Cina: ecco l’economia duale di Xi
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Cina
Xi Jinping e la sua economia duale
Filippo Fasulo
30 settembre 2020

Nel sempre fecondo mondo degli slogan politici cinesi, l’estate 2020 è stata dominata dal concetto della cosiddetta “dual circulation strategy” (DCS). Si tratta del rinnovamento delle linee guida della politica economica di Pechino attraverso una strategia annunciata per la prima volta lo scorso maggio, in occasione di una riunione del Politburo, e rilanciata con forza a fine luglio. Come spesso accade in questi casi, sotto uno slogan per lo più oscuro si nascondono possibili trasformazioni di grande portata. L’attenzione in questo caso deve essere massima, perché la DCS rappresenta potenzialmente il punto nevralgico del Quattordicesimo piano quinquennale, che coprirà gli anni dal 2021 al 2025 e che verrà approvato nel prossimo mese di marzo.  Pechino, inoltre, si presenterà al nuovo appuntamento come unica grande economia ad aver ottenuto una crescita positiva nel 2020 – grazie anche al +3,2% conseguito nel secondo trimestre – e con una prospettiva di rimbalzare attorno all’8% nel 2021 secondo FMI e Banca Mondiale.

Sottolineata l’importanza del concetto, quali sono i suoi elementi fondamentali? Il punto di partenza è la spiegazione letterale della “doppia circolazione” che, nella visione proposta da Xi Jinping, si intende come una dialettica fra la circolazione economica domestica e quella internazionale. Per visualizzare il tema si pensi che il termine cinese è lo stesso utilizzato quando si parla di “circolazione sanguigna”. In parole più semplici, viene messa in relazione l’integrazione globale – la circolazione esterna – con i consumi domestici – la circolazione interna. La dinamica da gestire, dunque, è quella fra una economia dipendente dalle esportazioni e, quindi, dalla domanda internazionale, e un ruolo più ampio accordato ai consumi interni. L’indicazione di oggi è che, nell’attuale contesto di incertezza dovuto alla pandemia e alle dispute commerciali, si debba puntare soprattutto sulla circolazione interna.

Come si è arrivati a questo punto?  Per capirlo è necessario fare un passo indietro e guardare a tutta la storia del “miracolo economico” cinese degli ultimi decenni. Le fondamenta sono quelle di una economia che tra gli anni ’80 e ’90 ha puntato tutto sull’esportazione di prodotti grazie al vantaggio competitivo di un costo del lavoro ridotto, legando la crescita economica proprio alla “grande circolazione internazionale” che si riforniva da quella che stava allora diventando la fabbrica del mondo. Tuttavia, questo meccanismo si è inceppato con la crisi finanziaria globale del 2008-2009, che ha fortemente colpito la domanda internazionale costringendo la Cina a cautelarsi con uno stimolo economico da 4.000 miliardi di Rmb. L’effetto è stato quello di mantenere alti tassi di crescita, ma, allo stesso tempo, di causare indebitamento e eccesso di capacità produttiva inducendo Pechino a riconoscere il “New Normal” dell’economia cinese, che dal 2015 in poi avrebbe dovuto puntare più sulla qualità che sulla quantità.

Le ricadute nel Paese sono state duplici: da un lato si è alzato il livello qualitativo della produzione – si pensi al piano di riqualificazione industriale Made in China 2025 – e dall’altro si è rafforzata l’enfasi sulla capacità di spesa interna – conseguenza diretta ne è la China International Import Expo, prima fiera delle importazioni che si tiene a Shanghai dal 2018.

 

La dimensione interna: cosa cambia?

Se l’attenzione alla dimensione interna era già presente da tempo, cosa cambia ora? A questo punto entrano in gioco la pandemia e il peggioramento delle relazioni con gli Stati Uniti. La risposta cinese agli effetti al Covid-19, infatti, è stata rivolta soprattutto al lato della produzione, grazie a misure quali riduzioni fiscali e investimenti infrastrutturali, mentre gli effetti negativi della pandemia si sono riversati soprattutto sui consumi. In questo modo sono aumentati sia l’ineguaglianza sia il peso della domanda internazionale rispetto a quella interna.

Ma se nel 2008-09 la dipendenza dalle esportazioni era un fattore di incertezza soprattutto economico, nel contesto attuale l’esposizione estera ha un valore anche strategico. Si pensi in questo caso a tutto il dibattito sul “decoupling” – disaccoppiamento dell’economia statunitense e cinese – che, si badi bene, non è soltanto un fenomeno americano, ma riguarda anche la volontà cinese di ridurre le proprie linee di dipendenza dall’estero attraverso la “self-reliance” – sostanzialmente, autarchia tecnologica – che precede le riflessioni di Washington sulla propria dipendenza da Pechino.

Per queste ragioni, la società di consulenza Trivium China ha buon gioco a sintetizzare la DCS come una politica rivolta “a rendere l’economia più resiliente agli shock esterni rendendo la domanda interna il suo principale driver”. Il dato che salta all’occhio, in questo ambito, è quello delle importazioni di circuiti integrati che, con un valore superiore ai 300 miliardi di dollari rappresenta la prima voce dell’import cinese, superiore ai poco meno di 250 miliardi di dollari di petrolio, di cui Pechino guida la domanda mondiale. Inoltre, gli investimenti in innovazione anche nel 2019 hanno superato un tasso di crescita del 10%, indirizzandosi, per l’83,4% allo sviluppo industriale e contribuendo, dunque, alla crescita qualitativa dell’industria cinese.

Anche in occasione dello stimolo economico approvato a fine maggio una grande attenzione è stata rivolta alla tecnologia avanzata, promuovendo le cosiddette “nuove infrastrutture” (ferrovie ad alta velocità, 5G, Big Data, AI e colonnine per i veicoli elettrici) per un valore che nel 2020 potrebbe superare i 2.000 miliardi di Rmb.

Se una tale politica venisse effettivamente perseguita, dando comunque seguito a linee di tendenza abbozzate da almeno un decennio, la Cina prenderebbe sempre più la strada per diventare più terra di consumo che di produzione, favorendo così le importazioni rispetto alle esportazioni, avendo allo stesso tempo ridotto l’esposizione verso un contesto internazionale sempre più ostile. Misure di questo tipo vanno però adottate rapidamente, perché, come accennato, negli ultimi mesi il surplus commerciale cinese ha continuato a crescere, rinforzando quelle circostanze che avevano portato Trump a muovere la guerra commerciale. Tuttavia, come segnala il Prof. Michael Pettis, l’adozione di misure in favore dei consumi dovrebbe passare per il trasferimento di risorse verso i consumi delle famiglie – oggi proporzionalmente molto bassi rispetto alle altre economie –, riducendo la disuguaglianza, ma incidendo fortemente sull’assetto economico cinese con un potenziale conflitto con interessi economici e rendite consolidate e portando così a possibili effetti politici dovuti al rafforzamento economico della classe media.

Ci vorranno dunque anni prima che la DCS raggiunga i suoi scopi, ma la strada sembra tracciata verso una Cina meno dipendente dall’estero e più concentrata sulla propria dimensione interna costituita, nelle intenzioni, da un mercato più rilevante.

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Cina Geoeconomia
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AUTORI

Filippo Fasulo
Fondazione Italia Cina

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