Nuovo record di vittime per coronavirus negli Stati Uniti, alle prese con la peggior crisi economica dalla Grande Depressione. Ma il presidente Trump propone un piano di riapertura a tappe e dice: "torneremo più forti di prima".
What’s up?
Donald Trump annuncia il piano in tre fasi per riaprire l’America e rilanciare l’economia, ma poche ore dopo gli Stati Uniti registrano il dato più nero dall’inizio dell’emergenza: 4.591 morti in 24 ore. Complessivamente sono 33.286 i decessi negli States, mentre il numero dei contagi supera le 671mila unità. “Il prossimo fronte nella nostra guerra è quello di aprire nuovamente l'America” ha detto Trump nell’ormai consueto briefing dalla sala stampa della Casa Bianca in cui ha presentato il piano Opening Up America Again, riaprire l'America, che fa eco all’ormai noto slogan elettorale utilizzato da Trump nel 2016: Make America Great Again. Il presidente ha invitato tutti a “muoversi molto, molto rapidamente” sottolineando però che la decisione di come e quando allentare le restrizioni sanitarie spetterà ai singoli governatori: una totale inversione di marcia rispetto alle dichiarazioni di pochi giorni prima in cui, dallo stesso pulpito, il presidente rivendicava “autorità totale” sulla strategia da perseguire. Apertura a tappe, quindi, e un percorso in stile patchwork, calibrato sulle esigenze e su alcuni criteri fondamentali da centrare: trend in calo dei contagi, protocolli sulla distanza, divieto di assembramenti e allentamento progressivo delle misure di contenimento. Lo scontro finale con i governatori, che nelle ultime due settimane ha infiammato il dibattito pubblico americano, almeno per ora sembra rimandato.
Le priorità ora sono altre: i nuovi dati del dipartimento del lavoro parlano chiaro. In un mese appena, oltre 22 milioni di persone hanno fatto domanda per i sussidi di disoccupazione. Circa lo stesso numero dei posti di lavoro creati negli ultimi nove anni. Andati in fumo. Numeri che arrivano all'indomani di altre cifre poco incoraggianti per l'economia, con la produzione industriale che a marzo è crollata del 5,4%, registrando il peggior calo mensile dal 1946 ad oggi, e le vendite al dettaglio in flessione dell'8,7%. Nel suo World Economic Outlook, pubblicato due giorni fa, il Fondo Monetario Internazionale ha stimato che nel 2020 gli Stati Uniti lasceranno sul terreno il 5,9% del loro Pil. Ombre minacciose che si allungano sul sogno americano. “Ricostruiremo l'economia e sarà più grande e forte che mai” ha risposto Trump, ben sapendo che è sulla ripresa economica, oltre che sulla gestione dell’epidemia, che si gioca la sua rielezione. Ma il nervosismo serpeggia anche alla Casa Bianca, e a sorpresa il presidente – mentre il mondo ha ancora davanti agli occhi le drammatiche immagini delle fosse comuni a Hart Island – annuncia il congelamento dei finanziamenti all’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms). Trump critica il fatto che, nonostante gli Stati Uniti siano di gran lunga il primo contribuente finanziario dell’Oms, l’organizzazione avrebbe sottovalutato l’emergenza, seguendo direttive imposte da Pechino. Il presidente frena anche sulla proposta avanzata da economisti e ong, di emettere nuovi Diritti speciali di prelievo, uno strumento in dotazione dell'Fmi che offrirebbe maggiore liquidità ai paesi in difficoltà economica. Con buona pace del multilateralismo, secondo quanto riferiscono alcuni funzionari del Fondo a Reuters, l'intento preciso sarebbe quello di impedire a paesi come Iran e Cina l’accesso a liquidità di emergenza senza condizioni.
