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Weekly Focus n.2

Weekly Focus USA2020: una poltrona per due

Paolo Magri
|
Alessia De Luca
|
Elena Corradi
06 marzo 2020

È uragano Super Tuesday sulle primarie democratiche. Spazzati via oltre la metà degli aspiranti candidati e sondaggi stravolti: Biden e Sanders in fuga si contendono la nomination. Ma che possibilità hanno di battere Donald Trump a novembre?

 

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What’s up? 

Eccoci qua, una settimana dopo e con ben cinque candidati in meno per la corsa verso le presidenziali Usa2020. Come promesso il Super Tuesday è stato un vero e proprio terremoto politico. Joe Biden, rivelazione della tornata, si è portato a casa la maggior parte degli stati in palio e gran parte dei delegati. Bernie Sanders, dato per favorito fino a pochi giorni fa, è stato scalzato alla seconda posizione e tutto lascia pensare che saranno loro due a contendersi, da qui a luglio, la nomination del partito democratico. Nel giro di poche ore, infatti, si sono ritirati dalla corsa Tom Steyer, Pete Buttigieg, Amy Klobuchar, Michael Bloomberg e Elizabeth Warren. Quindi allo stato attuale abbiamo un 77enne e un 78enne maschi e bianchi, che contendono la carica ad un 74enne (il più giovane candidato uomo rimasto in corsa per novembre!) anch’egli bianco. Non esattamente un’immagine rappresentativa della società americana contemporanea.

 

 

Altro elemento da non sottovalutare: mentre la nebulosa di candidature nell’ala moderata dei dem sembra essersi ricompattata repentinamente e disciplinatamente intorno a Biden, che ha ottenuto l’endorsement di tutti i candidati centristi che si sono ritirati, non è avvenuto altrettanto nell’ala progressista: dopo una campagna dai toni forti, che ha visto deteriorarsi il suo rapporto con l’amico di un tempo, non è affatto detto che Elisabeth Warren dia il suo endorsement a Bernie Sanders.

Last but not least, questa settimana in America ha fatto il suo ingresso Covid-19. Il bilancio attuale negli Usa è di 12 vittime e 233 casi di contagi. Se la California – dopo la prima vittima – ha dichiarato lo stato d’emergenza, insieme anche a quello di Washington e alla Florida, il presidente Donald Trump invita alla calma: "Andrà tutto bene – ha detto il presidente in un dibattito su Fox News – e magari si archivierà una volta per tutte questa abitudine di salutarsi con una stretta di mano”.

Per fronteggiare l’emergenza, Camera e Senato hanno approvato un pacchetto di emergenza di circa 8,3 miliardi di dollari, quota molto più alta dei 2,5 miliardi richiesti precedentemente dalla Casa Bianca. Al momento la proposta si trova sulla scrivania del presidente, che è previsto la firmerà a breve.

 

 

Il candidato 

Nel Super Tuesday del 3 marzo, Joe Biden è stato il più votato in 10 stati su 14: Texas, Virginia, North Carolina, Alabama, Massachusetts, Tennessee, Minnesota, Arkansas, Oklahoma e Maine. E soprattutto l’ex vicepresidente di Obama è passato in testa nel conteggio cumulato dei delegati, superando quello che fino ad oggi era considerato il front-runner: Bernie Sanders. Un ribaltone per cui i social hanno subito creato un nomignolo: è il Joe-mentum (“lo slancio di Joe”) si chiedono in tanti?

 

 

