Weekly Focus USA 2020: allarme disoccupazione
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Weekly Focus n.10

Weekly Focus USA2020: Intervista impossibile

Paolo Magri
|
Alessia De Luca
|
08 maggio 2020

In un'intervista a Fox, Donald Trump parla dei tantissimi lavoratori che hanno perso il loro impiego promettendo “Quei lavori torneranno”, e sulla Cina stempera: "Non penso abbiano diffuso il virus volontariamente".

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What’s up?

Ha sollevato un vero e proprio vespaio l’intervista che Donald Trump ha concesso nei giorni scorsi alla sua emittente preferita Fox News presso il Lincoln Memorial. Quella che doveva essere un’intervista incentrata sulla risposta dell’amministrazione alla pandemia di coronavirus, si è trasformata infatti in un evento elettorale in piena regola, con il presidente che ha promosso la propria candidatura per un secondo mandato. Per ben due ore l’inquilino della Casa Bianca ha promosso il suo operato e quello dei suoi collaboratori e riservato critiche alla stampa per il trattamento ostile a suo parere riservatogli. Più di una volta, all’ombra della statua che ritrae Abramo Lincoln, Trump ha affermato di aver fatto “più di qualunque altro presidente nella storia del paese”.

In sole sette settimane gli americani che hanno richiesto i sussidi per disoccupazione sono stati 33,3 milioni. I dati ufficiali sul mercato del lavoro diffusi oggi confermano le più fosche previsioni per uno dei peggiori crolli di sempre: 20 milioni di posti di lavoro andati in fumo nel mese di aprile e un tasso di disoccupazione al 14,7%. Il dato peggiore mai registrato dai tempi della Grande Depressione e un record scioccante, considerato che a febbraio – appena due mesi fa – la disoccupazione negli Usa era appena al 3,5%, il livello più basso dell’ultimo mezzo secolo.

Intanto nel paese il bilancio dei morti per il coronavirus supera quota 75 mila. Secondo le rilevazioni della Johns Hopkins University, il totale dei contagi negli States è salito a più di un milione e 200mila. E le prossime settimane non si preannunciano più facili: secondo la bozza di un documento del Centre for Disease Control and Prevention, l’agenzia del governo che si occupa di combattere la pandemia, a inizio giugno negli USA si prevedono 3mila morti e 200mila nuovi contagi al giorno. Anche se gli autori hanno sconfessato il rapporto, sottolineando che si tratta solo di una bozza ottenuta e fatta circolare dalla stampa e non ancora definitiva, i dati hanno preoccupato non poco gli americani. Cifre simili ma più basse sono invece contenute nelle proiezioni dell’Università di Washington, la fonte più utilizzata dall’amministrazione Trump, che prevede circa 2mila decessi al giorno.

 

Crescerà, secondo gli epidemiologi, anche il numero delle vittime totali previste al 4 agosto: da poco più di 60mila a quasi 135mila. L’università ha spiegato che l’aggiornamento “riflette l’aumento della mobilità nella maggior parte degli stati USA e l’allentamento della misure di distanziamento sociale in 31 stati entro l’11 maggio” e indica che “la crescita dei contatti tra persone promuoverà la trasmissione del virus”.

Eppure secondo il presidente, “L’America sta vincendo la sua battaglia col virus” e i posti di lavoro persi, “torneranno”. E sul dato che segna un tasso di disoccupazione che negli Usa sfiora il 15%, commenta: “Non è una sorpresa”. Il presidente ha ribadito che è tempo per gli americani di iniziare a riaprire il paese. E infatti, dopo giorni di fughe in aventi, parziali ammissioni e smentite, Donald Trump ha dichiarato che non chiuderà la task force che si occupa a livello federale dell’emergenza sanitaria.