In piena emergenza e a sei mesi da un voto reso imprevedibile dalla pandemia e dal peggior crollo economico dai tempi della Grande Depressione, Donald Trump ha trovato il modo di rientrare in rotta di collisione anche con Anthony Fauci, l’epidemiologo scelto dall’amministrazione per la task force contro il Covid-19 che in un’intervista aveva detto che se la decisione di imporre il lockdown fosse stata presa prima “non ci troveremmo al punto in cui siamo adesso”. Contro di lui, il presidente ha ritwittato l’hashtag di una ex candidata al congresso #timetofirefauci (tempo di licenziare Fauci). Un gesto che ha alimentato i complottisti e le proteste dei conservatori contro il lockdown: manifestazioni nei giorni scorsi sono avvenute in Michigan, Ohio e Kentucky. Alcuni tra gli stati più colpiti dall’epidemia.
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Il commento di Giuseppe De Bellis, direttore Sky Tg24
Una battaglia durata mesi e mesi, fatta da una ventina di candidati, poi di primarie con sette-otto contendenti, poi diventati quattro, poi due. Ecco, una battaglia così alla fine si è risolta in meno di una settimana: Joe Biden ha incassato prima la rinuncia alla corsa e poi l’endorsement di Bernie Sanders, successivamente l’appoggio con relativa fiche sulla candidatura alla vicepresidenza di Elizabeth Warren e via, fatto.
Dal campo democratico
Con soli 937 delegati contro 1.293 di Biden, Sanders ha annunciato la sospensione della corsa alla nomination: il senatore del Vermont e esponente di spicco dell’ala più liberal del Partito, ha dichiarato che non aveva più senso proseguire con la campagna, che rischiava di “interferire con il lavoro importante richiesto da tutti noi in questo momento difficile” e ha manifestato il suo appoggio per Biden, ormai unico sfidante in pectore di Trump alle elezioni di novembre. Ma quello di Sanders, unico competitor di peso contro Biden nelle primarie Dem, non era forse l’endorsement più atteso della settimana. Con un video-messaggio diventato subito virale sui social, anche l’ex presidente Barack Obama ha annunciato il proprio sostegno all’ex vicepresidente nella corsa alla Casa Bianca. Finora non si era sbilanciato per non influenzare il voto delle primarie, ma ora che il partito ha trovato il suo volto per ‘Usa2020’, Obama ha messo sul piatto della bilancia di Biden tutto il suo capitale politico.
E nel farlo, non ha usato mezzi termini: il messaggio è tanto un appoggio per Biden, quanto una dura critica a Donald Trump. Descrivendo il carattere di Biden e le qualità che lo renderebbero “la persona più adatta” a ricoprire l’incarico nello Studio Ovale, Obama ha sottolineato che in momenti di grande crisi, serve una leadership guidata da “conoscenza ed esperienza, onestà e umiltà, empatia e garbo”. Le elezioni di novembre dovranno essere un momento di “risveglio” – ha poi aggiunto - contro “una politica che è stata troppo spesso caratterizzata da corruzione, incuranza, egoismo, disinformazione, ignoranza e pura e semplice cattiveria”. Impossibile non cogliere il riferimento.
Pur da moderato, Obama ha poi rivolto un appello all’elettorato di Sanders lasciando intendere che il ritiro del loro candidato di riferimento non significherà che le loro battaglie saranno dimenticate, perché Biden “sarà il candidato con la piattaforma più progressista nella storia americana recente”. Un appello a riunirsi sotto una bandiera comune per sconfiggere Trump a novembre e inaugurare la grande stagione di cambiamenti resi ancora più necessari dalla crisi economica e sociale determinata dall’epidemia.
E non è finita. Oltre a quello di Sanders, Obama e persino della ex first lady Michelle (il cui indice di gradimento presso gli americani è ancora altissimo) Biden ha raccolto anche quello di Elisabeth Warren, altra candidata dell’area progressista. L’immagine plastica del ricompattamento dei un partito democratico apparso, fino a poche settimane fa diviso e allo sbando, l’ha data invece un altro ex candidato alla corsa, Pete Buttigieg, che sul suo profilo Twitter ha pubblicato l’immagine di tutti gli ex contendenti alla nomination “riuniti” ora a sostegno del senatore del Delaware nella sua sfida contro il presidente Trump.
