sta scuotendo alla base l’economia americana, basata sulla capacità d’acquisto dei consumatori, con effetti sociali devastanti. E gli assegni da 1.200 dollari promessi dal Congresso potrebbero non arrivare almeno fino al 13 aprile. Le stime prevedono almeno 20 milioni di persone senza un lavoro da qui a giugno, e fino a 47 milioni più avanti. Oltre un terzo della forza lavoro complessiva. Una situazione che non ha precedenti neanche nella Grande Depressione del ’29, quando si raggiunsero 15 milioni di disoccupati.

Intanto prosegue lo scontro tra il presidente e i governatori dei singoli stati: mentre dalla sala stampa della Casa Bianca il capo dello stato entra ogni giorno nelle case degli americani per rivendicare l’incisività dell’azione di governo, i singoli governatori lo accusano della mancanza di materiali sanitari come mascherine, camici adeguati e guanti, e macchine respiratrici. A guidare lo scontro è, Andrew Cuomo, governatore dello stato di New York, tra i più colpiti dalla pandemia. Quando Trump ha ipotizzato di mettere in quarantena New York, New Jersey e Connecticut, lo ha attaccato: “Sarebbe una atto di guerra contro gli stati… Non se n’è mai parlato”. Alla fine sono stati diffusi solo degli avvisi scoraggiare i viaggi e gli spostamenti nei e dai tre stati, senza però chiuderne i confini.

Gli americani, chiusi in casa, osservano l’inasprirsi dello scontro politico-istituzionale e si armano: le vendite online di pistole e fucili d’assalto sono quadruplicate, e l’impennata è tanto più marcata negli stati più colpiti dal virus. Per tutti la paura è la stessa: che il paese possa sprofondare nel caos.

Il video-approfondimento del Direttore ISPI Paolo Magri

 

Il punto di Ipsos

Il commento di Nando Pagnoncelli, presidente Ipsos Italia

La popolazione americana continua ad essere divisa riguardo alla gestione dell’emergenza sanitaria da parte del presidente Trump: il 48% esprime una valutazione positiva contro il 46% che la disapprova.

Continuano ad aumentare le contromisure adottate dai cittadini individualmente per evitare il contagio, solo il 5% non ha modificato nulla nella propria quotidianità, mentre a inizio marzo erano il 49%. Si tratta prevalentemente di una maggiore frequenza con cui si lavano le mani o si utilizzano prodotti per disinfettarle (75%) e di evitare contatti fisici con le altre persone, comprese le strette di mano (68%).

Quello che emerge questa settimana con grande evidenza è il tema occupazionale: il 10% dichiara di aver perso il lavoro e il 19% ha smesso di lavorare, senza per il momento aver perso il proprio lavoro. È un tema che rischia di avere enormi ripercussioni sulla campagna per le presidenziali.

 

Il personaggio

Ogni giorno, i newyorkesi (e non solo) hanno un appuntamento fisso con il loro governatore, Andrew Cuomo; con delle immancabili slide in PowerPoint alle spalle, Cuomo accompagna i cittadini del suo stato attraverso gli ultimi aggiornamenti sul diffondersi del coronavirus e la situazione negli ospedali.

Classe 1957, famiglia di origini italiane, democratico, Cuomo è il fratello del noto anchor della Cnn Chris e l’ex marito della settima figlia di Bob Kennedy, Kerry, con cui ha avuto tre figlie. È alla guida dello stato di New York dal 1 gennaio 2011 ed è giunto ormai al terzo mandato. Proprio come il padre Mario Cuomo, anche lui tre volte governatore dello stesso stato. Entrato in politica a 25 anni, ha lavorato alla Casa Bianca durante la presidenza Clinton prima di diventare procuratore dello stato di New York e candidarsi come governatore nel 2010. Nonostante i numerosi decreti progressisti approvati a beneficio degli abitanti più bisognosi, il governatore è stato più volte accusato di essere “un bullo”, un uomo vendicativo, con manie di controllo e a tratti lunatico, che non sopporta che i suoi collaboratori gli rubino la scena. Un profilo che, sotto diversi punti di vista, ricorda quello del presidente Trump.