“Pensavo che l’avremmo chiusa a breve, ma non avevo idea di quanto fosse popolare fino a ieri. Ho ricevuto decine di chiamate da persone che rispetto e che mi hanno detto che sarebbe meglio non chiuderla, perché sta facendo un gran lavoro”. Della task force fa parte anche l’immunologo Anthony Fauci, che appena pochi giorni prima aveva contraddetto l’ipotesi di Trump che il coronavirus fosse stato creato in un laboratorio cinese. L’essere entrato in rotta di collisione con il presidente e il suo staff nella guerra di propaganda incrociata tra Washington e Pechino sembra comunque aver indebolito la posizione di Fauci, per molti cittadini statunitensi il punto di riferimento più autorevole sulla pandemia.

Eppure ad aprire le prime pagine di oggi, sulla stampa americana è una questione che nulla ha a che fare con il coronavirus: il dipartimento di Giustizia americano ha deciso di lasciar cadere le accuse contro l'ex consigliere per la sicurezza nazionale Michael Flynn, coinvolto nel caso delle interferenze russe sulle elezioni noto come ‘Russiagate’. Un vero e proprio colpo di scena, considerato anche che Flynn si era dichiarato colpevole di aver mentito all'Fbi a proposito dei cuoi contatti segreti con un diplomatico di Mosca e aveva iniziato a collaborare. Ma negli ultimi mesi i suoi avvocati avevano aumentato la pressione per smontare il processo a suo carico e lo stesso Donald Trump aveva detto di considerare la grazia per il suo ex consigliere. La decisione del Dipartimento di Giustizia è stata definita senza precedenti da diversi analisti e giornalisti. Considerato un personaggio chiave nelle indagini sui rapporti fra Trump e il Cremlino, Flynn era considerato molto vicino all’attuale presidente di cui fu il primo consigliere per la sicurezza nazionale, salvo poi essere allontanato in seguito alle numerose accuse nei suoi confronti.

 

Il punto di Ipsos

Il commento di Nando Pagnoncelli, presidente Ipsos Italia

Nell’ultima settimana si registra una riduzione del 3% di coloro che criticano la gestione dell’emergenza sanitaria da parte del presidente Trump: oggi si attestano al 50% della popolazione contro il 43% che si esprime in termini positivi (+1%). Il divario tra i critici e i sostenitori della gestione dell’emergenza si riduce a 7 punti, dagli 11 della scorsa settimana.

I comportamenti adottati dai cittadini americani per limitare il rischio del contagio - dall’indossare regolarmente le mascherine (54%), al più frequente lavaggio delle mani o all’utilizzo dei disinfettanti (68%), all’evitare assembramenti (66%) e trasposti pubblici (34%) – mostrano differenze importanti tra gli elettori democratici e gli elettori repubblicani: tra i primi, infatti, prevalgono nettamente le misure di prevenzione adottate, basti pensare che il 68% dei democratici indossa la mascherina in pubblico contro il 48% dei repubblicani. È la naturale conseguenza della maggiore preoccupazione diffusa tra i democratici per COVID 19, di cui abbiamo dato conto nelle scorse settimane.

 

I temi caldi

Una storia che invece dopo aver faticato a trovare spazio nei media sta pian piano emergendo nei notiziari e quotidiani è quella relativa a Tara Reade, l’ex collaboratrice al Senato che ha accusato Joe Biden di violenza sessuale. Le accuse al candidato sono state formulate durante un’intervista podcast lo scorso 25 marzo, in cui la Reade ha raccontato di un episodio risalente al 1993 ma che Biden ha negato categoricamente. Nelle ultime due settimane, i giornali americani hanno cercato di ricostruire quel che è o non è successo, ma, come spiega il Washington Post, “per ogni informazione che suggerisce che lei stia dicendo la verità e Biden l’ha aggredita, ce n’è un’altra che suggerisce il contrario”.

Ma Biden non è certo l’unico candidato alle presidenziali 2020 la cui corsa è ostacolata da un’accusa per molestie sessuali. Anche l’inquilino della Casa Bianca ha al suo attivo una lunga lista di accuse, mosse da più di 20 donne nel corso degli anni e, in molti casi, durante la campagna elettorale del 2016. Un mese prima di essere eletto presidente degli Stati Uniti, ha fatto il giro del mondo una registrazione del 2005 in cui Trump, ancora lontano dalla politica, commentava il suo rapporto con le donne con esternazioni estremamente volgari, che il candidato aveva poi tentato di liquidare come “discorsi da spogliatoio”.