Il punto di Ipsos
Il commento di Nando Pagnoncelli, presidente Ipsos Italia
A poco più di sei mesi dalle presidenziali Joe Biden prevale per 42% a 38% su Donald Trump nelle intenzioni di voto degli elettori statunitensi. Il dato come sappiamo non tiene conto del diverso peso dei grandi elettori nei diversi stati: basti pensare che quattro anni fa nonostante la vittoria di Trump, la sua avversaria Hillary Clinton ottenne più voti. La partita pertanto sembra aperta.
Tra i 5 temi considerati più importanti nella scelta di voto, lo sfidante prevale nettamente sul presidente in carica quanto a capacità di ripristinare la fiducia nel governo americano e sul tema della sanità. Prevale di misura riguardo la questione dell’immigrazione e alla solidità di un programma che consenta al Paese di riprendersi dall’impatto del coronavirus, oggi considerato il tema prioritario nella scelta degli elettori. Viceversa Trump prevale su Biden sul suo punto di forza tradizionale costituito dai temi economici e occupazionali.
Il personaggio
È passato più di un mese da quando Joe Biden ha dichiarato di volere al suo fianco una vicepresidente donna. Tuttora, però, gli americani sono in attesa di sapere chi comporrà con lui il ticket presidenziale per le elezioni di novembre. Oltre ai volti noti di Amy Klobuchar, Kamala Harris, Elisabeth Warren, in questi giorni c’è un nome che è sulla bocca di tutti: è quello di Gretchen Whitmer, governatrice democratica del Michigan.
Classe 1971, Whitmer aveva solo trent'anni quando è stata eletta rappresentante della Camera del Michigan, dove è rimasta fino al 2006 quando è diventata membro del Senato locale. Nel 2018, lo swing state che aveva votato a favore di Trump nelle elezioni presidenziali solo due anni prima, l’ha eletta governatrice. Da quest’anno, però, si sta facendo conoscere anche a livello nazionale. A inizio febbraio 2020, è stata scelta come voce dei Dem in risposta al discorso di Trump sullo stato dell’Unione: un’occasione che in genere viene riservata agli astri nascenti del partito. Nelle ultime settimane poi, Whitmer è entrata nell’orbita dei media per essere stata protagonista di uno scontro acceso con il presidente: la governatrice ha accusato l’amministrazione di rallentare, se non addirittura bloccare, l’arrivo dell’equipaggiamento medico necessario al personale sanitario del Michigan per far fronte all’emergenza coronavirus. Trump, che si riferisce a lei come alla “donna in Michigan”, definendola incapace di fronteggiare l’emergenza, e invitando il suo vicepresidente Mike Pence a non perdere tempo con chi non apprezza gli sforzi dell’amministrazione.
Dal canto suo, Whitmer è stata tra i primi governatori a ordinare la chiusura delle scuole e vietare gli eventi con oltre 250 persone per ridurre la diffusione del Covid-19. La decisione di prorogare la chiusura di scuole e attività economiche “non essenziali” fino al 30 aprile, però, ha scatenato le ire dell’opposizione repubblicana. Mercoledì 15 aprile, in una “operazione ingorgo” organizzata da una coalizione di conservatori, migliaia di cittadini hanno bloccato con le loro automobili le strade della capitale Lansing in segno di protesta. Fuori dalla sede del governo locale, i manifestanti urlavano ‘lock her up’ (Rinchiudetela), riciclando contro di lei lo slogan usato quattro anni fa contro Hillary Clinton. La “donna in Michigan” si aggiunge così alla lista di governatori - Andrew Cuomo in testa - che si sono scontrati direttamente con l’inquilino della Casa Bianca.
“Sono fortunata che il mio nome sia entrato in una lista prestigiosa assieme a quello di altre donne che Biden starebbe considerando per la vicepresidenza – ha risposto lei intervistata dal Today Show – sono sicura che chiunque egli scelga, avremo un ticket forte e convincente, per superare le sfide che il paese dovrà affrontare”.