Spiazzando un po’ tutti però, nel bel mezzo dell’emergenza coronavirus, il “bulldozer umano” (come l’ha battezzato il New York Times nel 2002) ha rivelato un insospettabile lato tenero. Nelle sue conferenze stampa quotidiane, ha cercato l’equilibrio tra la trasparenza nel comunicare i drammatici dati sull’emergenza e le parole di rassicurazione verso la popolazione, facendo appello al senso di comunità e al bisogno di sostenersi reciprocamente. Parlando ai cittadini, ha spesso fatto riferimento agli insegnamenti del padre, morto cinque anni fa, e alla madre 88enne Matilda, dalla quale ha preso il nome la “Matilda’s law”, il decreto varato per proteggere i più anziani e vulnerabili dal coronavirus.

Un approccio che ha dato i suoi frutti: in poche settimane, il governatore è diventato una celebrità sui social, dove è partito l’hashtag #PresidentCuomo e in molti hanno dichiarato le proprie “cotte” per lui. Persino il blog femminista Jezebel sembra essere stato vinto dal fascino di Cuomo tanto da avergli dedicato un articolo dal titolo eloquente: “Aiuto, penso di essere innamorata di Andrew Cuomo???”. Virali sul web anche le interviste fatte al governatore dal fratello Chris, in cui i due scherzano su chi tra i due è il figlio preferito – strizzando l’occhio ai cliché sulle famiglie degli italo-americani.

La scalata di Cuomo nei sondaggi e negli indici di audience non è sfuggita all’attenzione di Trump che, come il governatore di New York, ama avere le luci dei riflettori tutte per sé. Il confronto tra i due è quindi quasi inevitabile, anche su questioni essenziali come ottenere abbastanza ventilatori per gli ospedali. La richiesta di Cuomo di avere almeno 30.000 ventilatori per il suo stato è stata commentata da Trump come una esagerazione – “se vai a vedere negli ospedali principali, ci saranno due ventilatori. Ora, tutto d’un tratto ci chiedono di averne 30.000”. In una campagna elettorale il cui andamento è sempre più difficile prevedere a causa della pandemia, tuttavia, alla Casa Bianca crescono le preoccupazioni che Cuomo possa diventare una pericolosa voce critica contro l’amministrazione federale in un momento delicatissimo per il paese.

 

In our view

Il commento di Gianluca Pastori, Professore Università Cattolica

La diffusione di COVID-19 si sta abbattendo con forza sulla campagna elettorale statunitense. Intorno alla critica situazione di New York negli scorsi giorni si è consumato il prevedibile showdown fra Donald Trump e il governatore Andrew Cuomo, due figure che, a livello mediatico, si sono imposte come simboli di due modi opposti di gestire l’emergenza. Parallelamente, la visibilità dei candidati democratici alla presidenza, Joe Biden e Bernie Sanders, pare essersi appannata di fronte all’espandersi di un contagio che faticano a ‘cavalcare’ politicamente. Il rinvio delle primarie in diversi Stati ha contribuito a questo esito, favorendo il focalizzarsi del dibattito sulla strategia adottata dall’amministrazione per limitare l’impatto dell’epidemia sull’economia.

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I temi caldi

L’ondata di disoccupazione causata dal coronavirus sta assumendo le dimensioni di uno tsunami: solo questa settimana più di 6,6 milioni di persone hanno richiesto accesso ai sussidi dopo aver perso il lavoro. Sommati a quelli della settimana precedente parliamo di quasi 10 milioni di persone. Per questo Trump è corso ai ripari, cancellando una delle leggi più significative sui limiti delle emissioni inquinanti per le auto, stabilita dall’ex presidente Barack Obama.

Con il nuovo regolamento, tra il 2021 e il 2026, le auto americane non dovranno più aumentare la propria efficienza del 5% l’anno, ma solo dell’1,5%. Secondo l’amministrazione ciò renderà le auto americane meno costose – il prezzo medio di un’auto diminuirà di circa 1.000 dollari – aumentandone la domanda. E se cresce la domanda, cresce l’offerta e l’industria avrà bisogno di più lavoratori.

D’altra parte, però, non si può sottovalutare l’impatto sull’ambiente e la salute dei cittadini: le macchine americane emetteranno circa 1 miliardo di tonnellate di anidride carbonica in più di prima, con gravi conseguenze sul numero di morti premature per inquinamento. Ma non solo: anche da un punto di vista economico, lo standard delle auto made in Usa sarà inferiore a quelli di altri paesi, trasformandole in un prodotto di seconda categoria sul mercato globale.

