La 12a Conferenza ministeriale dell’Organizzazione mondiale del commercio (World Trade Organization, WTO), MC12, iniziata il 12 giugno 2022 presso la sede dell’Organizzazione a Ginevra si è conclusa il 17, con un giorno di ritardo rispetto alla deadline prevista. Lo slittamento della chiusura dei lavori è stato deciso per scongiurare il rischio che la riunione dei 164 membri non portasse ad alcun risultato.
In effetti, in esito alla MC12, inizialmente calendarizzata nel giugno 2020 a Nur-Sultan, in Kazakistan e più volte rinviata a causa della pandemia, sono stati adottati vari documenti: una dichiarazione sul commercio e sulla sicurezza alimentare; una decisione per vietare le restrizioni all’esportazione delle forniture al Programma alimentare mondiale delle Nazioni Unite; un accordo per eliminare alcune tipologie dannose di sussidi alla pesca che contribuiscono alla sovraccapacità e alla pesca eccessiva o alla pesca illegale, non dichiarata e non regolamentata; una proroga della moratoria sui dazi doganali per le trasmissioni elettroniche. Con specifico riguardo alla lotta contro la pandemia di Covid-19, oltre a una dichiarazione sulle misure di politica commerciale, è stata presa una decisione sulla semplificazione delle licenze obbligatorie per i vaccini, volta ad agevolare l’accesso a tali preparati.
Il “Geneva package”
L’insieme di queste misure, battezzato “Geneva package”, è stato definito da Ngozi Okonjo-Iweala, direttore generale dell’OMC, “senza precedenti” e di “importanza storica” tanto da “fare la differenza per le vite della gente in tutto il mondo”. Questa enfasi, in verità eccessiva, può trovare una sua (parziale) giustificazione se si pone mente all’alternativa che la maratona notturna ha scongiurato proprio all’ultimo momento: un totale no deal.
Sotto il profilo del commercio e della (in)sicurezza alimentare, i colloqui per ridurre i sussidi agricoli – vero e proprio punto di snodo del Doha Round fin dal 2001 – sono stati messi da parte, e i Paesi si sono limitati a decidere di vietare le restrizioni sulla vendita del loro cibo al Programma alimentare mondiale mentre l’Organizzazione è alle prese con la carenza di cibo causata dall’invasione russa in Ucraina.
In tema di pesca, l’accordo raggiunto mira alla protezione degli oceani: in linea con l’obiettivo di sviluppo sostenibile 14.6 delle Nazioni Unite, prevede da un lato il “divieto assoluto” di sussidi per la pesca in alto mare non regolamentata, dall’altro regole di sostenibilità per i sussidi agli stock sovrasfruttati nella fase iniziale dell’accordo, stabilendo altresì un fondo fiduciario specifico per fornire assistenza tecnica ai Paesi in via di sviluppo (Pvs). Benché i negoziati per la messa al bando dei sussidi che incoraggiano la pesca eccessiva e minacciano la sostenibilità degli stock ittici del pianeta siano un punto nell’agenda del WTO fin dal 2001, di fatto il testo adottato venerdì. 17 giugno è alquanto annacquato rispetto a quanto originariamente previsto: non solo il divieto di sussidi per la pesca illegale, non dichiarata e non regolamentata, prevede un’esenzione di due anni per i Pvs all’interno delle loro zone economiche esclusive, o 200 miglia nautiche dalla linea di base, ma è prevista anche una deroga di due anni quanto al divieto di sussidi legati agli stock sovrasfruttati per i Paesi più poveri. Pur tenendo conto del ridimensionamento ottenuto rispetto ad alcune richieste iniziali (in particolare, l’India aveva minacciato di bloccare questo articolo se non le fosse stato concesso un periodo di transizione di 25 anni), può ritenersi che l’accordo lasci un retrogusto “so much promise, so little delivery” (molte promesse, ma pochi risultati concreti): per usare le parole Ceo di Oceana, Andrew Sharpless, “i nostri oceani sono il grande sconfitto oggi. Con vent’anni di ritardo, il WTO ha fallito nuovamente nell’eliminare I sussidi alla pesca eccessiva e quindi sta consentendo ai Paesi di saccheggiare gli oceani mondiali […] Il WTO sta perdendo la propria credibilità”. Anche criteri apparentemente condivisibili si prestano a facili strumentalizzazioni: ad esempio, il testo autorizza i sussidi se vengono attuati per ricostruire lo stock ittico a un “livello biologicamente sostenibile” ma questa esenzione, secondo Claire Nouvian, fondatrice dell’ong ambientalista Bloom, nonché vincitrice nel 2018 del Goldman environmental prize, noto anche come “il premio Nobel per l’ambiente”, potrebbe aprire la porta alle lobby industriali e ai governi per creare false misure per ricostituire le popolazioni ittiche.