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I temi caldi
Se il modo migliore di contenere la diffusione del virus è quello di limitare il più possibile i contatti, aspettare in fila per ore per recarsi a votare non è sicuramente consigliabile. Eppure, lo scorso 7 aprile nello stato del Wisconsin migliaia di cittadini hanno dovuto attendere pazientemente il loro turno per recarsi nei pochi seggi aperti alle primarie e eleggere uno dei giudici della Corte Suprema statale. Come prevedibile, non sono mancate le polemiche. Anche perché il giorno prima del voto il governatore democratico Tony Evers aveva emesso un ordine esecutivo per posticipare le elezioni a giugno, ma la decisione è stata rovesciata dalla Corte Suprema locale, a maggioranza repubblicana, che ha confermato l’appuntamento alle urne.
“Gli elettori del Wisconsin si sono trovati davanti a una scelta terribile tra il voto e la propria salute. Questo non deve ricapitare” sottolinea il New York Times: lo scontro sul voto in Wisconsin ha di fatto acceso il dibattito sulle elezioni di novembre. Nodo del contendere è l’ampliamento dell’opzione del voto via posta che – in caso la pandemia non sia stata ancora debellata - agevolerebbe gli elettori, limitando i contatti sociali ai seggi. Negli Stati Uniti, allo stato attuale, solo 5 stati su 50 recapitano automaticamente la scheda elettorale a casa. In altri 28 stati gli elettori possono chiedere di votare per posta senza dover dare nessuna giustificazione mentre in 17 serve un motivo valido per non recarsi al seggio.
Sebbene i repubblicani siano storicamente e in larga parte contrari al voto per posta, negli ultimi anni qualcosa sta cominciando a cambiare. Ma non per il presidente e suoi collaboratori per cui il voto per posta è “un attentato alla democrazia” perché favorirebbe i brogli. Dall’altro lato, i democratici sostengono che dietro la posizione repubblicana si celi in verità un tentativo di limitare il voto delle minoranze, che rappresentano una gran parte della base elettorale dei democratici e che, secondo questi ultimi, sono svantaggiati dalla mancanza dell’opzione di un voto per posta.
Come fa notare The Atlantic, tuttavia, nei sei principali swing states del 2020 – Florida, North Carolina, Arizona, Michigan, Pennsylvania, Wisconsin – stati chiave per la vittoria del prossimo inquilino della Casa Bianca, si può già votare per posta senza giustificazione. E dei 17 stati dove si può votare via posta solo con una giustificazione, solo il New Hampshire e il Texas potrebbero influenzare significativamente l’elezione presidenziale.
Eppure le sfide ci sono, soprattutto dal punto di vista organizzativo e logistico. Meglio preparare tutto, quindi, considerato che per rendere il voto postale un’opzione percorribile in tempo per novembre, il Congresso dovrà stanziare almeno 4 miliardi di dollari. “Certo, il prezzo è alto – commenta il NYT – ma per salvare la democrazia americana è un vero affare”.
In numeri
Più volte si è parlato della pandemia da Covid-19 come di una grande livella, nel senso che il virus non discrimina e colpisce tutti allo stesso modo. In teoria. In pratica e in base ai pochi dati disponibili, negli Stati Uniti si registrano forti disparità etniche nel numero di contagi e di vittime, soprattutto a sfavore della popolazione afroamericana. Martedì scorso, The Washington Post ha documentato che le contee a maggioranza afroamericana hanno tre volte il numero di contagi e quasi sei volte il tasso di letalità delle contee dove la maggioranza dei residenti è bianca. Un dato confermato il giorno seguente dall’analisi dell’istituto nazionale per la salute pubblica: il 33% di 580 pazienti positivi al covid è afroamericano nonostante gli afroamericani rappresentino in media solo il 18% del bacino di potenziali pazienti degli ospedali analizzati.