Da allora, però, i cittadini americani sono diventati molto più consapevoli del problema degli abusi sessuali e della loro frequenza negli ambienti di lavoro. Un anno dopo l’elezione di Trump, nell’autunno 2017 il mondo di Hollywood è stato travolto da un’ondata di accuse e scandali per violenza sessuale, raccolte sui social attorno all’hashtag #Metoo, che ha portato alle dimissioni e in certi casi a processo diverse figure di spicco dell’industria cinematografica. Il caso più noto è certamente quello del produttore Harvey Weinstein, condannato nel marzo 2020 a 23 anni di reclusione per stupro e violenza sessuale.

Il movimento #Metoo è poi finito al centro del dibattito politico alla fine 2018, durante il processo che ha portato all’elezione di Brett Kavanaugh alla Corte Suprema. Il giudice, proposto da Trump, era infatti stato accusato di violenza sessuale da Christine Blasey Ford, una psicologa che aveva portato la propria testimonianza alla Commissione giustizia del Senato. Dopo una breve indagine tuttavia il senato aveva confermato la nomina di Kavanaugh alla Corte Suprema. La testimonianza portata da Blasey Ford aveva però convinto molti democratici a tentare di opporsi all’elezione di Kavanaugh e unirsi allo slogan del movimento #Metoo: “Believe women”, ovvero prendere sul serio tutte le accuse di violenza sessuale mosse dalle donne.

Dopo aver negato le accuse, Biden è però stato tacciato di ipocrisia dagli oppositori, che gli rimproverano di “credere alle donne” soltanto quando non è lui ad essere coinvolto. Paradossalmente, nell’occhio del ciclone sono così finiti anche molti volti noti del movimento #Metoo, che nei mesi scorsi erano scesi in campo a fianco di Biden per evitare la rielezione di Trump. Ed è alla luce della questione Reade che assume ancora più rilievo il nome della candidata alla vicepresidenza che Biden sceglierà per il ticket verso la Casa Bianca. “Se si trattasse di una donna che, come la senatrice Elizabeth Warren, ha sempre condannato gli abusi sulle donne, si troverà in una posizione difficile e potrebbe essere accusata di ipocrisia” scrive Rebecca Traister su The Cut. Oppure, Biden “potrebbe scegliere una donna che non si è mai distinta come femminista o per posizioni radicali – osserva – sarebbe forse un segnale ancora più inquietante”.

 

In numeri

Tra i fronti che ultimamente preoccupano la Casa Bianca, in relazione alla crisi sanitaria ed economica, uno è sicuramente quello della sicurezza alimentare. Il presidente Donald Trump ha invocato i poteri di guerra del Defense Production Act per ordinare l’apertura dei grandi impianti di macellazione delle carni, che hanno registrato diffusi contagi e conseguenti chiusure, mettendo a rischio l’intera catena di forniture alimentari. Nell’ultima settimana la produzione di carne di manzo è diminuita di un quarto, quella di maiale del 14% e quella di pollame dell’8%. La Casa Banca teme che fino all’80% della capacità produttiva nel comparto sia a rischio di paralisi.

Sempre di queste ultime settimane le foto di Reuters delle lunghe file di auto in coda per ore ai banchi alimentari hanno fatto il giro del mondo. Foto che confermano un quadro preoccupante, emerso questa settimana dai nuovi dati pubblicati da Brookings. Lo studio di aprile replica le domande poste dai sondaggi del Dipartimento dell’Agricoltura USA negli anni passati e confronta le risposte nel tempo, mostrando una fortissima crescita della percentuale di intervistati che oggi si definisce vittima di insicurezza alimentare. A causa delle ricadute economiche causate dal coronavirus, molte famiglie americane si trovano nella drammatica situazione di non potersi permettere cibo a sufficienza.