Per quel che concerne la proroga della moratoria sui dazi doganali per le trasmissioni elettroniche, bisogna partire dal presupposto che, sebbene queste non siano esplicitamente definite, comprendono un ventaglio molto ampio di ipotesi quali software, e-mail e messaggi di testo, musica digitale, film e videogiochi. La moratoria, prevista fin dal 1998, non è definitiva: ogni due anni i membri decidono di estenderla in occasione della Conferenza ministeriale biennale del WTO. Negli ultimi vent’anni la sinergia fra sviluppo tecnologico e moratoria ha permesso una crescita esponenziale dell’uso di Internet e il fiorire dell’economia digitale. Ma in tempi più recenti alcuni Paesi come l’India, l’Indonesia e il Sudafrica, hanno manifestato il desiderio di porre fine alla moratoria e di iniziare a imporre unilateralmente tariffe sui flussi di dati transfrontalieri in quanto, a loro avviso, la digitalizzazione di beni prima fisici (dai CD-ROM agli mp3, dai DVD allo streaming online, dai libri cartacei agli eBook) ha comportato una perdita di entrate doganali. La legittima esigenza di tali Paesi si scontra con la difficoltà di riscuotere i dazi doganali sui flussi di dati senza che ciò provochi gravi disagi al mondo digitale e senza avere effetti distorsivi sulla crescita dell’economia digitale, al netto dei problemi più squisitamente tecnici: dunque, per l’ennesima volta, la Conferenza ministeriale del WTO ha preferito prorogare la moratoria.
Quanto al dossier relativo alle misure di contrasto alla pandemia e alla richiesta di waiver, ossia di deroga temporanea all’accordo sulla tutela della proprietà intellettuale TRIPs del WTO, al fine di migliorare l’accesso globale a medicinali connessi al Covid-19 a costi abbordabili e di affrontare i vincoli della produzione mondiale e le carenze nell’approvvigionamento, la soluzione (al ribasso) che si è negoziata prevede, da un lato, che i titolari dei brevetti potranno essere obbligati a condividerli ricevendo un risarcimento e, dall’altro, che i Pvs potranno servirsi di licenze obbligatorie della durata di 5 anni (prorogabili) per la produzione nazionale, senza vincolo di utilizzo per il mercato interno, consentendo quindi le esportazioni, per garantire accesso equo a livello globale dei vaccini. Le “novità” rispetto a quanto già previsto dagli art. 31 e 31bis del TRIPs consistono, in primo luogo, in una maggiore chiarezza (ad esempio relativa al fatto che per “legge di un membro” si intende qualsivoglia misura, anche di natura amministrativa o giudiziaria, con cui un Paese autorizzi l’uso dell’oggetto di un brevetto senza il consenso del titolare del diritto); in seconda battuta, nella possibilità per i Pvs, in casi di urgenza, di procedere senza essere tenuti a richiedere – infruttuosamente – al titolare del diritto l’autorizzazione (ex art. 31, lettera b TRIPs); infine, nella possibilità che i prodotti fabbricati in base all’autorizzazione adottata in conformità con la decisione de qua, benché prevalentemente destinati a rifornire il proprio mercato interno, possano essere esportati verso altri Pvs, anche attraverso iniziative congiunte internazionali o regionali volte a garantire l’equo accesso ai vaccini anti-Sars-cov-2. Questi tre risultati, che precisano ed estendono molto limitatamente regole preesistenti, sembrano molto lontani dalla rinuncia tout court ai diritti di proprietà intellettuale per tutte le tecnologie mediche, al fine di sostenere la condivisione di informazioni e il trasferimento di tecnologie ai Pvs, chiesta fin dal 2 ottobre 2020, da India e Sud Africa, con l’appoggio di molti Paesi a basso e medio reddito: in effetti, rispetto al waiver auspicato, gli strumenti adottati in esito alla MC12 non coprono tutte le barriere relative alla proprietà intellettuale che ostacolano l’accesso alle tecnologie, non riguardano né i prodotti terapeutici né quelli diagnostici per il contrasto al Covid-19 e infine escludono interi Paesi.
Risultati poco ambiziosi
E dunque gli strumenti adottati per ciascun settore considerato nel quadro della MC12 sembrano avere come fil rouge un approccio, peraltro temporalmente limitato, del «piuttosto che niente, meglio piuttosto», veicolato però all’opinione pubblica come un risultato eccezionale…per tacere degli aspetti più pragmaticamente strategici quale, soprattutto, la riforma del sistema di soluzione delle controversie, rinviata alla prossima Conferenza ministeriale, senza la quale il Geneva package, dai contenuti già non del tutto entusiasmanti, rischia di essere un fragile insieme di misure …di carta.