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#USA2020

Weekly Focus USA2020: Duello a distanza

Paolo Magri
|
Alessia De Luca
|
16 ottobre 2020

Il presidente e lo sfidante in due town hall a migliaia di chilometri di distanza sembrano lo specchio di un paese diviso, che parla ma non dialoga e che non ascolta l’altro. E la giornalista che intervista Trump è l’unica star della serata.

 

What’s up?

Duello a distanza per Donald Trump e Joe Biden che ieri sera, invece del secondo dibattito presidenziale annullato dopo la positività del presidente a coronavirus, hanno partecipato a due eventi separati, ma trasmessi in contemporanea, per rispondere alle domande degli elettori. Il presidente americano è intervenuto dagli studi di Nbc a Miami, lo sfidante nella sede di Abc a Filadelfia. Due spettacoli molto differenti, per argomenti e toni dei due protagonisti: la rappresentazione plastica di un paese diviso a metà, in cui le parti parlano ma non dialogano, e che – soprattutto – non si ascoltano l’un l’altra. Se Trump che ha rifiutato di sconfessare la teoria complottista Qanon e si è detto scettico sull'uso della mascherina, è stato messo sulla graticola da Savannah Guthrie, anchorwoman della Nbc, già diventata la nuova eroina del popolo dem, Biden è apparso più a suo agio davanti a George Stephanopoulos e si è impegnato a prendere posizione prima del voto sulla possibilità di aumentare il numero dei giudici della Corte Suprema. Memorabile l’affondo di Guthrie che, quando Trump si difendeva dall’aver ritwittato fake news spiegando che “ritwittare non significa condividere”, sbotta: “Ma lei è il presidente, non lo zio scemo che twitta a caso”.

Se secondo i sondaggi ha vinto, ai punti, Biden è difficile che questo anomalo confronto possa spostare di molto l’orientamento dell’elettorato: ora, bisognerà aspettare il 22 per il prossimo e ultimo faccia a faccia tra i due candidati.

Intanto, i nuovi casi di coronavirus negli Usa sono tornati ai livelli di agosto: 63mila in 24 ore. Numeri in crescita in 44 Stati americani, in particolare quelli del Midwest, considerati cruciali in vista del voto, ma anche in Arizona, Kansas e Colorado. In totale, gli Stati Uniti hanno superato gli otto milioni di contagi e le 218mila vittime. E non aiuta lo stallo nelle trattative tra la Casa Bianca e i dem al congresso per un nuovo pacchetto di stimoli che sostenga l’economia. Lo ha detto chiaramente il segretario al Tesoro, Steven Mnuchin, secondo cui è difficile che si riesca a raggiungere un accordo prima delle elezioni. Intanto la disoccupazione torna a salire e uno studio della Columbia University dimostra che da maggio ad oggi sono oltre otto milioni le persone negli Usa scivolate nella povertà.

E mentre Joe Biden continua a risultare negativo ai test per il covid, e la candidata vice Kamala Harris sospende la campagna dal vivo dopo aver viaggiato con due assistenti risultati positivi al coronavirus, Donald Trump riprende tour e bagni di folla, dalla Florida alla Pennsylvania, all’Iowa. Da qui lancia le sue accuse contro lo sfidante per un presunto incontro con un dirigente della società ucraina Burisma, che gli avrebbe organizzato suo figlio Hunter. La vicenda è stata riportata da un articolo del New York Post ma sarebbe basato su fonti poco affidabili: per questo Twitter e Facebook ne hanno bloccato la circolazione sulle loro piattaforme, bloccando temporaneamente l’account della campagna di Trump, che lo aveva condiviso. E il presidente e i Repubblicani gridano alla censura.

