Il presidente Donald Trump ipotizza un rinvio del voto a causa della pandemia e di possibili brogli, ma non può farlo. Intanto negli Stati Uniti una persona al minuto muore per Covid-19 e il coronavirus affossa l’economia americana che entra ufficialmente in recessione.
Il Weekly Focus si concede una breve vacanza estiva. Torneremo il prossimo 21 agosto ad aggiornarvi sulla campagna elettorale Usa2020 e dintorni. A presto!
What’s up?
Uno schianto come non si era mai visto: nel secondo trimestre del 2020 l’economia americana si è contratta del 9,5% rispetto ai tre mesi precedenti e del 32% su base annuale, paralizzata dalla pandemia da coronavirus e dalle misure di lockdown per cercare di arrestarla. Si tratta del crollo più pronunciato di sempre, dai tempi della Seconda Guerra Mondiale, da quando esistono moderne statistiche trimestrali sul Pil, e, trattandosi del secondo calo trimestrale consecutivo, porta gli Stati Uniti ufficialmente in recessione.
Inoltre, da ormai due settimane, le domande di sussidi sono tornate a crescere, sintomo che licenziamenti e tagli dei posti di lavoro continuano, rinviando ogni recupero occupazionale. Secondo il Dipartimento del Lavoro, la scorsa settimana il numero di americani che hanno presentato nuove richieste è salito di 1,43 milioni. A frenare i consumi e scoraggiare la fiducia in una ripresa in tempi brevi contribuiscono poi i dati sulla pandemia: Gli Stati Uniti hanno superato la soglia dei 150mila morti per Coronavirus, rappresentando circa un quarto del totale a livello globale. 21 Stati hanno dichiarato la zona rossa, mentre l'epicentro dell'emergenza si è spostato dal Nord Est al Sud Ovest. Arkansas, California, Florida, Montana, Oregon e Texas ieri, hanno fatto registrare una impennata di decessi.
Eppure non è di questo che si dibatteva nei talk show e notiziari della sera. Da ieri, a monopolizzare o quasi il dibattito pubblico americano è l’ipotesi di un rinvio del voto sollevata dal presidente Donald Trump in un tweet.
Sedici minuti dopo la pubblicazione dei peggiori dati trimestrali di sempre e una media americana di un morto al minuto per Covid-19, il presidente ha dato fuoco alle polveri, ‘cinguettando’ quello che lo sfidante Joe Biden, avanti nei sondaggi nazionali di circa 10 punti e in netto vantaggio in molti stati contesi, lo accusa di voler fare da tempo: sfruttare l'emergenza coronavirus per rinviare il voto per la Casa Bianca. Apriti cielo. Non solo il presidente americano non ha il potere di rinviare le elezioni, ma un’evenienza del genere non si è verificata neanche durante il secondo conflitto mondiale, la grande depressione o la guerra civile, per capirci. L'articolo II della Costituzione americana sancisce che sia il Congresso a stabilire il calendario delle elezioni generali, e una legge federale prevede che il voto debba tenersi il primo martedì dopo il primo lunedì di novembre. Sempre la Costituzione poi, indica tassativamente nel 20 gennaio la fine del mandato presidenziale. Eventuali modifiche poi sono impensabili, vista l’assoluta contrarietà dei democratici che controllano la Camera.
Ma il presidente non demorde: sotto accusa è il voto via posta - la soluzione più logica per votare durante una pandemia - che secondo l’attuale inquilino della Casa Bianca aprirebbe la strada a brogli massicci e frodi di ogni tipo. Eppure non ci sono prove di questo, e anzi in molti stati il voto via posta si utilizza da anni e non ha mai dato particolari problemi. A lasciare perplessi, inoltre, è il fatto che Trump – che ha trascorso le ultime settimane a dire che non bisogna farsi prendere dalla psicosi, che i lavoratori dovrebbero tornare al lavoro, gli stati dovrebbero riaprire e i bambini ad andare a scuola - ora stia dicendo che la pandemia ha causato così tanto caos che le elezioni debbano essere rinviate. Sembrerebbe, è l’accusa di molti, la mossa disperata di un leader in crisi di consensi che più della pandemia teme la sconfitta e che, sapendo di non poter posticipare il voto, stia preparando il terreno per delegittimarlo, una volta che si sarà tenuto.