Non è la prima volta che le scelte del presidente in materia ambientale fanno discutere: a metà 2017, Trump aveva annunciato il ritiro degli Stati Uniti dall’Accordo di Parigi sui cambiamenti climatici; nel 2018, ha proposto di ridurre di un terzo i fondi dell’Agenzia per la protezione ambientale; in tutto, durante la sua amministrazione, il presidente ha provato a cancellare almeno 95 regolamenti ambientali. Inoltre, il tentativo di revocare l'autorità dei singoli stati a legiferare sulle emissioni, è tuttora oggetto di un contenzioso legale tra il governo di Washington e 23 stati.

I candidati dem hanno una visione molto diversa da quella del presidente: sia Joe Biden che Bernie Sanders propongono di rimpegnare gli Stati Uniti nell’Accordo di Parigi e diminuire le emissioni di co2. Anche su questo fronte, però, gli approcci dei due contendenti sono diversi: se Sanders pianifica l’utilizzo di sola energia rinnovabile per i trasporti e l’elettricità entro il 2030 grazie a un investimento pubblico di 16.300 miliardi di dollari, Biden mira ad avere il 100% di energia pulita e zero emissioni entro il 2050 con un investimento pubblico di 1.700 miliardi di dollari. Ma il democratico che per primo ha criticato la decisione di Trump di cancellare il regolamento sulle emissioni è stato proprio colui che il regolamento l’aveva varato: Barack Obama, che di solito si trattiene dal criticare il suo successore, ha twittato “Tutti noi, soprattutto i più giovani, dobbiamo esigere di meglio dal nostro governo, e andare a secondo coscienza quest’autunno”.

 

In numeri

Ogni dieci anni, il 1 aprile negli Stati uniti è il “Census day”, il giorno del censimento della popolazione presente sul territorio americano. Quest’anno, la data cade proprio nel mezzo dell’emergenza coronavirus, e rischia di avere un impatto pesante sulla raccolta delle informazioni.

Oltre che una tradizione, il censimento della popolazione è anche un obbligo costituzionale per il governo statunitense, richiesto dall’articolo 1 della Costituzione. Dai dati del censimento dipende infatti la ripartizione dei seggi alla Camera, e dunque il numero di deputati che ogni 10 anni vengono assegnati a ciascuno stato, e la ripartizione dei fondi federali tra i vari stati. I numeri servono inoltre al governo per pianificare meglio le politiche sociali e di sviluppo territoriale in base alle esigenze della popolazione.

In attesa che i dati del nuovo Census vengano pubblicati, il prossimo anno, il centro di ricerca Brookings ha fatto alcune proiezioni. Da queste si evince che tra il 2010 e il 2020, il tasso di crescita della popolazione americana è stato il più basso di sempre dai tempi del primo censimento, nel 1790. A causa dell’invecchiamento della popolazione e del minor numero di nascite si stima che negli ultimi dieci anni la popolazione degli under 55 sia cresciuta dello 0,8% e quella sopra i 55 anni addirittura del 28,8%.

In questo contesto, le migrazioni giocano un ruolo molto importante: negli Usa come in Europa, è infatti tra la popolazione immigrata che si ritrova la percentuale più alta di giovani. L’impatto dell’immigrazione è dunque uno dei fattori chiave che, negli anni, hanno contribuito a rendere la popolazione USA sempre più multietnica. Secondo i calcoli di Brookings, il trend sarà ancora più accentuato nel censimento 2020: mentre diminuiscono i cittadini bianchi, dovrebbe invece aumentare la percentuale di ispanici, asiatici, neri, e le persone di etnia mista. Guardando solo alla popolazione minorenne, per la prima volta ci si aspetta che più della metà siano ragazze e ragazzi non-bianchi, la metà dei quali latini e ispanici.

Far sì che tutte le persone che vivono negli Stati Uniti vengano censite non è mai stata una cosa facile, ma le complicazioni aumentano ancora di più durante l’emergenza coronavirus. Per la prima volta, il censimento del 2020 offrirà ai cittadini la possibilità di rispondere online, per posta o al telefono. Ma per poter stimare alcune fasce della popolazione storicamente sottorappresentate dal Census - come gli immigrati, i poveri e i senzatetto - rimane fondamentale la raccolta dati porta a porta: una metodologia che il coronavirus rischia di far naufragare.