Dal sondaggio emerge che, ad aprile, il 17,4% delle mamme con figli sotto i 12 anni ha dichiarato che “i bambini in casa non mangiano a sufficienza perché non possiamo permetterci di comprare abbastanza cibo”. Due anni fa, la percentuale era del 3,1%. Ad affermare che, dall’inizio della pandemia, “il cibo che compriamo non dura abbastanza e non abbiamo soldi per comprarne altro” sono invece quattro mamme su dieci (40,9%, contro il 15,1% del 2018). Un fenomeno di gravità inaudita nella storia recente degli USA, che nemmeno durante la crisi del 2008 aveva raggiunto questi livelli. Il fenomeno non riguarda però soltanto i nuclei familiari con i figli più piccoli: a percepire un maggior rischio di “insicurezza alimentare” è infatti il 22,7% delle famiglie americane; un dato che sale fino al 34,5% tra quelle con figli minorenni. Per entrambi i casi, colpisce particolarmente l’aumento della percezione di insicurezza alimentare rispetto a due anni fa.

Per aiutare le famiglie più vulnerabili a procurarsi cibo a sufficienza, negli Stati Uniti esiste il Supplemental Nutrition Assistance Program (SNAP), un programma di buoni pasto per i nuclei familiari più vicini alla soglia di povertà. Dall’inizio dell’emergenza, i democratici hanno chiesto di espandere il programma e aumentare del 15% il valore dei buoni pasto. I repubblicani, al contrario, si oppongono, temendo che una qualsiasi espansione del programma dei buoni pasto diventi permanente, come accaduto dopo la crisi del 2008. Di fronte all’aggravarsi della situazione, però, la speaker della Camera Nancy Pelosi ha chiesto che i due partiti si impegnino per trovare un compromesso che possa portare il cibo necessario sulle tavole delle famiglie americane più bisognose.

 

In our view

Il commento di Giuseppe Sarcina, corrispondente da Washington per il Corriere della Sera

Gli ultimi sondaggi segnalano Donald Trump in netto ritardo rispetto a Joe Biden, lo sfidante nelle presidenziali di novembre. Secondo il sito RealClearPolitics in media il distacco è pari al 5,3% (42,3% contro 47,6%). Ne possiamo dedurre che il presidente si stia facendo male da solo, visto che il rivale è praticamente confinato nel ‘basement’ di casa sua casa a Wilmington, nel Delaware. È ormai opinione comune che in questo momento il vero avversario di Trump sia il coronavirus, più che l'ex numero due di Barack Obama.

Continua a leggere

 

Il personaggio

Se quella alla presidenza è ormai una corsa a due, tra Trump e Biden, un terzo personaggio continua a tenere il centro della scena nel dibattito politico americano: è Nancy Pelosi, la speaker e leader dei democratici alla Camera dei deputati. La sua biografia, pubblicata questa settimana, è già un record di vendite. Figura di riferimento del Partito democratico, negli anni è stata un personaggio chiave in numerose battaglie politiche, tanto da essere definita da alcuni “la politica più potente degli Stati Uniti”.

Nata nel 1940 a Baltimora, nel Maryland, da una famiglia italo-americana, Nancy D’Alesandro cresce circondata dalla politica: suo padre è prima rappresentante al Congresso e poi sindaco della città; nel ’67 sarà poi il turno di uno dei fratelli di diventare sindaco di Baltimora.

Nella prima parte della sua vita tuttavia, Nancy non sembra interessata a scendere in prima persona nell’arena politica. Dopo gli studi universitari, dove conosce il marito Paul Pelosi, Nancy si trasferisce a San Francisco e si occupa soprattutto dei suoi cinque figli. Sarà solo nel 1977 che entrerà in politica iniziando la scalata alla leadership del partito democratico: nel 1987 viene eletta alla Camera, nel 2002 diventa la prima donna leadership dei democratici alla Camera e, quando i dem conquistano la maggioranza alle elezioni di midterm del 2006, diventa la prima donna presidente dell’assemblea (“speaker”). Una posizione che manterrà fino al 2011 e poi di nuovo a partire dal 2019.