La cosa incredibile, sottolinea la stampa americana, è che l’ex vice di Obama sia riuscito ad ottenere questo risultato, spendendo molto meno degli altri candidati negli stati del Super Tuesday, circa 2,2 milioni di dollari. In confronto Sanders ne ha spesi 18. L’elettorato di Biden è composto principalmente di americani over 45, elettori che si definiscono ‘moderati’, e afroamericani. Per lui ora la sfida è quella di portare anche gli elettori di Sanders – giovani, latini e progressisti - a credere nel messaggio principale della sua campagna, ovvero che è lui l’uomo giusto per guarire le ferite dell’America post-Trump. Non può abbassare la guardia: al Super Tuesday molti elettori sembrerebbero aver deciso per chi votare solo all’ultimo minuto, alcuni spinti dagli endorsement dei suoi ex competitor. A chi si domanda invece perché Barack Obama non si sia ancora ufficialmente dichiarato suo sostenitore, la risposta è presto data: l’ex presidente ha chiarito che il suo ruolo nella corsa alla presidenza sarà quello di unire gli elettori democratici solo dopo che sarà stato nominato un candidato ufficiale. La corsa alla nomination è ancora aperta, dunque, ma se finora Sanders sembrava l’unico in grado di vincerla, ora il confronto è a due. E la storia del Super Tuesday (dal 1988 chi lo vince ottiene la nomina) gioca a suo favore. Dopo i tentativi nel 1988 e il 2008, questa è la terza volta che Biden si presenta alla corsa. Sarà quella buona? 

 

In our view

 

 

Latest polls

Il Super Tuesday e i suoi risultati hanno hanno provocato notevoli scossoni anche nei sondaggi: quello pubblicato da Reuters/Ipsos vede Biden volare sopra Sanders di ben 13 punti percentuali, per 45 a 32. Uno ‘swing’ di ben 24 punti percentuali sullo stesso sondaggio di nove giorni prima, quando Sanders appariva in vantaggio di 11 punti su Biden. È da sottolineare inoltre, che la rilevazione è stata fatta tra il 4 e il 5 marzo, quando cioè la senatrice Warren non si era ancora ritirata. I sondaggi rilevano anche che Sanders è la seconda scelta per il 30% dei sostenitori di Warren, ma Biden gli è vicino al 25%.

Allungando lo sguardo verso novembre, secondo i dati di RealClearPolitics Biden e Sanders si contendono di pochissimo il dato di miglior candidato in caso di una sfida contro Trump. Non proprio un dato secondario considerato che il 46% dei democratici definisce l’eleggibilità il criterio principale nella scelta del candidato. Seconda è l'assistenza sanitaria al 14%.

 

 

Dove si vota?

Anche il prossimo sarà un “super” martedì: nella corsa verso la nomination li luglio, sarà la quarta giornata elettorale per numero di delegati assegnati, e la sua vicinanza al Super Tuesday, e quindi la possibilità di confermarne o smentirne il risultato, la rende una partita ancora più importante. Si voterà in sei stati – Idaho, Michigan, Mississipi, Missouri, North Dakota e Washington - e ci saranno in palio 352 delegati complessivi. Lo stato più ambito sarà il Michigan, dove si assegneranno ben 125 delegati, circa il 35% del totale. Nello “stato dei Grandi Laghi”, l’unico confinante con 4 dei 5 grandi Grandi Laghi americani, il 75% degli abitanti è bianco, ma c’è anche una forte minoranza afroamericana (15%) e molti esponenti della cosiddetta ‘working-class’, ovvero i lavoratori a basso reddito. 

 

 

Qui, solo quattro anni fa, Sanders vinse a sorpresa contro Hillary Clinton, nonostante quest’ultima fosse in testa nei sondaggi con circa 20 punti percentuali di vantaggio. Quest’anno la differenza tra i due top candidates non è in doppia cifra, ma rimane comunque alta. Sanders, a febbraio primo a ben 9 punti di distanza da Biden, ha visto la situazione capovolgersi: secondo l’ultimo sondaggio di Detroit News/WDIV-TV, che risale persino a prima del Super Tuesday, mostra oggi Biden in testa di 6 punti. Se il recente passato e la sua presa sugli elettori working-class avevano reso Sanders molto fiducioso per le primarie in Michigan, man mano che si avvicina la data del voto le sue possibilità di vittoria si fanno molto più sfumate. Biden non è stato votato solo da elettori afroamericani, ma sembrerebbe aver vinto anche tra gli elettori bianchi senza una laurea in 8 stati, in confronto a 4 stati per Sanders. Sanders, già indebolito dalla giornata di martedì, rischia molto, e il Michigan – come sottolinea Ed Kilgore sul New York Magazine – potrebbe finire per diventare “la sua Waterloo”.