Quella che si è appena conclusa è stata anche la settimana dell’Audizione di Amy Coney Barrett al Senato in vista della sua nomina alla Corte Suprema. La conferma appare quasi una formalità, dato che i Repubblicani hanno la maggioranza alla Camera alta, e anche per questo, l’opposizione sfrutta l’occasione per avvantaggiarsene politicamente: Barrett – conservatrice e cattolica di destra, che si è presentata in aula con i suoi sette figli – è additata dai dem come la giudice che rimuoverà diritti e conquiste importanti come la legalizzazione dell’aborto e l’Affordable Care Act, il cosiddetto “Obamacare” che amplia la copertura sanitaria a milioni di americani. Inoltre Donald Trump ha detto più volte che senz’altro, a suo parere, le elezioni di novembre sarà contestata, e che conta sulla Corte Suprema per dare “l’ultima parola” sui risultati. 

 

Il punto di Ipsos

Il commento di Nando Pagnoncelli, presidente Ipsos Italia

Il sondaggio di questa settimana fa registrare una ripresa del consenso per Trump che, tuttavia, continua ad essere minoritario nel Paese. Le ragioni del miglioramento delle valutazioni per l’incumbent sono da attribuire ad un aumento della preoccupazione per l’economia e l’occupazione (+4% rispetto alla settimana precedente) e ad una significativa diminuzione della differenza tra i critici e coloro che apprezzano la gestione dell’emergenza sanitaria da parte del presidente: i giudizi negativi si attestano al 53% (dal 57% della scorsa settimana), mentre quelli positivi salgono dal 38% al 41%, portando il divario a 12 punti dai precedenti 17.

Anche il giudizio complessivo sull’operato di Trump fa segnare una riduzione del divario: i detrattori prevalgono di 10 punti, contro i 12 di sette giorni fa. Gli orientamenti di voto vedono sempre in vantaggio Biden: 48% a 39% tra gli elettori registrati e 51% a 41% tra i likely voters. E negli swing States il vantaggio di Biden si riduce di 2 punti in Florida, ma aumenta di 2 punti in Pennsylvania e in Arizona e rimane sostanzialmente stabile negli altri tre Stati.

 

I temi caldi

A meno di tre settimane dal voto, giornali e opinionisti sono concentrati sui possibili scenari davanti ai quali ci troveremo la mattina del 4 novembre. Scenari che si intrecciano con le possibili date di fine (o quasi) spoglio di ciascuno stato, ognuna diversa: mentre in alcuni si inizia a contare i voti che arrivano già settimane prima del voto, altri aspettano fino al giorno delle elezioni e accettano i voti postali che arrivano anche dopo il 3 novembre. È probabile dunque che si debbano aspettare giorni per sapere chi sarà il prossimo presidente degli Stati Uniti; ore di attesa preziose nelle quali crescerà l'inquietudine degli elettori e dei candidati. Cerchiamo quindi di prepararci al meglio e di fare un po’ di chiarezza. 

Da tempo Biden è il favorito di queste elezioni; secondo il popolare sondaggista Nate Silver, di FiveThirtyEight, la probabilità che Trump raggiunga i 270 voti è solo del 13%. Non solo, Biden è il favorito anche se si considerassero solo i voti scrutinati durante la notte elettorale. Fino a poco tempo fa vi avevamo parlato del cosiddetto “miraggio rosso”, le previsioni di alcuni esperti secondo le quali la cartina sarebbe stata dipinta di rosso repubblicano il 3 novembre, solo per poi lentamente colorarsi di blu, con il conteggio dei voti postali. Oggi, però, Biden è in testa nella maggior parte degli stati in bilico che dovrebbero “chiamare” un vincitore per primi (e non solo). Gli stati della cosiddetta “Rust Belt”, che consegnarono la vittoria a Trump nel 2016 – Michigan, Wisconsin e Pennsylvania, dove quattro anni fa il vantaggio di Hillary Clinton era maggiore di quello di Biden oggi ma perse comunque inaspettatamente – hanno invece annunciato che avranno bisogno di più giorni per contare tutti i voti e che quindi molto probabilmente non dichiareranno un vincitore la notte del 3 novembre.

