Weekly Focus USA2020: la settimana nera del petrolio
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Weekly Focus n.8

Weekly Focus USA2020: settimana nera

Paolo Magri
|
Alessia De Luca
|
24 aprile 2020

Oltre 50.000 morti e 26 milioni di disoccupati. La settimana più nera per gli Stati Uniti dall’inizio dell’epidemia si apre con il prezzo del petrolio che crolla sotto zero per la prima volta nella storia e si chiude con un numero di vittime che si avvicina a quello dei soldati americani caduti in Vietnam.

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What’s up?

È stata un’altra settimana da dimenticare per gli Stati Uniti, alle prese con l’epidemia, il tracollo economico, indici di borsa impazziti e il petrolio americano sprofondato sotto zero per la prima volta nella storia. In quello che passerà agli annali come il lunedì nero del Wti, il greggio prodotto in Texas, il prezzo è crollato, chiudendo in calo del 305% a -37,63 dollari al barile sulle consegne di maggio. Complici il lockdown mondiale e il calo di domanda, le dispute tra paesi produttori che hanno generato un eccesso di offerta e l’impossibilità di smaltire le scorte attualmente in magazzino, i venditori si sono trovati nella situazione paradossale di dover pagare pur di disfarsi del greggio. Una situazione durata poche ore, certo, e a cui ha fatto seguito un seppur lieve rimbalzo, ma lo shock è stato grande e i timori deiproduttori americani di shale oil restano alti.

C’è di buono che calano le richieste per i sussidi di disoccupazione per la terza settimana di fila, alimentando le speranze che il peggio dell’impatto della pandemia sul mercato del lavoro sia ormai passato. Secondo i dati del dipartimento del lavoro sono 4,43 milioni gli americani che hanno richiesto sussidi di disoccupazione nella settimana fino al 18 aprile, in ribasso rispetto ai 5,24 milioni della settimana precedente. Una flessione sensibile, mentre la cifra complessiva di cittadini rimasti senza lavoro raggiunge quota 26,4 milioni. Un lavoratore su sei.

Intanto gli Stati Uniti superano i 50.000 morti causati dal coronavirus. “Tra pochi giorni – sottolinea su The New Yorker Susan Glasser – ci saranno più americani morti di Covid-19 di quanti ne caddero durante la guerra in Vietnam”. Nella consueta conferenza stampa dalla Casa Bianca, Donald Trump ha suggerito che si potrebbero testare iniezioni di ultravioletti, disinfettanti e candeggina per vedere se sono efficaci nel contrastare il virus. L'indicazione ha suscitato una levata di scudi della comunità medico-scientifica che ha definito "irresponsabili e pericolose" le parole del presidente, perché potrebbero spingere qualcuno a provare a iniettarsi il disinfettante in casa per conto proprio.

L’inquilino della Casa Bianca sta giocando tutte le sue carte per convincere il pubblico americano che il peggio è passato e tentare di rilanciare l’economia. Due giorni fa ha firmato un ordine esecutivo – della durata di 60 giorni – che blocca ogni richiesta di ottenere la ‘green card’ per la residenza permanente negli Stati Uniti. Affermando di voler salvaguardare gli interessi degli americani rimasti senza lavoro, Trump ha aggirato le critiche del comparto produttivo hi-tech e del settore agricolo, consentendo l’ingresso a lavoratori stagionali e professionisti altamente qualificati. Una decisione – osserva FiveFortyEight – presa più per strizzare l’occhio alla sua base elettorale che per contrastare gli effetti del coronavirus.

Intanto diversi stati stanno valutando se mettere fine al lockdown e far ripartire il sistema produttivo oppure prolungare la chiusura. Una decisione tardiva metterebbe in difficoltà milioni di persone che non hanno alcuna entrata. Viceversa una riapertura prematura potrebbe far riprendere la diffusione del virus. Proseguono a varie latitudini le proteste anti-lockdown, anche se più di uno sostiene che a promuoverle, nei cosiddetti swing state e in quelli più significativi a livello elettorale, sarebbero politici repubblicani e lobby affiliate alla campagna di rielezione del presidente.