La provocazione del presidente però, non andrà da nessuna parte. Mitch McConnell, leader dei conservatori al Senato, è stato perentorio, dichiarando che “la data delle elezioni è scolpita nella pietra”, mentre il numero uno alla Camera, Kevin McCarthy, ha liquidato i giornalisti con un “si va avanti come previsto”. Tutto bene dunque? No, perché c’è già chi teme che davanti a una possibile sconfitta e forte degli uomini giusti piazzati nei ruoli chiave, Donald Trump possa non accettare i risultati del voto e mettere in dubbio l’esito delle elezioni innescando una crisi istituzionale, politica e sociale senza precedenti. E in un momento di grande incertezza appaiono particolarmente significative le parole pronunciate poche ore fa da Brack Obama, intervenuto al funerale di John Lewis, deputato di lungo corso e icona della battaglia per i diritti civili: “So che questa cerimonia è per celebrare la memoria di John Lewis e che alcuni potrebbero dire che non dovremmo soffermarci su certi aspetti ma John ha speso la sua vita per combattere gli attacchi alla democrazia in America, proprio come quelli che vediamo circolare in questo periodo”. Parlando alla platea in cui erano presenti anche altri due ex presidenti, George W. Bush e Bill Clinton, e in cui risultava vistosa e significativa l’assenza di Donald Trump, Obama ha messo in guardia dall’importanza di difendere la democrazia: “Potremo non dover più indovinare il numero di fagioli in un barattolo per poter votare, ma anche mentre siamo seduti qui, al potere c’è chi sta facendo del suo meglio per scoraggiare le persone dal voto”.
Il punto di Ipsos
“A poco meno di 100 giorni dalle elezioni presidenziali, il vantaggio di Biden su Trump tra gli elettori registrati si mantiene elevato: 47% a 38%. Il 15% che oggi dichiara di essere indeciso (6%) o di volersi astenere (2%) o di voler votare per altro candidato (7%), dopo essere stato invitato ad indicare per quale dei due sfidanti oggi voterebbe, dichiara di propendere più per lo sfidante (10%) che per il presidente in carica (5%).
I giochi non sono ancora chiusi, è vero, ma Trump appare in difficoltà soprattutto per la sua gestione della pandemia, che continua ad essere disapprovata dal 56% degli americani, l’82% dei quali si dichiara 'molto preoccupato'. Per la prima volta l’healthcare (21%) prevale sull’economia (18%) nella graduatoria del tema più importante che gli USA devono fronteggiare”.
I temi caldi
Un vero e proprio tracollo. Il dato sul secondo trimestre 2020 del Prodotto interno lordo (PIL) americano ha segnato la contrazione maggiore dal 1947: -32,9% su base annuale e -9,5% rispetto al primo trimestre dell’anno in corso. Dati che erano stati largamente previsti dai maggiori analisti ma che confermano gravi rischi per il risultato complessivo dell’anno in corso. Essere il Paese più colpito dalla pandemia da coronavirus sta comportando conseguenze profonde sul tessuto economico americano. La persistenza della diffusione del virus a tassi incontrollati ha determinato l’imposizione di ricorrenti misure restrittive che stanno limitando l’attività economica e la fiducia di consumatori e imprese, seppure in modo diversificato tra i diversi Stati. Il cavallo di battaglia del Presidente Trump per la rielezione, ovvero una crescita sostenuta dell’economia negli anni della sua Presidenza, si sta rapidamente trasformando in modo rovinoso nel suo tallone d’Achille.