Nell’era Trump, poi, il rischio di sottorappresentazione è particolarmente alto per gli immigrati, preoccupati che le informazioni rilasciate possano essere usate contro di loro. In vista del censimento 2020, l’amministrazione Trump ha inoltre cercato di inserire nel questionario una domanda sulla cittadinanza, un’informazione che avrebbe rischiato di diminuire ulteriormente il tasso di risposta delle minoranze. Il tentativo, bloccato dalla Corte Suprema nel luglio 2019, è stato criticato anche per le implicazioni politiche che avrebbe potuto avere a beneficio dei repubblicani. Una scarsa percentuale di risposte tra la popolazione immigrata avrebbe infatti portato a un ridimensionamento del peso dei collegi elettorali in cui essa è maggiormente concentrata e che, non a caso, votano tradizionalmente a favore dei Democratici. L’impatto sarebbe stato particolarmente forte in alcuni stati, ad esempio la California, in cui oltre il 65% della popolazione è di etnia diversa da quella bianca.

Nonostante il tentativo di Trump sia naufragato, si teme comunque che la proposta abbia lasciato il segno e in molti hanno detto che eviteranno comunque di partecipare al censimento, a scapito dell’accuratezza del Census 2020.

 

Politics on the rocks

Quando, la settimana scorsa, un dirigente della Casa Bianca ha telefonato in Thailandia per chiedere l’invio di materiale sanitario, dall’altro capo del filo è arrivata una risposta che Washington non si aspettava: a Bangkok erano in attesa di una spedizione di quegli stessi materiali, in arrivo proprio dagli Stati Uniti.

L’episodio rende l’idea della confusione che regna in queste ore sui mercati internazionali, mentre i governi cercano di reperire maschere, respiratori e grembiuli per i propri medici e infermieri. Negli Usa, il vicepresidente Mike Pence, a capo della task force istituita per fronteggiare il coronavirus, ha ordinato di sospendere le esportazioni di materiale protettivo americano ad altri paesi colpiti dal virus. La Casa Bianca ha poi deciso di rivedere tutte le spedizioni pianificate dall’Agenzia americana per lo sviluppo internazionale (USAID) nelle prossime settimane.

E mentre in Europa, dopo i blocchi delle esportazioni dei primi giorni, i paesi dell’UE collaborano per coordinare la distribuzione del materiale sanitario nelle zone più in difficoltà, Washington si muove all’estero con meno inibizioni: è di martedì la notizia che un aereo cinese carico di mascherine destinate alla Francia ha cambiato destinazione subito dopo il decollo, dirottato verso gli States da un’offerta in denaro superiore al prezzo che i cinesi avevano concordato con Parigi.

Nel momento in cui la gravità dell’emergenza sanitaria negli USA raggiunge livelli di massima allerta e molti negli ospedali rischiano di restare senza protezioni, gli Stati Uniti di Donald Trump si scoprono di nuovo dipendenti da Pechino. Lo scorso weekend è atterrata a New York una spedizione di materiale sanitario da Shanghai, il primo di 22 voli organizzati dalla Casa Bianca. Secondo le autorità, se anche un solo di quei voli non dovesse atterrare negli Stati Uniti, gli ospedali potrebbero restare senza mascherine. Per la salute dei suoi cittadini, il presidente è stato costretto ad abbassare i toni nei confronti dell’avversario di sempre. L’obbiettivo è resistere alla tempesta che sta per abbattersi sui pronto soccorsi d’America.

 

Per saperne di più

The Most Important Number for Trump’s Reelection Chances

Annie Lowrey, The Atlantic

Who Are the Voters Behind Trump’s Higher Approval Rating?

Trip Gabriel and Lisa Lerer, The New York Times

 

What’s next

- 25 giorni alle primarie in Ohio (28 aprile 2020)

- 60 giorni alle primarie in 10 stati e Washington D.C. (2 giugno 2020)

- 81 giorni alle primarie in New York e Kentucky (23 giugno 2020)

- 136 giorni alla Convention democratica (17 agosto 2020)

- 214 giorni alle elezioni (3 novembre 2020)

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AUTORI

Paolo Magri
ISPI Executive Vice President and Director
Alessia De Luca
ISPI Advisor for Online Publications
ISPI Research Assistant

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