È stata una settimana di passione anche per i listini. Oggi, a sostenere il rialzo di Wall Street dopo due sedute negative, è l’approvazione da parte del Congresso di un nuovo pacchetto di aiuti da 484 miliardi di dollari: di questi, 321 saranno destinati al sostegno delle piccole e medie imprese, circa 100 al sistema sanitario e all'attività di testing. Ma la volatilità dei mercati non sembra essere passeggera e nei prossimi mesi, complice il coronavirus e l’incertezza che sempre accompagna gli anni elettorali, potremmo assistere ad altre montagne russe e a nuovi ribassi senza precedenti. A Wall Street c’è un motto: “Sell in May and walk away” (Vendi a maggio e scappa). Riflette la convinzione, senza alcuna evidenza scientifica, che il mercato statunitense realizzi le sue migliori performance tra ottobre e maggio, nella stagione ‘invernale’, mentre durante quella ‘estiva’ i listini sono caratterizzati da più volatilità. Forse il peggio è davvero alle spalle, o forse no. La notizia però è un’altra: maggio è alle porte e gli operatori stanno decidendo il da farsi. In ogni caso sarà meglio allacciare le cinture.

 

In our view

 

 

I temi caldi

La pandemia e la gestione dell’emergenza ha riportato in primo piano il tema dell’autonomia amministrativa dei singoli stati e dell’autorità del governo centrale in campo sanitario nei 50 stati. Se in un primo momento il presidente aveva dichiarato di avere “autorità assoluta” in materia, ha successivamente fatto marcia indietro riconoscendo ai governatori la responsabilità riaprire gli stati con le tempistiche che ritengono più opportune.

Più voci affermano che far fronte a una pandemia, cioè una minaccia che riguarda tutto il territorio americano, è responsabilità del governo federale: solo Washington può armonizzare gli ordini di lockdown, distribuire equamente tra gli stati il materiale medico, attivare meccanismi di risposta federale come il Defense Production Act, e così coordinare una risposta nazionale. Il presidente, tuttavia, non si è certo guadagnato la fiducia dei governatori, tra ambiguità, ritardi e numerosi scontri con gli esperti di sanità pubblica sull’ipotesi di riaprire il paese. L’ultimo in ordine di tempo è quello con Rick Bright, fino a ieri alla guida dell'agenzia incaricata di sviluppare un vaccino contro il Covid-19, silurato dopo essere entrato in rotta di collisione con il tycoon. Bright ha denunciato di essere stato licenziato per aver contestato il ricorso alla clorochina e all'idrossiclorochina contro il coronavirus, che Trump ha propagandato in più occasioni, poiché “privo di fondamento scientifico”.

Tradizionalmente, sono i democratici i più favorevoli ad un maggior coinvolgimento del governo federale nella vita dei cittadini, mentre il contrario vale per i repubblicani – come emerge dall’ultimo sondaggio di The Economist/YouGov, secondo cui il 63% dei democratici pensa debba essere il governo federale a dirigere i soccorsi, rispetto al 33% dei repubblicani. Nei fatti, però, durante l’emergenza coronavirus, la situazione si è ribaltata: a seguire le indicazioni del governo federale sono infatti più spesso i governatori del Grand Old Party che quelli democratici. Ma attenzione, lo scontro tra Trump e i governatori non segue sempre la linea delle fratture tra Democratici e Repubblicani. Ne è un esempio lo scontro che il presidente ha avuto con governatori repubblicani come Mike DeWine dell’Ohio e Larry Hogan del Maryland, che hanno adottato misure molto restrittive nei confronti dei cittadini per arginare la diffusione del virus.

Alcuni stati lamentano che dal rapporto che il singolo governatore ha con il presidente, dipende la possibilità di ricevere assistenza da Washington. Lo stesso Trump ha dichiarato che per ottenere gli aiuti federali, gli amministratori locali devono “trattarlo bene”, perché alla fine “è tutta questione di buoni rapporti reciproci”. Un ‘doppio-standard’ evidente nei tweet del presidente che se da un lato ha incitato le proteste per riaprire tre stati a guida democratica (“Liberate Minnesota”, “Liberate Michigan”, “Liberate Virginia”), ha sorvolato invece sulle proteste nello Utah e nell’Ohio repubblicani.

È anche per questo che a differenza di altri leader mondali, secondo l’Economist, il presidente non è riuscito a capitalizzare in termini di approvazione personale il ‘rallying around the flag’, il sentimento che spinge i cittadini a unirsi contro un nemico comune. A spiccare il volo, invece, sono state le preferenze per i governatori, in primis, secondo i calcoli di FiveThirtyEight, il democratico Gavin Newsom della California che ha ottenuto ben 41 punti percentuali in più rispetto al periodo pre-pandemia, seguito da Andrew Cuomo e Mike DeWine. Come per altri effetti imprevisti del coronavirus, ci si chiede se anche lo scontro tra Washington e le singole amministrazioni avrà degli effetti a lungo termine sulla società americana.