La stessa Federal Reserve ha espresso chiari dubbi su una forte ripresa nella seconda parte dell’anno, in particolare nel caso in cui non verranno prontamente introdotte nuove misure per il contenimento del virus. Per tentare di far fronte all’emergenza, il Partito repubblicano ha reso pubblica la proposta di un ulteriore piano di stimolo per un valore complessivo da 1000 miliardi di dollari, lo Health, Economic Assistance, Liability Protection and Schools (HEALS) Act. L’intervento previsto si aggiunge ai sussidi erogati tra marzo e giugno per un importo complessivo di 1.940 miliardi di dollari, cui si sommano 560 miliardi di dollari di dilazioni nei pagamenti fiscali e 560 miliardi di prestiti per le imprese in sofferenza. Il pacchetto, tra le varie misure, include una replica dell’ “assegno di stimolo” (stimulus check) da 1200 dollari per ogni persona con reddito inferiore ai 75.000 dollari. L’obiettivo del Presidente Trump è di garantire che ogni americano riceva il bonus entro il mese di agosto, nel tentativo di imprimere una spinta alla domanda e ai consumi nel terzo trimestre dell’anno. Tuttavia, il piano prevede anche una sostanziale riduzione dei contributi per la disoccupazione, per un taglio pari a 400 dollari al mese. La misura prevista dal precedente piano Cares Act, che prevedeva 600 dollari a disoccupato, scade infatti proprio oggi e del suo destino dovrà occuparsi il nuovo pacchetto di rilancio dell’economia. Il decremento previsto dell’importo erogato sembra andare nella direzione di quanto sostenuto da una parte di economisti e parlamentari, allarmati dal fatto che sussidi alla disoccupazione di importo elevato potrebbero disincentivare il ritorno dei lavoratori nel mercato del lavoro.
In un contesto di crescenti tensioni sociali, con il tasso di disoccupazione all’11,1% (in riduzione rispetto al 13,3% registrato a maggio), tagli in questo campo potrebbero tuttavia rappresentare una miccia per il riesplodere delle tensioni. A conferma di ciò si inseriscono gli ultimi dati disponibili di luglio: dopo 15 settimane di costante riduzione, le richieste di disoccupazione sono aumentate di 1,4 milioni. Sul versante del sostegno alle imprese, il piano contiene ulteriori prestiti a favore delle piccole attività imprenditoriali che abbiano subito una riduzione del fatturato maggiore o uguale al 50%. 16 miliardi sono inoltre destinati all’incremento dei test sierologici in scuole, uffici e case di cura, così come è previsto un fondo di 105 miliardi per le misure a sostegno dell’istruzione e per le misure di prevenzione e contenimento del virus negli edifici scolastici. Infine, 26 miliardi andrebbero al prosieguo della ricerca su possibili vaccini, all’acquisto di medicinali e di apparecchiature diagnostiche. La proposta dello Heals Act dovrà però pervenire ad una sintesi con il progetto di legge Heroes Act (Health and Economic Recovery Omnibus Emergency Solutions Act) presentato dal Partito democratico alla Camera dei Rappresentanti. L’Heroes Act, per un valore complessivo di 3.000 miliardi di dollari, è stato approvato in quest’ultima il 15 maggio 2020, ed è attualmente all’esame del Senato.
Il commento
di Gianluca Pastori, ISPI associate research fellow
Donald Trump: una strategia difensiva per gli ultimi cento giorni?
Il ‘tweet’ con cui Donald Trump ha ventilato l’idea di posticipare la scadenza elettorale di novembre “finché il popolo americano non potrà esprimersi in modo proprio e in piena sicurezza”, evitando così il ricorso al voto postale universale, “inaccurato e fraudolento”, porta alle estreme conseguenze una posizione che il Presidente ha assunto da tempo, anche contro quella di parti importanti del Partito repubblicano. Non si tratta di una presa di posizione estemporanea; già nelle scorse settimane, ad esempio, le dichiarazioni del Presidente sull’inaffidabilità del voto postale lo avevano messo in urto anche con i vertici di Twitter, che ha etichettato alcuni contenuti dell’account @RealDonaldTrump relativi alla pericolosità di questa forma di voto come necessari di un ‘fact checking’. La nuova esternazione presidenziale è, tuttavia, importante almeno per due aspetti. Da un lato, essa sembra confermare la paura con cui la Casa Bianca guarda all’avvicinarsi di un voto che approccia di posizioni tutt’altro che favorevoli, dall’altro essa si inserisce nella linea di radicalizzazione dello scontro con l’opposizione democratica ma anche con le frange ‘moderate’ del Partito repubblicano verso cui Donald Trump sembra avere orientato questa fase della sua campagna elettorale.