Secondo Politico, la sera delle elezioni Biden porterà a casa almeno 226 voti, contando anche i voti degli stati in bilico Minnesota e New Hampshire dove i sondaggi lo danno molto in vantaggio. A questi si potrebbe aggiungere il voto di altri stati come la Florida e l’Arizona che iniziano a contare i voti postali già molte settimane prima del voto e che quindi potrebbero avere finito gran parte del conteggio già la notte del 3 novembre. Se alla “base” di 226 voti Biden riuscisse ad aggiungere i 29 della Florida, i 15 del North Carolina, gli 11 dell’Arizona allora potrebbe cantar vittoria la sera stessa. Il voto della Florida – terzo stato per numero di grandi elettori insieme a New York (29) – è dunque essenziale per Biden: sommando i suoi voti ai 226 porterebbe l’ex vice a -15 voti dalla maggioranza. Inutile dire, come abbiamo già detto in precedenza, che serve un vantaggio relativamente netto per evitare qualsiasi contestazione, uno scenario difficile in questo stato in bilico. In Florida negli ultimi giorni il distacco a favore dello sfidante blu è aumentato e non a caso Trump ha scelto proprio il Sunshine State per il suo primo comizio da quando è risultato positivo al covid. 

Le opzioni a disposizione di Biden per raggiungere 270 voti non finiscono qui: anche se più improbabile, Biden potrebbe raccogliere ancora più voti se dovesse vincere anche in Iowa e Ohio, i cui risultati si potrebbero sapere qualche giorno dopo il 3 novembre. In quest’ultimo infatti – da sempre uno stato in bilico ma dove Trump ha stravinto quattro anni fa con il più alto margine di preferenze nello stato dai tempi di Bush senior – Biden ha fatto tappa questa settimana, nel tentativo di riconquistare la classe operaia bianca con un piano economico che insegue la retorica di America First. Ancora più notevole, sarebbe lo scenario in cui l’ex vicepresidente riuscisse a ottenere anche i voti di Texas e Georgia, contando sul voto e una maggiore affluenza dei latini nel primo e su un cambio di preferenze a suo favore dei suburbs di Atlanta nel secondo. Due stati che sono roccaforti storiche dei repubblicani ma che quest'anno, complice i cambiamenti demografici, potrebbero rivelarsi inaspettati campi di battaglia.

Passiamo quindi ai possibili scenari di una vittoria Trump. Il presidente è in forte svantaggio nei sondaggi, di circa il 10%. Anche se molti sondaggisti hanno corretto i loro sistemi di previsione per evitare gli errori del 2016, per esempio tenendo maggiormente conto del livello di istruzione degli intervistati, molti si trattengono dal dare per certo qualsiasi risultato, citando le incertezze che ancora rimangono e sono impossibili da eliminare completamente. E anche se il vantaggio di Biden sembra più stabile di quello di Clinton di quattro anni fa e anche più solido per via del minor numero di elettori indecisi che possono far oscillare l’ago della bilancia il giorno delle elezioni, non si può ancora scartare definitivamente lo scenario di una presidenza Trump 2.0. A oggi, sembra difficile che Trump possa cantare vittoria la sera stessa delle elezioni. Al momento non sembra infatti che il presidente sia in grado di vincere negli stati a maggioranza democratica che avevano votato Clinton quattro anni fa e, secondo i calcoli di Politico, anche se dovesse vincere in tutti gli stati dove aveva vinto nel 2016 dovrebbe comunque aspettare che vengano contate le schede elettorali dei tre stati della “Rust Belt” (Pennsylvania, Michigan e Wisconsin) per arrivare a 270 voti. Non è tutto: tale scenario dà per scontato che Trump ottenga i voti di alcuni stati che sono comunque considerati in bilico. Come abbiamo scritto sopra, non è detto che il presidente rinnovi la vittoria in Arizona e Florida e anche il suo vantaggio in North Carolina, Ohio, Georgia e Texas appare traballante.