 

Il punto di Ipsos

Il commento di Nando Pagnoncelli, presidente Ipsos Italia

Settimana difficile per il presidente Trump che ha visto diminuire il consenso per il proprio operato di tre punti (passando dal 45% al 42%) e per la gestione dell’emergenza Covid 19 di quattro punti, (passando dal 48% al 44%).

Il calo di consenso si riflette anche sulle intensioni di voto: il vantaggio di Biden su Trump sale a sette punti (43% a 36%), contro i quattro della scorsa settimana. Aumentano di 5 punti (da 25% al 30%) le preoccupazioni per l’economia del Paese, soprattutto tra gli elettori repubblicani, per i quali rappresenta la principale priorità, mentre tra i democratici al primo posto delle preoccupazioni c’è il tema della sanità, menzionato dal 33%. Lo scenario politico continua ad essere influenzato dall’emergenza sanitaria. Quando l’emergenza economica prenderà il sopravvento, Trump potrà far valere quelli che i cittadini americani considerano i suoi punti di forza.

 

Dove si vota?

Se sul nome del candidato repubblicano non c’erano grandi dubbi, ora anche quello del candidato democratico alle elezioni presidenziali del 3 novembre è ormai noto. Le primarie, però, proseguono, pur adeguandosi inevitabilmente all’emergenza in corso. Martedì 28 aprile sarà la volta dell’Ohio che, inizialmente previsto per il 17 marzo insieme a quelli di Arizona, Florida e Illinois, voterà interamente per posta.

Lo “stato degli ippocastani” è da sempre uno swing state, ovvero uno di quegli stati contesi tra repubblicani e democratici. Eppure qui, nel 2016, Trump si era imposto contro Hillary Clinton con uno stacco dell’8% nelle preferenze. Uno scarto insolitamente alto che aveva sollevato dubbi su quanto ancora questo stato possa essere considerato “in bilico”. Tanto più che la demografia dell’Ohio sembra una fotografia esatta dell’elettorato tipico di Trump: oltre l’80% della popolazione è bianca; nel 2016 il 55% degli elettori erano cittadini bianchi non laureati e il 63% di loro ha votato per Trump.

Biden, un candidato meno divisivo di Clinton e più moderato di Sanders potrebbe però mettere in difficoltà Trump. Secondo l’ultimo sondaggio di NBC News/Marist, infatti, Biden vincerebbe in Ohio alle elezioni presidenziali con uno stacco del 4% su Trump. La sfida è aperta.

 

In numeri

Il bilancio sul coronavirus non divide solo i politici, ma anche l’elettorato. Alla domanda su quanto siano spaventati dal virus, il 60% dei democratici si dice “estremamente preoccupato” che scoppi un’emergenza Covid-19 nella propria area. Tra i repubblicani, la percentuale è solo del 15%. All’opposto, solo il 2% degli elettori dem non è “affatto preoccupato”, rispetto al 21% dei repubblicani. La differenza di opinione tra i due elettorati, che è andata diminuendo con il passare dei giorni e il diffondersi del virus nel paese, rimane dunque ancora profonda.

Una variabile che influisce non poco sulla percezione del pericolo coronavirus è sicuramente l’area di residenza. Come spiega Foreign Affairs, non è un caso che gli elettori repubblicani, che tendono a minimizzare il rischio di emergenza sanitaria, si concentrino nelle zone rurali e a minore densità abitativa: un contesto sociale e demografico in cui il virus fa più fatica a diffondersi rispetto ai grandi centri urbani con concentrazione di popolazione più elevata – aree tendenzialmente a maggioranza democratica.

Che un americano sia più o meno preoccupato, però, dipende anche molto dai media sui quali si informa, soprattutto se si parla di canali tv. I telespettatori americani infatti seguono reti diverse in base alla propria appartenenza politica: secondo un recente sondaggio, il 54% dei democratici si informa principalmente guardando CNN (seguita solo dall’8% dei repubblicani), mentre soltanto il 7% dei democratici segue Fox News, all news di riferimento per l’87% dei repubblicani.

Proprio Fox News, emittente preferita del presidente Trump, è stata criticata più volte dall’inizio dell’emergenza per aver diffuso notizie inesatte sul virus. Anche Anthony Fauci, direttore dell’Istituto nazionale di allergie e malattie infettive e uno dei membri di spicco della task force sul coronavirus messa in piede dal presidente, si è trovato di recente costretto a correggere la conduttrice Laura Ingraham sull’importanza di ottenere un vaccino.