Da presidente dell’assemblea, Pelosi è stata una figura chiave nell’approvazione di alcune misure emblematiche della storia recente americana: in primis l’Affordable Care Act, ma anche il piano di salvataggio di Wall Street varato dal presidente George Bush dopo la grande crisi finanziaria. Con l’attuale presidenza, Pelosi è finita per diventare agli occhi dell’opinione pubblica una sorta di “anti-Trump”, colei che tiene in mano le redini dell’opposizione. Negli ultimi mesi è stata protagonista di scene iconiche come l’applauso sarcastico diretto al presidente al termine del suo discorso sullo stato dell’unione, o il plateale strappo della sua copia dell’intervento pronunciato da Trump. Nelle ultime settimane, ha giocato un ruolo determinante nel definire e far approvare dalla Camera (a maggioranza democratica) le misure per far fronte al coronavirus.

Nonostante la sua rilevanza, non tutti i democratici stravedono per lei, soprattutto tra le nuove leve che vedono nella speaker un ostacolo per un nuovo corso, più progressista, del partito. Certo è che da qui a novembre, da navigata fundraiser, potrà mettere la propria esperienza nella raccolta di fondi a disposizione di Biden, che ha invece fatto molta fatica finora a rastrellare il denaro necessario alla campagna presidenziale.

 

Politics on the rocks

A quattro settimane dall’inizio delle proteste contro il lockdown, la tensione in Michigan è ancora alle stelle. Con 45mila casi e più di 4mila decessi, la governatrice Gretchen Whitmer ha dovuto estendere per la seconda volta le ordinanze restrittive, scatenando una nuova ondata di proteste. Mai si sarebbe aspettata che un gruppo di manifestanti, fucili in pugno facessero irruzione nella sede del governo locale.

Un atto che non è illegale, secondo le leggi del Michigan, ma che dà la misura dello stato di esasperazione raggiunto e che ha spaventato alcuni senatori locali che hanno prontamente indossato il giubbotto antiproiettile. L’irruzione è stata guidata da un gruppo di manifestanti che in alcune foto mostravano svastiche, cappi e la bandiera confederata, un simbolo degli stati schiavisti del sud durante la guerra civile

In Michigan, uno degli stati americani più colpiti dall'epidemia di coronavirus, le prime armi erano comparse già durante le proteste del 15 aprile, quando migliaia di cittadini avevano bloccato con le proprie auto le strade della capitale Lansing, manifestando davanti al parlamento dello stato contro l’estensione del lockdown fino a fine aprile. Non si era però arrivati al punto in cui i manifestanti entrassero in armi al Campidoglio. Il presidente Trump, che già aveva dato il suo sostegno alle prime proteste con il famoso tweet “Liberate Michigan”, ha invitato la governatrice Whitmer a dialogare con i manifestanti armati, definendoli “bravissime persone” che chiedono di aver indietro la propria libertà.

Pochi giorni dopo, però, l’insofferenza è sfociata in dramma: una guardia giurata è stata uccisa nel negozio in cui lavorava con due colpi alla nuca da due uomini armati. La sua unica colpa era stata di aver tentato di far indossare la mascherina alla figlia di uno di loro.

 

Per saperne di più

Demographics, economy and death tolls boost Biden in polls

Christine Zhang e Brooke Fox, Financial Times

The Pandemic Will Soon Test Rural America

Tara C. Smith, Foreign Affairs

 

What’s next

- 25 giorni alle primarie in 8 stati e Washington D.C. (2 giugno 2020)

- 101 giorni alla Convention democratica (17-20 agosto 2020)

- 179 giorni alle elezioni (3 novembre 2020)

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AUTORI

Paolo Magri
ISPI Executive Vice President and Director
Alessia De Luca
ISPI Advisor for Online Publications
ISPI Research Assistant

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