Anche i sondaggi per Camera e Senato sembrano non giocare a favore dell’Incumbent: per FiveThirtyEight, è molto probabile che i democratici ottengano la maggioranza alla Camera e, anche se con qualche difficoltà in più, è possibile vincano anche al Senato. Se davvero ai democratici riuscisse il colpo di eleggere il presidente e ottenere la maggioranza dei seggi sia alla Camera sia al Senato, per Joe Biden si presenterebbe uno scenario ideale. Lo stesso scenario con cui nel 2008 era iniziato il primo mandato di Barack Obama, che aveva potuto far passare leggi rivoluzionarie come la Dodd-Frank e l’Affordable Care Act; e la stessa situazione in cui si è trovato Trump nel 2017 ma, secondo alcuni senza riuscire a capitalizzarla fino in fondo.

 

Il personaggio

È passato da “Mayor Pete” a “Slayer Pete”, “Pete lo sterminatore”. Nelle ultime settimane, Pete Buttigieg, ex candidato dem alle primarie, è diventato uno dei volti più noti della campagna democratica sui media americani. A fare notizia sono state soprattutto le sue recenti interviste su Fox News, canale di riferimento per la grande maggioranza dell’elettorato repubblicano, dove Buttigieg è intervenuto a gamba tesa nel dibattito pre-elettorale. A una domanda sulle differenze tra le politiche di Joe Biden e Kamala Harris, Buttigieg ha risposto: “Esiste un gioco di società che consiste nel trovare le differenze tra candidato presidente e vice. Se vogliamo giocare a questo gioco possiamo chiederci perché un cristiano evangelico come Mike Pence voglia essere sul ticket di un presidente sorpreso con un’attrice porno”.

Pete Buttigieg nasce nel gennaio 1982 a South Bend, Indiana. Suo padre è un professore di letteratura di origini maltesi, insegnante all’università della cittadina del Midwest. Studente promettente, Buttigieg si laurea in Storia e Letteratura a Harvard e si specializza in Scienze politiche con una borsa di studio a Oxford, nel Regno Unito. Nel frattempo si avvicina alla politica, e nel 2004 lavora alla campagna presidenziale di John Kerry, sfidante del presidente uscente (e poi riconfermato) George W. Bush. Per farlo, declina un’altra offerta di lavoro, quella di unirsi al team che lavora all’elezione al Senato dell’Illinois di un giovane candidato democratico afroamericano: Barack Obama. Dopo la laurea, lavora per circa tre anni (2007-2010) per la società di consulenza McKinsey, occupandosi di energia, logistica e sviluppo economico.

Nel 2011, si lancia nella politica attiva candidandosi a sindaco della sua città natale. Viene eletto e, a 29 anni, è il più giovane sindaco di una città americana di più di 100.000 abitanti. Il margine di vittoria per Buttigieg è larghissimo (74%) ma l’affluenza, come accade spesso per gli appuntamenti elettorali statunitensi e specialmente a livello locale, è molto bassa: votano appena il 20% degli aventi diritto. Non è solo la scarsa affluenza alle elezioni municipali a rendere South Bend una città rappresentativa. Per molti aspetti, essa esemplifica la storia di declino economico e demografico che accomuna molte città del Midwest: dipendente da una grande azienda, la fabbrica di auto Studebaker, quando questa chiuse nel 1963 provocò, nei 50 anni successivi, un calo di oltre 30.000 residenti sul totale di una popolazione di poco superiore ai 100.000. Nel 2010, South Bend era considerata una delle molte “città morenti” degli USA dell’era della globalizzazione e dell’automazione.

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Politics on the rocks

Quando nessuna promessa o incitazione sembra convincere, non resta che chiedere per favore. Così, al suo comizio in Pennsylvania martedì, seconda tappa dopo lo stop causato dal coronavirus, Donald Trump si è rivolto alle elettrici: “Potete farmi un favore? Donne dei suburbs, potreste per favore apprezzarmi?”.