In numeri
Nella storia delle elezioni americane le donazioni garantite dai privati per le campagne presidenziali giocano da sempre un ruolo decisivo nel definire e decidere il vincitore. I recenti sondaggi, che indicano Biden nettamente in vantaggio sul presidente uscente, sembrano trovare conferma dalle donazioni effettuate nel corso degli ultimi tre mesi: una recente indagine del New York Times indica che nell’ultimo trimestre Biden ha ricevuto 400.000 donazioni in più del Presidente Trump. Da aprile a giugno, in particolare, lo sfidante democratico ha ottenuto più donazioni di Trump in 26 Stati, incluse Pennsylvania e Nord Carolina. Trump, d’altro canto, guiderebbe la sfida in 24 Stati, comprese Florida e Arizona. Come già verificatosi nella campagna per le Presidenziali del 2016, il candidato democratico ottiene la maggior parte delle donazioni nelle aree urbane e sulla costa, mentre Trump passa in vantaggio nelle aree interne e rurali degli Stati Uniti. Le aree più generose con Trump in termini di donazioni sono alcune comunità nella Florida centrale, e parti delle periferie di Houston, Phoenix e Las Vegas. Al contrario, Biden ottiene i maggiori risultati nell’Upper West Side di New York e nelle zone centrali di Washington D.C.
Il caso della Florida è interessante. Swing State per eccellenza, negli ultimi tre mesi ha visto un testa a testa nelle donazioni tra i due candidati, con un leggero vantaggio per Trump (117.000 donatori) su Biden (102.000 donatori). La roccaforte del Presidente repubblicano si concentra a Mar-a-Lago e nel nord-ovest dello Stato, ed è forte anche nel sud-ovest e nel nord-est. Biden, al contrario, ottiene i maggiori contributi in molte aree del sud-est della Florida, una zona liberale e densamente popolata. Anche se è presto per dire se il vantaggio nelle donazioni si tradurrà in un vantaggio elettorale, gli ultimi sondaggi danno Biden sopra di 4 punti rispetto al Presidente in uno degli Stati decisivi per la vittoria finale.
Il personaggio
Con una mossa che ha contribuito ad accrescere l’attesa nell’elettorato, Joe Biden ha annunciato che indicherà la prossima settimana il nome della sua candidata alla Vice-Presidenza. Una partita tutta al femminile, che al momento vede favorite cinque esponenti democratiche.
Kamala Harris, 55 anni. Avvocato e senatrice del Partito democratico per la California dal 2017. È la seconda donna afro-americana e la prima dell’Asia meridionale ad essere eletta nel Senato degli Stati Uniti. Procuratrice generale della California dal 2011 al 2017, da senatrice ha supportato una riforma sanitaria ad accesso universalistico, la depenalizzazione a livello federale del consumo di cannabis, l’appoggio al Dream Act per garantire una cittadinanza temporanea a immigrati senza documenti per motivi di lavoro, il bando alle armi d’assalto e una riforma fiscale in senso progressivo. Considerata come possibile candidata democratica di spicco per le presidenziali del 2020 – in particolare con un crescente consenso dopo la gestione accurata e senza sconto delle hearings al Senato dei funzionari della nascente amministrazione Trump - Harris è stata candidata alle primarie del partito ma ha deciso di rinunciare alla corsa per la presidenza il 3 dicembre 2020, annunciando nel marzo 2020 il suo sostegno a Joe Biden.
Susan Rice, 55 anni. Diplomatica e da sempre schierata nel campo democratico, seppur mai eletta al Congresso, Rice ha un dottorato in relazioni internazionali all’Università di Oxford. È stata funzionaria durante l’Amministrazione Clinton del National Security Council, e Assistente Segretario di Stato per gli affari africani dal 1997 al 2013. Questo periodo segnò un rafforzamento della cooperazione statunitense con l’Africa, con l’introduzione dell’African Growth and Opportunity Act, il supporto alle transizioni democratiche del Sud Africa e della Nigeria e una crescente lotta contro l’HIV nel continente. Ambasciatrice degli Stati Uniti presso le Nazioni Unite dal 2009 al 2013, si è battuta per un’agenda progressista che mettesse al centro i diritti umani e delle minoranze, la lotta alla povertà e al cambiamento climatico, impegnando gli Stati Uniti verso il rispetto del Trattato di non proliferazione nucleare, la Convenzione sui diritti delle persone con disabilità e i Millennium Development Goals delle Nazioni Unite. Dal 2013 al 2017 è stata Advisor del National Security Council per il Presidente Obama.