I dati disponibili sono pochi e frammentati, ma le città e gli stati che forniscono dettagli demografici sui malati Covid-19 indicano che la percentuale di afroamericani tra le vittime e i contagi rilevati è sempre maggiore della percentuale di afroamericani nella popolazione. A Chicago, per esempio, gli afroamericani sono il 30% della popolazione ma ben il 48% dei contagiati; a Washington D.C. gli afroamericani sono il 46% della popolazione ma rappresentano il 75% dei decessi da coronavirus. E questo non ha a che vedere con un maggiore livello di test fatti agli afroamericani, anzi, secondo diverse fonti i cittadini afroamericani verrebbero testati in generale meno degli altri.
Non è il virus a discriminare ma alcune disuguaglianze sociali rendono alcune categorie più vulnerabili. In queste settimane di lockdown, alcuni cittadini sono costretti comunque a uscire di casa per andare a lavoro e non tutti hanno una macchina per spostarsi evitando il trasporto pubblico. Inoltre, molti americani non hanno un'assicurazione sanitaria e alcuni di loro hanno malattie pregresse. Tutte problematiche che moltiplicano il rischio di contagio, diminuiscono le chance di sopravvivere al virus e che riguardano in modo sproporzionato i cittadini afroamericani.
Per poter capire il problema fino in fondo e agire di conseguenza servirebbero dati completi coordinati a livello federale. L’amministrazione Trump ne è consapevole e ha detto di voler adoperarsi per pubblicarli “a breve”, anche se due funzionari fanno sapere che la questione non è al momento tra le priorità della Casa Bianca.
Politics on the rocks
Se per gli americani quella che sta per concludersi è stata una settimana da incubo, non è stata una passeggiata neanche per Donald Trump: il Fondo Monetario Internazionale ha stimato per il 2020 un calo del Pil americano del 5,9%, le vendite al dettaglio sono crollate a marzo dell’8,7% e altri 5,2 milioni di americani hanno chiesto il sussidio di disoccupazione (per un totale complessivo di 22 milioni in sole quattro settimane). Il tracollo economico determinato dalla pandemia è così imponente da mettere a rischio la sua rielezione che, fino a qualche settimana fa, era data quasi per scontata.
Il presidente è corso ai ripari: tra le misure di contrasto al coronavirus varate a fine marzo, la Casa Bianca ha incluso il versamento di un assegno di 1.200 dollari a ciascun cittadino con un reddito inferiore ai 75mila dollari, a scalare per chi guadagna di più. La misura aveva fatto scalpore, ma non sono mancate le critiche: l’assegno è un bonus una tantum, e molti lo considerano insufficiente per aiutare le famiglie americane. Il presidente, però, non si è lasciato scoraggiare e ha voluto metterci, se non la faccia, almeno il nome: secondo quanto riportaThe Washington Post, su ogni assegno comparirà infatti la scritta “President Donald J. Trump”. Facendo stampare il proprio nome, il presidente riesce così a bypassare il divieto per l’inquilino della Casa Bianca di firmare pagamenti effettuati dal Tesoro.
Non sono soldi di Trump che andranno gli americani, però fa scena ed è un modo piuttosto esplicito di rivendicare la paternità della misura. Dei circa 150 milioni di americani che beneficeranno del rimborso, 80 milioni non riceveranno l’assegno cartaceo ma direttamente tramite versamento bancario. Altri 70 milioni di cittadini, oltre il 20% della popolazione americana e una larga fetta di quelli a reddito più basso, otterranno comunque il pagamento via posta e leggeranno in calce, per la prima volta nella storia americana, il nome del presidente.
Per saperne di più
Americans are not rallying around Donald Trump during the pandemic
The Economist
The WHO Shouldn’t Be a Plaything for Great Powers
Zeynep Tufekci, The Atlantic
What’s next
- 11 giorni alle primarie in Ohio (28 aprile 2020)
- 46 giorni alle primarie in 10 stati e Washington D.C. (2 giugno 2020)
- 67 giorni alle primarie in New York e Kentucky (23 giugno 2020)
- 122 giorni alla Convention democratica (17-20 agosto 2020)
- 200 giorni alle elezioni (3 novembre 2020)