Nel suo comizio Trump ha sostenuto di aver garantito la sicurezza dei suburbs, quartieri residenziali e tradizionalmente agiati alle periferie delle grandi città, lottando contro la criminalità e l’arrivo di famiglie a basso reddito. Davanti alla folla, il presidente si è però meravigliato dello scarso apprezzamento ricevuto dalle residenti di quelle aree: “Non vi rendete conto che ho salvato i vostri dannati quartieri?” ha chiesto. Negli ultimi decenni, in realtà, i suburbs sono diventati qualcosa di molto diverso da ciò che descrive Trump, sempre più multietnici – come ricordato anche da Joe Biden nel primo dibattito tv – ma anche più poveri. Ora, con la demografia sembra cambiare anche il loro voto: mentre nel 2016 il voto dei suburbs si era più o meno diviso a metà tra i due sfidanti (47% Trump, 45% Clinton), alle midterm del 2018 i democratici avevano raggiunto il 52% (contro il 45% a favore dei repubblicani). A questa virata in direzione dem si aggiunge per Trump il problema del voto delle donne, una categoria sulla quale il presidente non può contare: negli ultimi anni infatti l’elettorato del Grand Old Party è diventato sempre più un partito per uomini. Il voto femminile, contestualmente, si è spostato verso i democratici: oggi solo il 39% delle donne americane dice di voler votare per Trump, rispetto al 55% che voterebbe per Biden. Se tutto l’elettorato è mobile, insomma, quello femminile si è spostato in massa e in tempi più rapidi. Già nelle elezioni di metà mandato del 2018 le donne avevano dimostrato di voler contare sempre di più, sia come candidate che come elettrici. E non a caso in quella tornata si superarono diversi record sia sul fronte delle candidature che delle elette.

L’entusiasmo del presidente per il suo rientro in campo aveva già fatto notizia il giorno prima della fermata in Pennsylvania e del suo invito alle suburban women: lunedì in Florida, dopo essersi dichiarato immune dal coronavirus, Trump aveva detto di sentirsi talmente bene da voler “baciare tutto il pubblico”. Lo show è poi continuato mercoledì in Iowa, dove si è tolto la cravatta, lanciandola alla folla, come sempre senza distanziamento sociale e con pochissime mascherine.

La comunicazione scomposta e aggressiva del presidente, che sente gli elettori sfuggirgli di mano, non si è fermata ai suoi comizi. Mercoledì, Trump ha twittato un meme in cui un fotomontaggio mostra Biden seduto su una sedie a rotelle e circondato dagli anziani di una casa di riposo, con la didascalia: “Biden for Resident” (eliminando la “p” di presidente per ottenere un gioco di parole con gli ospiti delle strutture per anziani). Un messaggio sorprendente se si pensa che chiama in causa proprio quella fetta di elettorato che l’aveva aiutato a vincere quattro anni fa (53% degli elettori over-65 votarono per lui – la più alta percentuale tra tutte le fasce di età – contro il 44% che votò Clinton). Oggi però il presidente sembra in difficoltà anche rispetto a quel gruppo demografico, sul quale i democratici hanno invece ridotto lo svantaggio: il 49% degli over-65 voterebbe per Trump, il 45% per Biden. I voti degli anziani sono determinanti specialmente in alcuni stati in bilico, come la Florida, in cui quella fascia d’età rappresenta una fetta consistente dell’elettorato. Un boomerang per la comunicazione politica del presidente?

 

Per saperne di più

Barrett emerges as the anti-Kavanaugh

Burgess Everett e John Bresnahan, Politico

The Third Coronavirus Surge Has Arrived

The Covid Tracking Project, The Atlantic

 

What’s next

- 6 giorni al dibattito tra Donald Trump e Joe Biden (22 ottobre 2020)

- 18 giorni alle elezioni (3 novembre 2020)

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Alessia De Luca
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