Valdez Demings, 63 anni. Politica americana e deputata alla Camera dei Rappresentanti del Congresso per la Florida dal 2017. Tra il 2007 e il 2011 è stata Capo Dipartimento della Polizia di Orlando, prima donna a guidarlo, coronando così una carriera di 27 anni nella polizia. Il 15 gennaio 2020 è stata nominata dalla Speaker della Camera Nancy Pelosi impeachment manager nel procedimento contro il Presidente Trump. Sostenitrice della libertà sul tema dell’aborto e, più in generale, dei diritti civili, Demings ha sostenuto la necessità di limitare la vendita delle armi solo a persone con requisiti psico-fisici adeguati, e si è battuta contro lo smantellamento della riforma dell’Obamacare in ambito sanitario.
Keisha Lance Bottoms, 50 anni. Politica americana e avvocato, dal 2017 è sindaco di Atlanta, Georgia. Come primo cittadino si è spesso espressa su posizioni diametralmente opposte a quelle della maggioranza repubblicana, affermando che Atlanta è una città accogliente che rimarrà aperta a tutti gli immigrati in cerca di un futuro. Dopo la morte di George Floyd e i conseguenti disordini ad Atlanta, ha accusato Trump di fomentare le tensioni razziali nel Paese. Nel giugno 2019, ha espresso il suo endorsement per Biden alle primarie per il candidato democratico alle presidenziali.
Elizabeth Warren, 71 anni. Politica americana ed ex professoressa di diritto, specializzata in diritto fallimentare. Dal 2013 è senatrice in rappresentanza del Massachussetts al Congresso degli Stati Uniti, prima donna eletta al Senato proveniente da questo Stato. Candidatasi alle primarie del partito democratico e poi ritiratasi il 5 marzo 2020, Warren appartiene alla corrente progressista del Partito democratico, ed è vice-presidente del Caucus democratico al Senato. Coinvolta in politica sin dal 1992, la sua influenza è sensibilmente aumentata dopo le prese di posizione per una più stretta regolamentazione bancaria all’indomani della crisi finanziaria del 2007-2008. In quel frangente propose con successo l’istituzione del Consumer Financial Protection Bureau di cui ha occupato la carica di First Special Advisor durante la Presidenza Obama.
Politics on the rocks
Nell’infuocata campagna elettorale americana neanche i cartoni animati sono immuni dalla competizione tra Repubblicani e Democratici. La fortunata serie di cuccioli Paw Patrol, i cagnolini in divisa - tra cui Chase il cane poliziotto pastore tedesco, il dalmata pompiere Marshall, Rubble il bulldog scavatore, Zuma il labrador acquatico e Skye la cocker spaniel da salvataggio aereo – sono finiti al centro delle polemiche politiche, per motivi di politically correctness. A sollevare il polverone, era stata l’addetta stampa della Casa Bianca Kayleigh McEnany, sostenendo che la serie era stata rimossa in ossequio alla “cancel culture”, che non risparmierebbe nemmeno i cartoni animati. Riportando le parole di Trump, la McEnany aveva ribadito che l’amministrazione repubblicana è fortemente contraria alla “cancellazione della cultura”.
In particolare, Chase, il cane poliziotto sarebbe stato inviso ai democratici e alla corrente di pensiero che promuove la rimozione dei simboli controversi dopo l’uccisione di George Floyd da parte di un agente di polizia e la campagna Black Lives Matter. Stupisce, ma neanche troppo in una campagna elettorale dai toni così accesi, che anche un cartone animato per i più piccoli possa finire nel calderone del dibattito politico. Nessun timore comunque: la sospensione era solo temporanea e l’account twitter di Paw Patrol ha confermato che il cartone non è stato affatto cancellato e i cagnolini torneranno presto sugli schermi.
Per saperne di più
I Hope This Is Not Another Lie About the Republican Party
Stuart Stevens, The New York Times
Trump Can’t Delay the Election—So He’s Trying to Make It a Chaotic Mess
John Nicols, The Nation
What’s next
-17 giorni alla Convention democratica (17 agosto 2020)
- 24 giorni alla Convention repubblicana (24 agosto 2020)
- 95 giorni alle elezioni (3 novembre 2020)
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Alla redazione di questo Weekly Focus USA2020 ha contribuito Alessandro Gili, ISPI Research Assistant Osservatori Geoeconomia e Infrastrutture