 

 

I temi caldi

Nelle ultime settimane di campagna, ha fatto scalpore la registrazione audio di una conversazione tenutasi ad una cena di aprile 2018. Tra i commensali al tavolo c’erano il presidente degli Stati Uniti Donald Trump, e molti donatori o potenziali donatori di un Super Pac (Political Action Committee), una organizzazione che raccoglie fondi per scopi politici. Nella registrazione si sentono i partecipanti esporre al presidente – in cambio di sostegno economico nella campagna elettorale - le loro richieste personali e professionali. Ma cosa sono i Super Pac  e perché quella registrazione ha suscitato un dibattito ancora aperto? A differenza dei Pac normali, quelli “super” possono donare somme illimitate di finanziamenti, a patto che non vengano donati direttamente soldi ai candidati o ai loro partiti. I finanziamenti quindi sono utilizzati per pagare spot televisivi e pubblicità.  

Negli Stati Uniti, è da anni in corso un dibattito sui Super Pac. Da un lato, c’è chi sostiene che i contributi esterni alle elezioni costituiscano una forma di libertà di espressione. Dall’altro, in molti obiettano che i donatori possano corrompere il politico che si avvantaggia dei loro finanziamenti ed esporlo ai ricatti dei ‘grandi donors’.  

Durante tutta la sua campagna, Sanders ha dichiarato di non voler ricevere soldi dai Super Pac. A inizio corsa, anche Biden aveva detto di non voler accettare donazioni dai Super Pac, ma già a ottobre 2019 ha dovuto aprire loro le porte per poter competere con gli altri candidati. Un destino simile a quello dell’ormai ex-candidata Warren: anche lei in corsa aveva denunciato pesantemente l’influenza dei Super Pac, ma in vista del Super Tuesday ha poi beneficiato del più grande acquisto di pubblicità della primarie democratiche di quest’anno.   

Insomma tutti dicono di non volerli, ma nessuno sembra riuscire a farne veramente a meno. Fino al weekend scorso, i candidati in gara hanno dovuto sfidare due miliardari, Michael Bloomberg e Tom Steyer, che hanno speso enormi somme di tasca propria nelle rispettive campagne. E non tutti riescono a raccogliere abbastanza contributi individuali, tranne Sanders, ormai beneficiario imbattibile, con oltre 46 milioni di dollari nel solo mese di febbraio. Trovare una soluzione alternativa non sarà semplice. Ma la promessa del multimiliardario Bloomberg, di sostenere chiunque alla fine della corsa si ritrovi a sfidare Donald Trump potrebbe cambiare, ancora una volta, le carte in tavola.

 

 

Politics on the rocks

La rivincita di Biden al Super Tuesday non ha travolto solo il fronte democratico. Sui social gli elettori repubblicani, che fino a una settimana fa erano concentrati su Sanders, hanno iniziato a intensificare i loro attacchi a Biden. Il primo a fare inversione di rotta è stato proprio lui, Donald Trump, dedicando a “Sleepy Joe” – il nomignolo che ha affibbiato a Biden – molti più tweet degli altri.

 

 

Dall’altra parte, Trump sembra essere addirittura preoccupato per le sorti della candidatura di Sanders: “Stanno mettendo in atto un colpo di stato contro Bernie!”. Il presidente in carica non ha mai fatto mistero di preferire ‘Bernie’ agli altri candidati dem come suo sfidante, ed è abbastanza comprensibile: non sarebbe difficile per lui suonare le sirene, alimentando le paure degli Americani per il ‘pericolo comunista’ di un aspirante presidente che si proclama ‘socialista’, entra in collisione con Israele, propone una riforma sanitaria dai costi stellari e che sostiene che Fidel Castro abbia fatto “anche cose buone”.

 

 

  

 

Per saperne di più

Was It Always Going to Be the Last Men Standing?

Lisa Lerer, The New York Times

Why the democratic establishmanet still has juice

Rich Lowry, Politico

 

What’s next

- 4 giorni alle primarie in Michigan e altri 5 stati (10 marzo 2020) 

- 129 giorni alla Convention democratica (13 luglio 2020) 

- 242 giorni alle elezioni (3 novembre 2020) 

Versione stampabile
 
USA 2020

AUTORI

Paolo Magri
ISPI Executive Vice President and Director
Alessia De Luca
ISPI Advisor for Online Publications
Elena Corradi
ISPI Research Assistant

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