Che Fox News faccia da cassa di risonanza delle parole di Trump, non è una novità. Il problema, secondo alcuni, è che succede anche il contrario e che sia cioè il presidente ad orientare le sue decisioni in base a quello che ascolta guardando programmi come Fox & Friends, di cui è stato ospite più volte. Fox era stata una delle emittenti che più avevano minimizzato i rischi dell’epidemia nei primi mesi dell’anno. E a fine marzo Trump aveva annunciato (salvo poi cambiare idea) di voler riaprire il paese per Pasqua, utilizzando le stesse identiche parole utilizzate dal conduttore Steve Hilton la sera prima: “La cura non può essere peggio del problema”.

 

In our view

Il commento di Mario Del Pero, Professore SciencesPo

Lo Stato del Missouri ha deciso di fare causa alla Cina, accusandola di avere provocato la diffusione pandemica del Covid19, di non avere deliberatamente fornito le informazioni necessarie per attivare una risposta globale e di essere quindi causa diretta delle morti e della crisi economica provocata dal virus nello Stato. “Una terribile (appaling) campagna di inganno, occultamento .. e inazione delle autorità cinesi ha scatenato questa pandemia ”, proclama il documento inviato a una Corte distrettuale del Missouri, finendo per colpire “la vita, la salute e la sicurezza di un numero sostanziale di residenti del Missouri ... e danneggiando l’ordine pubblico e l’economia dello Stato”.

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Il personaggio

Le luci dei riflettori non l’avevano mai veramente abbandonata, ma con il suo endorsement a favore di Joe Biden settimana scorsa, Michelle Robinson Obama, moglie dell’ex presidente Barack Obama è tornata più che mai a far parlare di sé. Non sono pochi a speculare su una sua possibile candidatura come vicepresidente di Biden, una possibilità che il candidato dem accoglierebbe a braccia aperte ma che, secondo un consulente degli Obama, non ha “nessuna possibilità” di verificarsi. Certo è che Michelle Obama, avvocato 56enne originaria di Chicago, è una delle personalità di maggior rilievo nella vita pubblica statunitense e un modello per molte donne americane.

Nata in una famiglia della classe operaia nel ‘64, Obama raggiunge l’Ivy League, dove si laurea a Princeton University e alla Harvard Law School. Ha lavorato come avvocato in vari studi e per l’università di Chicago prima di dedicarsi alla campagna elettorale del marito e, nel 2008, è diventata la prima first lady afroamericana degli Stati Uniti. Viene descritta come una persona molto determinata e pragmatica; si autodefinisce “maniaca del controllo” ed è sempre stata in prima linea per la parità dei diritti e l’uguaglianza di genere.

Sfruttando la visibilità del proprio ruolo, la first lady è riuscita a lanciare campagne contro la povertà, a favore di una alimentazione più sana soprattutto per i più giovani e l’istruzione per tutti. Dal 2018 ha anche lavorato per aumentare la partecipazione al voto degli elettori americani, impegno che ha incrementato ora che il coronavirus aumenta le difficoltà di partecipazione ai seggi. In particolare si è spesa per estendere la possibilità di voto via posta, una battaglia che condivide con altri democratici e che la mette in opposizione con le politiche del presidente.

Michelle Obama è stata votata dagli americani “donna più ammirata”nel sondaggio Gallup 2018 e 2019, strappando così a Hillary Clinton il primato che aveva detenuto per ben 17 anni. La sua autobiografia “Becoming”, pubblicata nel 2018, ha venduto più di 10 milioni di copie ed è stata tradotta in 31 lingue. Durante queste settimane di confinamento domestico, Michelle Obama ha cercato di dare una mano ai genitori americani leggendo per i suoi follower sui social ogni lunedì una storia per bambini.

Sebbene non si sia mai candidata per alcuna carica pubblica e abbia escluso di volerlo fare, Michelle Obama rimane uno dei personaggi più amati dall’elettorato americana. In molti continuano a sperare che un giorno scenda in campo, se non quest’anno come vicepresidente, fra quattro come presidente.

 

Per saperne di più

We Are Living in a Failed State

George Packer, The Atlantic

Fifty Thousand Americans Dead from the Coronavirus, and a President Who Refuses to Mourn Them

Susan Glasser, The New Yorker

 

What’s next

- 4 giorni alla chiusura del voto in Ohio (28 aprile 2020)

- 39 giorni alle primarie in 8 stati e Washington D.C. (2 giugno 2020)

- 115 giorni alla Convention democratica (17-20 agosto 2020)

- 193 giorni alle elezioni (3 novembre 2020)

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AUTORI

Paolo Magri
ISPI Executive Vice President and Director
Alessia De Luca
ISPI Advisor for Online Publications
ISPI Research Assistant

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